2018-09-15
L’ultima su Viganò? «Solo beghe americane»
Un tweet di Antonio Spadaro, direttore della Civiltà cattolica e guru del bergoglismo, prova a ridurre le rivelazioni dell'ex nunzio a «veleni ecclesiastici» interni alla gerarchia Usa. Ma allora perché Francesco ha convocato i vescovi di tutto il mondo per parlare di abusi? Ora si chiama affaire, alla francese, neanche fosse un intrigo da ballatoio. Il memoriale di Carlo Maria Viganò dà così fastidio da essere derubricato, minimizzato dal potere curiale, in attesa di venire sciolto nell'acido insieme con tutti coloro che lo ritengono credibile. Questo ed altro in nome del papato della Misericordia. L'ultima bordata dei custodi dell'ortodossia, in ordine di tempo, arriva da Antonio Spadaro, direttore della fortezza gesuitica de La Civiltà cattolica, antica e nobile rivista della cristianità, il quale ha deciso che il contenuto di quella lettera infiammabile sia una banale e fastidiosa «bega americana». Della serie: ho sentito un ronzio. L'intellettuale e giornalista utilizza Twitter per diffondere la sua recensione, e non certo perché dilungarsi significherebbe dover argomentare. «L'affaire Viganò è interno alle tensioni della Chiesa Usa», spiega. E continua: «Espresso da beghe ecclesiastiche, è un veleno prodotto da un corpo di interessi politico-economici che hanno trovato nella Chiesa uno spurio rifugio “morale". Ma il veleno non ucciderà il corpo malato che lo ha prodotto?». La posizione è legittima almeno quanto provocatoria, espressa con un linguaggio che evoca scudisciate nei sottoscala, processi da Santa Inquisizione con vittime putrescenti destinate a bruciare tra le fiamme eterne. Non è il modo migliore di affrontare un confronto culturale, ma è sempre meglio del «silenzio e preghiera» che odora di omertà. Il commento digitale contiene un errore di prospettiva: tutto è il memoriale Viganò tranne che una bega americana, tutto rappresenta tranne che una faida esclusivamente statunitense destinata a fermarsi agli imbarchi internazionali dell'aeroporto John Fitzgerald Kennedy di New York. La vicenda legata a Theodore McCarrick ha scosso la Chiesa proprio perché ha una portata mondiale, è qualcosa che discende dal Vaticano e al Vaticano torna dopo aver fatto il giro del mondo. Lo scandalo della pedofilia riguarda il pianeta cattolico dal Cile all'Irlanda passando per l'Australia, mentre si attendono rivelazioni dalla Germania da far impallidire il dossier Pennsylvania. Quanto al sipario strappato sulla lobby gay, si tratta di un esercizio di verità che coinvolge i prelati da Oltretevere a Boston, dalle nunziature più lontane sino ad alcune ricche diocesi (anche italiane). Se si fosse trattato di una bega americana, padre Georg Gänswein non avrebbe portato la deriva omosessuale ad esempio di un clero mondiale in crisi di valori. Se l'ha paragonata all'«11 settembre della Chiesa», non lo ha fatto certo per la provenienza geografica. Il segretario di Benedetto XVI, da sempre parco di commenti, ha usato un'immagine potente: «Provo tristezza nel vedere l'abominio della desolazione stare nel luogo santo». Luogo che Google maps non individua certo a Pittsburgh. Il primo a cogliere la portata planetaria del memoriale, che Spadaro si compiace di negare, è stato peraltro papa Francesco. In silenzio, il Pontefice ha affilato le alabarde e ha compiuto tre atti che mai avrebbe riservato solo a un affaire locale. Ha convocato una Conferenza episcopale mondiale con gli abusi sessuali come tema. Ha di fatto esautorato dal C9 - il direttorio istituito con i cardinali più affini per affrontare le riforme e i temi più delicati - George Pell (a processo per abusi sessuali), Francisco Javier Errazuriz (imputato per omesso controllo), Oscar Rodriguez Maradiaga (accusato di corruzione in Honduras). E alla fine ha parlato, eccome se ha parlato. Tre giorni fa, davanti ai nuovi vescovi ricevuti in udienza, il Santo padre ha raccomandato «una particolare attenzione al clero e ai seminari. Non possiamo rispondere alle sfide senza aggiornare i nostri processi di selezione, accompagnamento, valutazione». Sa perfettamente che talvolta dentro i seminari viene depositato l'uovo del serpente. Ma non basta, perché Francesco ha aggiunto, riferendosi agli abusi: «Le nostre risposte saranno prive di futuro se non raggiungeranno la voragine spirituale che in non pochi casi ha permesso scandalose debolezze; se non metteranno a nudo il vuoto esistenziale che esse hanno alimentato; se non riveleranno perché mai Dio è stato così reso muto». Chi parla con faciloneria algoritmica di bega americana non tiene in grande considerazione l'intelligenza sopraffina del Papa.
