- La commissione Affari costituzionali dell’Europarlamento dice sì a un pericoloso progetto di riforma dei Trattati. Prevista la fine dell’unanimità nel Consiglio. Era una delle poche garanzie per gli Stati membri. Tra gli italiani, solo Antonio Maria Rinaldi si oppone.
- Francesco Buzzella, presidente di Federchimica: «Non c’è reale incidenza sull’inquinamento».
La commissione Affari costituzionali dell’Europarlamento dice sì a un pericoloso progetto di riforma dei Trattati. Prevista la fine dell’unanimità nel Consiglio. Era una delle poche garanzie per gli Stati membri. Tra gli italiani, solo Antonio Maria Rinaldi si oppone.Francesco Buzzella, presidente di Federchimica: «Non c’è reale incidenza sull’inquinamento».Lo speciale contiene due articoliLa commissione Affari costituzionali (Afco) del Parlamento europeo ha approvato pochi giorni fa un progetto di riforma dei Trattati europei che aggrava il deficit democratico delle istituzioni dell’Unione e che di fatto cancellerà gli ultimi residui di sovranità popolare, con tanti saluti ai principi democratici. A Bruxelles, la commissione parlamentare ha approvato uno schema che prevede la fine dell’unanimità nel Consiglio europeo in ben 65 materie, l’allargamento delle competenze dell’Unione e della Commissione europea in particolare, l’avvio di una difesa europea, l’obbligatorietà di adottare l’euro come moneta per tutti gli Stati membri. Nel complesso si tratta di 267 emendamenti ai trattati in essere, ed oltre all’abolizione dell’unanimità in Consiglio a preoccupare è l’allargamento delle competenze che sarebbero assegnate a Bruxelles anche in via esclusiva.La proposta di modifica raccoglie il consenso della attuale maggioranza parlamentare a Bruxelles, che vede alleati il Partito popolare europeo, i socialdemocratici, i verdi e i liberali di Renew Europe. Contro si sono schierati i gruppi dei Conservatori di Ecr e il gruppo Identità e Democrazia. Il progetto intende abolire l’unanimità nel Consiglio europeo su materie importanti, quali ad esempio la politica estera. La Commissione diventerebbe un vero governo dell’Unione (infatti il progetto la vorrebbe ribattezzare «Esecutivo europeo»). La proposta disegna anche un allargamento delle competenze di Bruxelles in tema di sicurezza e difesa, con la creazione di una forza armata al comando dell’esecutivo. Altri settori interessati dal rafforzamento delle competenze concorrenti dell’Unione saranno la giustizia, la sanità, il mercato unico. Si chiede la competenza esclusiva dell’Unione sull’ambiente, togliendo quindi questa autorità agli Stati. Il complesso delle modifiche ai trattati disegna nei fatti un’altra Unione europea, per certi versi più simile ad una federazione. A tutti gli effetti, si tratterebbe di un nuovo trattato e di una nuova Unione europea, dove però il collegamento con la sovranità popolare sarebbe ancora più rarefatto. Non solo il livello nazionale delle democrazie rappresentative verrebbe ulteriormente svuotato, trasferendo a Bruxelles nuove competenze. Ma si introdurrebbe il principio che l’unanimità non è necessaria per decidere. «I padri fondatori dell’Unione europea avevano previsto l’unanimità proprio per evitare maggioranze di paesi che potevano imporsi a danno di altri» afferma Antonio Maria Rinaldi (Lega, gruppo Identità e Democrazia), unico italiano in commissione ad aver votato contro il progetto. Gli altri italiani presenti in commissione Afco (Mercedes Bresso e Giuliano Pisapia del gruppo socialdemocratico, Sandro Gozi del gruppo Renew Europe) hanno votato a favore. Renew è lo stesso gruppo del relatore del provvedimento, l’olandese Guy Verhofstadt.«Se passasse questa proposta, si creerebbero dei «patti di sindacato» occulti tra Paesi, che metterebbero in minoranza i governi dei Paesi che non si allineano ai voleri del gruppo egemone. Con la scusa di non farsi imbrigliare da Polonia e Ungheria, in realtà questa riforma mira al bersaglio grosso, cioè l’Italia. A quel punto non potremo che ubbidire a tutto quello che ci viene imposto, senza poter eccepire nulla. Sarebbe il trionfo del vincolo esterno», chiosa Rinaldi. In effetti, l’unanimità rappresenta uno degli ultimi brandelli di sovranità popolare, cioè di democrazia, all’interno dell’Ue. Il Consiglio europeo è l’organo in cui siedono i rappresentanti dei governi nazionali, che sono stati eletti democraticamente in via diretta o che sono in carica in base a maggioranze parlamentari effettive a livello nazionale. Se neppure in quella sede un governo che si basa sulla sovranità popolare può riuscire ad influire sulle politiche europee, quel poco di democrazia residua è di fatto spazzata via. Il tema è importante ed è relativo al già grave deficit democratico delle istituzioni europee. Ricordiamo infatti che il Parlamento europeo, unico organo elettivo dell’Unione, ad oggi non ha neppure l’iniziativa legislativa. Il progetto di riforma