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2020-03-04
L’Ue elogia la Grecia che fa da scudo. Ma ha sempre lasciato sola l’Italia
Ansa
Perfino un pretoriano europeista come Federico Fubini, via Twitter, ha dovuto notare l'incongruenza: «Oggi Ursula von der Leyen e Charles Michel vanno al confine greco-turco a dare sostegno a Kyriakos Mitsotakis che fa respingere i rifugiati», ha scritto. «Ma tutto questo non è molto diverso dal modo in cui Matteo Salvini bloccava le navi delle Ong fuori dai porti, forse è peggio».
Ieri, in effetti, sembrava che Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, fosse reduce dalla lettura di 300, il romanzo a fumetti di Frank Miller che rivisita in chiave piuttosto pulp la battaglia delle Termopili. «Grazie alla Grecia per essere il nostro scudo», ha detto in una conferenza stampa a cui hanno partecipato pure il presidente del consiglio europeo, Charles Michel, il presidente del parlamento europeo, David Sassoli, e il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis. Ci mancavano solo gli spartiati a far risuonare le lance. «La situazione ai confini non deve essere gestita solamente dalla Grecia, ma è responsabilità dell'Europa nel suo insieme e noi la gestiremo ordinariamente con unità, solidarietà e determinazione», ha spiegato ancora la von der Leyen. «Chi cerca di mettere alla prova l'unità dell'Europa resterà deluso. Manterremo la linea e la nostra unità prevarrà».
Poi ha aggiunto: «È importante essere qui oggi per dirvi che i problemi della Grecia sono i nostri problemi. Questo confine non è solo un confine greco: è un confine europeo, e io oggi sono qui come una cittadina europea al vostro fianco. Voglio anche esprimere la mia compassione per i migranti che sono stati spinti da false promesse in questa situazione disperata». Da un certo punto di vista, sono parole molto confortanti. L'Unione europea fa sapere che il confine va protetto, e che la Turchia non può permettersi di utilizzare «armi di migrazione di massa» per ricattare gli Stati membri.
Il tono della von der Leyen è stato quasi militaresco: «La nostra priorità è assicurare il mantenimento dell'ordine alla frontiera greca, che è anche una frontiera europea», ha ribadito. «Sono più che disponibile a mobilitare tutto il supporto necessario per le operazioni alle autorità greche. Dietro richiesta della Grecia, Frontex si sta preparando a mettere in campo una squadra di controllo del confine. Frontex ha messo a disposizione una nave off-shore, 6 navi di pattuglia lungo le coste, 2 elicotteri, un aeromobile, 3 veicoli di termovisione, 100 guardie di frontiera (oltre le 530 guardie già in servizio): queste le forze messe a disposizione da Frontex via mare e via terra». Un dispiegamento di uomini e mezzi niente affatto secondario.
Tuttavia viene da chiedersi: se la Grecia è lo «scudo d'Europa», l'Italia che diamine è? La risposta sorge rapida, ma non è delle più gradevoli, anzi. I greci vengono trattati da eroi, e ci mancherebbe. Però Matteo Salvini che voleva chiudere i porti era considerato una specie di criminale di guerra. Anche nei momenti di massima emergenza, dalle nostre parti non si è visto planare alcun capoccione europeo pronto a elencare i mezzi messi a disposizione per arginare i flussi imponenti. E questo atteggiamento menefreghistico nei nostri confronti continua ancora oggi. Su Panorama Fausto Biloslavo riporta le affermazioni dell'europarlamentare leghista Marco Dreosto: «È da ottobre che chiedo all'Unione europea di non lasciare sola la mia regione, il Friuli-Venezia Giulia, per quanto riguarda la lotta balcanica. Con sloveni e croati abbiamo fatto un'interrogazione chiedendo maggiori fondi, controlli transfrontalieri e l'utilizzo di nuove tecnologie, come i droni, per bloccare il flusso dei migranti. Sto ancora aspettando una risposta».
Niente elicotteri né aeromobili, per noi. Al massimo ci hanno riservato e ci riservano spocchia e occhiate di traverso. Oppure mezze fregature come il (presunto) accordo di Malta. Da un lato, ovviamente, pesa l'imbarazzo europeo nei confronti della Grecia: dopo averla maltrattata come sappiamo, oggi i vertici Ue non possono permettersi di abbandonarla al suo destino. Inoltre, in questa brutta faccenda c'è di mezzo anche la non irrilevante signora Angela Merkel, principale artefice del vergognoso accordo con Erdogan sul blocco dei migranti provenienti dalla Turchia. La stessa Merkel che pubblicamente adesso fa la voce grossa, ma lontano dai riflettori è più che disponibile alla trattativa con il Sultano, a costo di farci sganciare altri miliardi.