Giorgia Meloni (Ansa)
Alla vigilia del Consiglio europeo di Bruxelles, Giorgia Meloni ha riferito alle Camere tracciando le priorità del governo italiano su difesa, Medio Oriente, clima ed economia. Un intervento che ha confermato la linea di continuità dell’esecutivo e la volontà di mantenere un ruolo attivo nei principali dossier internazionali.
Sull’Ucraina, la presidente del Consiglio ha ribadito che «la nostra posizione non cambia e non può cambiare davanti alle vittime civili e ai bombardamenti russi». L’Italia, ha spiegato, «rimane determinata nel sostenere il popolo ucraino nell’unico intento di arrivare alla pace», ma «non prevede l’invio di soldati nel territorio ucraino». Un chiarimento che giunge a pochi giorni dal vertice dei «volenterosi», mentre Meloni accusa Mosca di «porre condizioni impossibili per una seria iniziativa di pace».
Ampio spazio è stato dedicato alla crisi in Medio Oriente. La premier ha definito «un successo» il piano in venti punti promosso dal presidente americano Donald Trump, ringraziando Egitto, Qatar e Turchia per l’impegno diplomatico. «La violazione del cessate il fuoco da parte di Hamas dimostra chi sia il vero nemico dei palestinesi, ma non condividiamo la rappresaglia israeliana», ha affermato. L’Italia, ha proseguito, «è pronta a partecipare a una eventuale forza internazionale di stabilizzazione e a sostenere l’Autorità nazionale palestinese nell’addestramento delle forze di polizia». Quanto al riconoscimento dello Stato di Palestina, Meloni ha chiarito che «Hamas deve accettare di non avere alcun ruolo nella governance transitoria e deve essere disarmato. Il governo è pronto ad agire di conseguenza quando queste condizioni si saranno materializzate». In quest’ottica, ha aggiunto, sarà «opportuno un passaggio parlamentare» per definire i dettagli del contributo italiano alla pace.
Sul piano economico e della difesa, la premier ha ribadito la richiesta di «rendere permanente la flessibilità del Patto di stabilità e crescita» per gli investimenti militari, sottolineando che «il rafforzamento della difesa europea richiede soluzioni finanziarie più ambiziose». Ha poi rivendicato i recenti riconoscimenti del Fondo monetario internazionale e delle agenzie di rating, affermando che «l’Italia torna in Serie A» e «si presenta in Europa forte di una stabilità politica rara nella storia repubblicana».
Nel passaggio ambientale, Meloni ha annunciato che l’Italia «non potrà sostenere la proposta di revisione della legge sul clima europeo» se non accompagnata da «un vero cambio di approccio». Ha definito «ideologico e irragionevole» un metodo che «pone obiettivi insostenibili e rischia di compromettere la credibilità dell’Unione».
Fra i temi che l’Italia porterà in Consiglio, la premier ha citato anche la semplificazione normativa - al centro di una lettera firmata con altri 15 leader europei e indirizzata a Ursula von der Leyen - e le politiche abitative, «a fronte del problema crescente dei costi immobiliari, soprattutto per i giovani». In questo ambito, ha ricordato, «il governo sta lavorando con il vicepresidente Salvini a un piano casa a prezzi calmierati per le giovani coppie».
Nel giorno del terzo anniversario del suo insediamento, Meloni ha infine rivendicato sui social i risultati del governo e ha concluso in Aula con un messaggio politico: «Finché la maggioranza degli italiani sarà dalla nostra parte, andremo avanti con la testa alta e lo sguardo fiero».
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