
In un Cdm nervoso e subito sospeso, le tensioni dell'esecutivo si scaricano sulla riforma di Alfonso Bonafede. Luigi Di Maio: «Epocale». Ma Matteo Salvini la liquida: «Acqua fresca». No della Lega alla sospensione della prescrizione. E non c'è nulla sulle intercettazioni.La riunione vera e propria del Consiglio dei ministri, convocata per le 15 di ieri e iniziata - come vedremo - in ritardo, è stata subito sospesa, dopo appena cinque minuti d'orologio, per riprendere verso le 19, in un clima assai teso e incerto. Ma il match politico e mediatico, non senza colpi sotto la cintura, era cominciato sin dalla mattinata. Materia del contendere la riforma della giustizia proposta dal ministro Alfonso Bonafede: una previsione (di per sé positiva) di qualche paletto temporale per i singoli gradi di giudizio, con l'obiettivo di accorciare la durata complessiva dei processi. Ma, per altro verso, un testo debole: nulla sui nodi veri, dalle intercettazioni alla separazione delle carriere tra giudici e pm. E soprattutto un orientamento contraddittorio con l'altra battaglia grillina, di netta impronta giustizialista, e cioè quella per la sospensione della prescrizione dopo il primo grado di giudizio: una misura - quest'ultima - destinata a tenere le persone sulla graticola per tutta la vita, a rendere i processi pressoché eterni, e pronta a scattare dal gennaio 2020. Infatti, la Lega, nei mesi scorsi, era riuscita a calciare la palla in avanti, in attesa della riforma globale della materia: ma ora quell'intervento complessivo è arrivato, e il rischio è che anche il meccanismo della sospensione della prescrizione diventi operativo, dopo il viatico del testo Bonafede. Non a caso, già l'altro ieri, Giulia Bongiorno (Lega) aveva negato il proprio assenso alla bozza del Guardasigilli. E così ieri mattina è iniziato il pesante confronto a distanza. Ha cominciato Luigi Di Maio, cercando di appiccicare addosso a Matteo Salvini l'etichetta che invece tanti cittadini vedono cucita sulle giacche grilline, quella del partito del no: «Sto sentendo troppi no dalla Lega, mi auguro che arrivi qualche sì. È sicuramente una proposta che si deve approvare in Consiglio dei ministri e non vedo perché la Lega si debba opporre». E poco dopo, su Facebook, è arrivato sempre da Di Maio un post con l'aggettivo «epocale», forse degno di miglior causa: «Oggi il nostro Alfonso Bonafede porta in Cdm una riforma epocale sulla giustizia. Mi auguro che nessuno pensi di bloccarla, sarebbe un grave danno al Paese».A stretto giro di social, è arrivata la risposta del leader leghista: «Il ministro Bonafede ci mette pure la buona volontà, ma la sua cosiddetta riforma della giustizia è acqua fresca». Serve invece una riforma che Salvini definisce «vera, imponente, storica e decisiva», non una «riformina». Questo testo «non è quello che gli italiani si aspettano». Prevedibile la controreplica di Bonafede, forse da indirizzare però - per primo - a Di Maio: «Discutiamo in Consiglio dei ministri, non su Facebook». Morale: nel primo pomeriggio, c'è stato un incontro tra i due vicepremier e Giuseppe Conte (un'ora buona di vertice); poi, nei cinque minuti di avvio del Cdm, il governo si è limitato a impugnare alcune leggi regionali. A seguire, una nuova lunghissima sospensione, per tutto il pomeriggio, per tentare di sciogliere i nodi. Verso le 19, la ripresa dei lavori, con un esito a lungo rimasto incertissimo.Va sottolineato - dal punto di vista strettamente tecnico - che si tratta di un disegno di legge-delega (art. 76 della Costituzione): in sostanza, il governo propone che il Parlamento conferisca all'esecutivo una delega a legiferare su un certo tema (indicando tempi, materia, principi e criteri direttivi). Insomma, il Parlamento avrà vera voce in capitolo nella fase iniziale, quella del conferimento della delega. Dopo di che, il governo emetterà dei decreti legislativi (o delegati), su cui le Camere esprimeranno successivamente solo dei pareri. È un po' il percorso inverso rispetto ai decreti-legge, caso in cui il governo assume subito la funzione legislativa che spetterebbe al Parlamento, fatta salva però la successiva conversione in legge del decreto da parte delle Camere, che giocano quindi il loro ruolo in seconda battuta (entro 60 giorni). I temi oggetto della delega sono tra gli altri: riduzione dei tempi dei processi civile e penale a un massimo di sei anni tra primo grado, appello e Cassazione, soprattutto attraverso una stretta alla durata delle indagini preliminari, con sanzioni per i magistrati che non rispettano i tempi; interventi sull'ordinamento della magistratura e su composizione e sistema elettorale del Csm; regole più stringenti per il rientro in ruolo delle toghe passate alla politica.