vorrebbe assegnargli questo potere ma, nel farlo, dall’altra parte cancella il principio dell’unanimità in Consiglio, che è lo strumento più potente per influenzare la politica di Bruxelles. A novembre si terrà l’assemblea plenaria che dovrebbe discutere il progetto proposto e già approvato dalla commissione Afco. Il governo spagnolo, che è presidente di turno dell’Unione, è determinato ad accelerare i tempi e a porre al più presto possibile la questione sul tavolo del Consiglio europeo competente (quello Affari generali) proponendo la istituzione di una Convenzione ad hoc. Il tentativo, smaccato, è quello di vincere una corsa contro il tempo. Il Consiglio, infatti, in questo caso voterebbe a maggioranza semplice e l’idea della maggioranza è di ottenere un voto favorevole prima della fine della legislatura. Ciò impegnerebbe anche il futuro e una Convenzione dovrebbe essere istituita dopo le elezioni europee di giugno, ipotecando così in partenza la discussione. Le elezioni del prossimo giugno assumono via via sempre maggiore importanza, ed è bene che i cittadini lo sappiano.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lue-piccona-un-altro-pezzo-di-democrazia-2666100616.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="obiettivi-del-green-deal-inattuabili-saremo-sempre-meno-competitivi" data-post-id="2666100616" data-published-at="1698695078" data-use-pagination="False"> «Obiettivi del Green deal inattuabili. Saremo sempre meno competitivi» L’Italia è un Paese dove la chimica, con un valore della produzione di oltre 66 miliardi di euro nel 2022, rappresenta la quinta industria (dopo alimentare, metalli, meccanica, auto e componentistica) e un fornitore indispensabile per tutte le filiere produttive. Si contano 2.800 imprese sul territorio nazionale, con oltre 112.000 addetti altamente qualificati. È stata tra i settori più penalizzati dalla crisi energetica dopo la guerra tra Russia e Ucraina. Nel 2023 si calcola un calo produttivo del 9%, un campanello d’allarme per tutta l’industria, non solo italiana, ma europea. Ma a Bruxelles le politiche sulla transizione ecologica rischiano di peggiorare ancora di più una situazione già di per sé molto preoccupante. E per di più le decisioni a livello europeo sembrano esclusivamente dettate da un’ideologia green che non sembra tenere in considerazione tutti i settori industriali. «Nel 2023 l’industria chimica in Italia subirà un calo della produzione stimato in un -9%: è un pessimo segnale per tutto il sistema economico, sociale e ambientale». Ha spiegato infatti Francesco Buzzella, eletto ieri a Milano presidente Federchimica dall’Assemblea. Il numero uno della chimica italiana non nasconde viva preoccupazione sull’andamento del settore. Nel 2023 il saldo commerciale, pur avendo visto un parziale riassorbimento rispetto ad un 2022 segnato dall’esplosione dei costi energetici, mostra un significativo deterioramento nel confronto con il 2021. Nel 2024 si stima un recupero modesto della produzione in Italia (+1%) e comunque soggetto a rischi al ribasso in relazione all’evolvere dei costi energetici e del quadro economico complessivo. «La chimica», ricorda Buzzella, «è presente nel 95% di tutti i manufatti di uso comune e contribuisce ad alimentare la competitività del Made in Italy e di tutta l’industria. La nostra capacità di innovazione e le nostre ottime performance ambientali di processo e di prodotto ci rendono, di fatto, un veicolo di tecnologia e sostenibilità per tutti i settori a valle». I rischi maggiori arrivano dal Green deal. Del resto, la transizione ambientale «sarà impossibile da realizzare senza una chimica europea forte che fornisca innovazioni tecnologiche per sostituire progressivamente le fonti fossili, al momento ancora necessarie, ridurre le emissioni e cambiare il mix energetico». Secondo Buzzella, «rischiamo di perdere vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti extra-europei per adeguarci a un impianto regolatorio concepito, temo, con tempi e modalità che lo renderanno inattuabile o, peggio, nocivo per lo sviluppo nostro e delle future generazioni». Il problema sono appunto le aspettative di Bruxelles. «Gli obiettivi ambientali Ue», prosegue Buzzella, «sono certamente virtuosi, ma non potranno avere incidenza significativa sull’inquinamento globale, non potendo certo compensare la crescita delle emissioni dei Paesi in via di sviluppo». Anche perché, sostiene il presidente di Federchimica, «prezzi dell’energia troppo alti costringeranno molte delle nostre aziende a produrre fuori dall’Europa, una concorrenza “sleale” verso le aziende europee e anche tra i Paesi europei stessi». Per Buzzella i partiti che parteciperanno alle elezioni europee il prossimo anno devono ricordare che «la chimica è il terzo settore industriale europeo». E quello che ci si aspetta dalle istituzioni, è soprattutto la rimozione «dei blocchi burocratici».
