2020-04-22
Lukaku: «Contro il Cagliari malati 23 su 25»
Il bomber dell'Inter rivela che a gennaio, in vista della sfida con i sardi, i nerazzurri hanno avuto una settimana libera, dopo la quale «avevamo tutti tosse e febbre, giuro. Durante il match Skriniar è uscito, stava per svenire. E io ho disdetto una cena con lo sponsor». Si potrebbe rispolverare la teoria dei conduttori umani di luce applicati alle ricostruzioni di vicende nebulose. Coniata da Sherlock Holmes - e dal suo demiurgo cartaceo, sir Arthur Conan Doyle - postula questa convinzione: ci sono persone che, in virtù di alcune azioni o dichiarazioni, illuminano con naturalezza i punti oscuri di intrighi difficili da sbrogliare. È sufficiente leggere tra le righe. Persone come Romelu Lukaku. L'attaccante dell'Inter, durante una diretta dal suo profilo di Instagram assieme a Kat Kerkhofs, moglie belga del calciatore del Napoli Dries Mertens, ha detto: «Come squadra, abbiamo goduto di una settimana libera a dicembre. Siamo tornati ad allenarci e, lo giuro, 23 giocatori su 25 erano malati. Non scherzo. Contro il Cagliari, dopo 25 minuti Skriniar ha dovuto lasciare il campo. Stava per svenire. Tutti tossivano e avevano la febbre. Non mi sentivo la febbre da anni. Dopo la partita avrei dovuto presenziare a una cena con gli sponsor, ma ho declinato e sono andato subito a letto. Non abbiamo mai fatto dei test per il Covid-19 in quel momento, non sapremo mai se l'abbiamo contratto o meno». Inter-Cagliari, terminata con un pareggio per 1-1, è stata disputata allo stadio Meazza di Milano il 26 gennaio. Prima di ogni allarme, prima dell'avvento delle partite a porte chiuse. Il difensore centrale nerazzurro Milan Skriniar, a metà del primo tempo, fu rimpiazzato da Diego Godin. La motivazione ufficiale fornita dalla società milanese riferiva di un malessere dovuto a una sindrome influenzale. Impossibile appurare oggi se si trattasse di coronavirus o di un poderoso raffreddore di stagione. Così come sarebbe sciocco andare in cerca di responsabilità e omissioni, nonostante l'Inter - particolare non trascurabile per dovere di cronaca - sia di proprietà cinese. A gennaio la quarantena della città di Wuhan appariva come una distopia esotica lontana anni luce da noi. Le dichiarazioni di Lukaku forniscono però un tassello che funge da indizio ulteriore su un mosaico ben strutturato: il Covid-19 sguazzava in Italia già a inizio anno. Le prime avvisaglie della presenza del virus sul territorio nazionale si sono avute dopo il ricovero di una coppia di turisti cinesi presso l'ospedale Spallanzani di Roma, il 29 gennaio. La coppia era atterrata a Fiumicino il 21 gennaio. Attorno allo stesso periodo, sarebbe arrivato da Monaco di Baviera il paziente zero, come da ricostruzione del professor Massimo Galli, primario dell'ospedale Sacco di Milano: «C'è un ramo dell'albero filogenetico del coronavirus che comprende le cinque sequenze italiane, una finlandese, due tedesche, una messicana e una brasiliana e tutte hanno un'unica derivazione: la più vicina è quella di Monaco di Baviera. La nostra ipotesi è che qualcuno si sia infettato dopo quelle riunioni a Monaco con una manager arrivata da Shanghai e poi abbia portato l'infezione qui». Il 22 febbraio è stata istituita la zona rossa per Codogno e per i comuni limitrofi del Lodigiano, oltre che per il comune di Vo' Euganeo, in Veneto. Tutte date contigue, spesso successive alla partita di San Siro. Durante la diretta di Instagram, Lukaku ha continuato ad analizzare la congiuntura sportiva, fornendo spunti per ipotizzare un rientro al calcio giocato dalle ispide ricadute psicologiche: «Sono tornato da poco in Italia. Ci hanno permesso di trascorrere del tempo a casa, nei nostri Paesi di provenienza, ma siamo stati richiamati perché potremmo ricominciare a giocare. Tutti noi eravamo in stato di choc dopo che ci hanno detto che saremmo dovuti tornare, temevamo una nuova quarantena. Inoltre mia mamma soffre di diabete. Ogni quattro ore la chiamo per sapere se ha bisogno di qualcosa. Mi manca anche mio figlio Romeo, il mio piano era riportarli in Italia, visto che ho due appartamenti a Milano, ma non questo è il momento». L'ariete dell'Inter potrebbe parlare sull'onda di un'emozione non semplice da controllare. Ma le sue considerazioni appaiono cesellate nella scelta cronologica per non sottrarsi a criteri di verità. O a qualche stilettata polemica utile a tener desta l'attenzione su un mondo del pallone a digiuno di baruffe post-gara. Già il 2 aprile, sempre grazie a una diretta Instagram, quella volta organizzata dalla Puma e alla presenza di Thierry Henry e Axel Witsel, Lukaku incalzò i rivali della Juventus con un'ironia un tantino caustica: «Perché dobbiamo giocare se nel mondo c'è gente che rischia la vita? Occorreva che risultasse positivo al coronavirus un giocatore della Juve (Daniele Rugani, ndr) per mettere tutti in quarantena? Non è normale». Non è da escludere che le dichiarazioni recenti contribuiscano a montare un'ennesima disfida sull'asse Torino-Milano. In attesa di risolvere ogni questione sul campo. «Mi manca l'adrenalina dei match. Ho voglia di tornare agli allenamenti. Gioco a calcio da quando avevo 16 anni, smetterò a 36, sogno di concludere con la maglia dell'Anderlecht. Poi vorrei viaggiare per il mondo», dice. Dio voglia che, per quel tempo, il coronavirus sia soltanto il ricordo di un'annata brutale.