Francobollo sovietico commemorativo delle missioni Mars del 1971 (Getty Images)
Nel 1971 la sonda sovietica fu il primo oggetto terrestre a toccare il suolo di Marte. Voleva essere la risposta alla conquista americana della Luna, ma si guastò dopo soli 20 secondi. Riuscì tuttavia ad inviare la prima immagine del suolo marziano, anche se buia e sfocata.
Dopo il 20 luglio 1969 gli americani furono considerati universalmente come i vincitori della corsa allo spazio, quella «space race» che portò l’Uomo sulla Luna e che fu uno dei «fronti» principali della Guerra fredda. I sovietici, consapevoli del vantaggio della Nasa sulle missioni lunari, pianificarono un programma segreto che avrebbe dovuto superare la conquista del satellite terrestre.
Mosca pareva in vantaggio alla fine degli anni Cinquanta, quando lo «Sputnik» portò per la prima volta l’astronauta sovietico Yuri Gagarin in orbita. Nel decennio successivo, tuttavia, le missioni «Apollo» evidenziarono il sorpasso di Washington su Mosca, al quale i sovietici risposero con un programma all’epoca tecnologicamente difficilissimo se non impossibile: la conquista del «pianeta rosso».
Il programma iniziò nel 1960, vale a dire un anno prima del lancio del progetto «Gemini» da parte della Nasa, che sarebbe poi evoluto nelle missioni Apollo. Dalla base di Baikonur in Kazakhistan partiranno tutte le sonde dirette verso Marte, per un totale di 9 lanci dal 1960 al 1973. I primi tentativi furono del tutto fallimentari. Le sonde della prima generazione «Marshnik» non raggiunsero mai l’orbita terrestre, esplodendo poco dopo il lancio. La prima a raggiungere l’orbita fu la Mars 1 lanciata nel 1962, che perse i contatti con la base terrestre in Crimea quando aveva percorso oltre 100 milioni di chilometri, inviando preziosi dati sull’atmosfera interplanetaria. Nel 1963 sorvolò Marte per poi perdersi in un’orbita eliocentrica. Fino al 1969 i lanci successivi furono caratterizzati dall’insuccesso, causato principalmente da lanci errati e esplosioni in volo. Nel 1971 la sonda Mars 2 fu la prima sonda terrestre a raggiungere la superficie del pianeta rosso, anche se si schiantò in fase di atterraggio. Il primo successo (ancorché parziale) fu raggiunto da Mars 3, lanciato il 28 maggio 1971 da Baikonur. La sonda era costituita da un orbiter (che avrebbe compiuto orbitazioni attorno a Marte) e da un Lander, modulo che avrebbe dovuto compiere l’atterraggio sulla superficie del pianeta liberando il Rover Prop-M che avrebbe dovuto esplorare il terreno e l’atmosfera marziani. Il viaggio durò circa sei mesi, durante i quali Mars 3 inviò in Urss preziosi dati. Atterrò su Marte senza danni il 2 dicembre 1971. Il successo tuttavia fu vanificato dalla brusca interruzione delle trasmissioni con la terra dopo soli 20 secondi a causa, secondo le ipotesi più accreditate, dell’effetto di una violenta tempesta marziana che danneggiò l’equipaggiamento di bordo. Solo un’immagine buia e sfocata fu tutto quello che i sovietici ebbero dall’attività di Mars 3. L’orbiter invece proseguì la sua missione continuando l’invio di dati e immagini, dalle quali fu possibile identificare la superficie montagnosa del pianeta e la composizione della sua atmosfera, fino al 22 agosto 1972.