John Grisham (Ansa)
John Grisham, come sempre, tiene incollati alle pagine. Il protagonista del suo nuovo romanzo, un avvocato di provincia, ha tra le mani il caso più grosso della sua vita. Che, però, lo trascinerà sul banco degli imputati.
Fernando Napolitano, amministratore delegato di Irg
Alla conferenza internazionale, economisti e manager da tutto il mondo hanno discusso gli equilibri tra Europa e Stati Uniti. Lo studio rivela un deficit globale di forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero, elementi chiave che costituiscono il dialogo tra imprese e decisori pubblici.
Stamani, presso l’università Bocconi di Milano, si è svolta la conferenza internazionale Influence, Relevance & Growth 2025, che ha riunito economisti, manager, analisti e rappresentanti istituzionali da tutto il mondo per discutere i nuovi equilibri tra Europa e Stati Uniti. Geopolitica, energia, mercati finanziari e sicurezza sono stati i temi al centro di un dibattito che riflette la crescente complessità degli scenari globali e la difficoltà delle imprese nel far sentire la propria voce nei processi decisionali pubblici.
Particolarmente attesa la presentazione del Global 200 Irg, la prima ricerca che misura in modo sistematico la capacità delle imprese di trasferire conoscenza tecnica e industriale ai legislatori e agli stakeholder, contribuendo così a politiche più efficaci e fondate su dati concreti. Lo studio, basato sull’analisi di oltre due milioni di documenti pubblici elaborati con algoritmi di Intelligenza artificiale tra gennaio e settembre 2025, ha restituito un quadro rilevante: solo il 2% delle aziende globali supera la soglia minima di «fitness di influenza», fissata a 20 punti su una scala da 0 a 30. La media mondiale si ferma a 13,6, segno di un deficit strutturale soprattutto in tre dimensioni chiave (forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero) che determinano la capacità reale di incidere sul contesto regolatorio e anticipare i rischi geopolitici.
Dai lavori è emerso come la crisi di influenza non riguardi soltanto le singole imprese, ma l’intero ecosistema economico e politico. Un tema tanto più urgente in una fase segnata da tensioni commerciali, transizioni energetiche accelerate e carenze di competenze nel policy making.
Tra gli interventi più significativi, quello di Ken Hersh, presidente del George W. Bush Presidential Center, che ha analizzato i limiti strutturali delle energie rinnovabili e le prospettive della transizione energetica. Sir William Browder, fondatore di Hermitage Capital, ha messo in guardia sui nuovi rischi della guerra economica tra Occidente e Russia, mentre William E. Mayer, chairman emerito dell’Aspen Institute, ha illustrato le ricadute della geopolitica sui mercati finanziari. Dal fronte italiano, Alessandro Varaldo ha sottolineato che, dati alla mano, non ci sono bolle all’orizzonte e l’Europa ha tutti gli ingredienti a patto che si cominci un processo per convincere i risparmiatori a investire nelle economia reale. Davide Serra ha analizzato la realtà Usa e come Donald Trump abbia contribuito a risvegliarla dal suo torpore. Il dollaro è molto probabilmente ancora sopravvalutato. Thomas G.J. Tugendhat, già ministro britannico per la Sicurezza, ha offerto infine una prospettiva preziosa sul futuro della cooperazione tra Regno Unito e Unione Europea.
Un messaggio trasversale ha attraversato tutti gli interventi: l’influenza non si costruisce in un solo ambito, ma nasce dall’integrazione tra governance, innovazione, responsabilità sociale e capacità di comunicazione. Migliorare un singolo aspetto non basta. La ricerca mostra una correlazione forte tra innovazione e leadership di pensiero, così come tra responsabilità sociale e cittadinanza globale: competenze che, insieme, definiscono la solidità e la credibilità di un’impresa nel lungo periodo.
Per Stefano Caselli, rettore della Bocconi, la sfida formativa è proprio questa: «Creare leader capaci di tradurre la competenza tecnica in strumenti utili per chi governa».
«L’Irg non è un nuovo indice di reputazione, ma un sistema operativo che consente alle imprese di aumentare la protezione del valore dell’azionista e degli stakeholder», afferma Fernando Napolitano, ad di Irg. «Oggi le imprese operano in contesti dove i legislatori non hanno più la competenza tecnica necessaria a comprendere la complessità delle industrie e dei mercati. Serve un trasferimento strutturato di conoscenza per evitare policy inefficaci che distruggono valore».
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