Sui giornali occidentali furono riportate poche notizie, imprecise e incomplete a causa della difficoltà di reperire notizie oltre la Cortina di ferro così la certezza dell’atterraggio di Mars 3 arrivò solamente dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991. Gli americani ripresero le redini del successo anche su Marte, e nel 1976 la sonda Viking atterrò sul pianeta rosso. L’Urss abbandonò invece le missioni Mars nel 1973 a causa degli elevatissimi costi e della scarsa influenza sull’opinione pubblica, avviandosi verso la lunga e sanguinosa guerra in Afghanistan alla fine del decennio.
Continua a leggereRiduci
Il presidente torna dal giro in Francia, Grecia e Spagna con altri missili, caccia, radar, fondi energetici. Festeggiano i produttori di armi e gli Stati: dopo gli Usa, la Francia è la seconda nazione per export globale.
Il recente tour diplomatico di Volodymyr Zelensky tra Atene, Parigi e Madrid ha mostrato, più che mai, come il sostegno all’Ucraina sia divenuto anche una vetrina privilegiata per l’industria bellica europea. Missili antiaerei, caccia di nuova generazione, radar modernizzati, fondi energetici e contratti pluriennali: ciò che appare come normale cooperazione militare è in realtà la struttura portante di un enorme mercato che non conosce pause. La Grecia garantirà oltre mezzo miliardo di euro in forniture e gas, definendosi «hub energetico» della regione. La Francia consegnerà 100 Rafale F4, sistemi Samp-T e nuove armi guidate, con un ulteriore pacchetto entro fine anno. La Spagna aggiungerà circa 500 milioni tra programmi Purl e Safe, includendo missili Iris-T e aiuti emergenziali. Una catena di accordi che rivela l’intreccio sempre più solido tra geopolitica e fatturati industriali. Secondo il SIPRI, le importazioni europee di sistemi militari pesanti sono aumentate del 155% tra il 2015-19 e il 2020-24.
Imagoeconomica
Altoforno 1 sequestrato dopo un rogo frutto però di valutazioni inesatte, non di carenze all’impianto. Intanto 4.550 operai in Cig.
La crisi dell’ex Ilva di Taranto dilaga nelle piazze e fra i palazzi della politica, con i sindacati in mobilitazione. Tutto nasce dalla chiusura dovuta al sequestro probatorio dell’altoforno 1 del sito pugliese dopo un incendio scoppiato il 7 maggio. Mesi e mesi di stop produttivo che hanno costretto Acciaierie d’Italia, d’accordo con il governo, a portare da 3.000 a 4.450 i lavoratori in cassa integrazione, dato che l’altoforno 2 è in manutenzione in vista di una futura produzione di acciaio green, e a produrre è rimasto solamente l’altoforno 4. In oltre sei mesi non sono stati prodotti 1,5 milioni di tonnellate di acciaio. Una botta per l’ex Ilva ma in generale per la siderurgia italiana.
2025-11-20
Mondiali 2026, il cammino dell'Italia: Irlanda del Nord in semifinale e Galles o Bosnia in finale
True
Getty Images
Gli azzurri affronteranno in casa l’Irlanda del Nord nella semifinale playoff del 26 marzo, con eventuale finale in trasferta contro Galles o Bosnia. A Zurigo definiti percorso e accoppiamenti per gli spareggi che assegnano gli ultimi posti al Mondiale 2026.