La pantomima di ieri, insomma, è l'ennesima dimostrazione che ci si può accordare con gli autocrati, si può usare la forza, si possono bloccare i profughi in arrivo in maniera molto più ruvida di quanto il nostro Paese abbia mai fatto. Insomma, il caso greco chiarisce che proteggere i confini si può, anzi si deve. A patto che non lo facciano i sovranisti italiani.
Atene non si piega ai ricatti di Erdogan: «Niente lezioni sui diritti dai turchi»
La Turchia indica ai profughi la strada verso Atene a colpi di lacrimogeni, la Grecia, che ha blindato i confini e inviato l'esercito a sorvegliare le frontiere marittime e terrestri, li respinge e, se riescono a varcare i confini, li arresta. I flussi migratori sulla rotta balcanica sono ormai al centro di uno scontro diplomatico che al momento sembra difficile da ricomporre.
I turchi accusano i greci di aver ucciso un migrante siriano sparando proiettili di gomma sulla calca al confine terrestre e di aver speronato, a largo di Lesbo, un gommone che si è capovolto, causando la morte di un bimbo. Il tutto condito da immagini video diffuse direttamente dalle autorità turche. Fin qui la propaganda, amplificata dalla tv di Stato turca e dalla stampa di regime. Ma le notizie agghiaccianti, stando all'ultimo rapporto della Commissione d'inchiesta Onu sulla guerra in Siria, arrivano in realtà da Idlib, martoriato capoluogo della regione Nord occidentale siriana al centro del conflitto tra Turchia e governo siriano, dove c'è stata una nuova strage di civili: nove le vittime, di cui cinque bambini. Un razzo sparato dall'aviazione di Damasco ha centrato una strada nel centro cittadino, aprendo un cratere nell'asfalto e colpendo con schegge e detriti i palazzi che si affacciano sulla strada.
Le Ong poco dopo il raid hanno pubblicato le immagini della zona colpita.
I greci, ovviamente, rispediscono le accuse turche al mittente: «Quando un Paese usa le persone come ariete, fabbrica false notizie per fuorviarle e viola sistematicamente la sovranità e i diritti sovrani dei Paesi vicini, non è in grado di puntare il dito su nessuno», sostiene il ministro degli Esteri greco Nikos Dendias, aggiungendo che Ankara non sarebbe in grado di «tenere lezioni sul diritto internazionale e diritti umani». E puntano l'indice contro i turchi, rei di minacciare consapevolmente le sicurezza nazionale di Atene. Le Forze armate e la polizia greca mantengono alto lo stato di allerta al confine, dove ormai la calca di siriani, iracheni, iraniani e afghani alle prese con i tentativi di superare la frontiera è a quota 10.000. E stando a quanto riporta la stampa locale, dall'alba di sabato le autorità greche hanno impedito l'ingresso nel Paese a oltre 24.000 immigrati. Altri 183 sono stati arrestati e alcuni di loro sono già stati condannati a quattro anni di carcere e a una multa da 10.000 euro. Altri 2.000 si sarebbero concentrati nei pressi del varco di Pazarkule, mentre alcune centinaia, a bordo di gommoni, sono sbarcati sull'isola greca di Lesbo.
Dove, però, almeno in alcuni casi, sono stati oggetto di un'accoglienza tutt'altro che amichevole da parte della popolazione locale. Il governo greco, inoltre, rivendica che la sospensione del processo per le richieste di asilo è in linea e in regola con il diritto internazionale, perché Atene in questo momento è costretta a fronteggiare massicci arrivi di migranti e non singoli ingressi.
«L'Europa non sarà ricattata dalla Turchia sulla questione migranti», ha detto il premier greco, Kyriakos Mitsotakis da Kastanies, nell'estremo Nord Est della Grecia, il valico di frontiera da giorni sotto il pressing dei migranti che, sul lato turco, sperano di entrare in Europa. «Sfortunatamente», ha affermato il leader greco citando video sui social che mostrano funzionari turchi che offrono ai migranti corse gratuite fino al confine greco, «la Turchia si è trasformata in un trafficante di migranti».
Mitsotakis ha aggiunto anche che la Grecia, che sta fermando il flusso dei migranti dalla Turchia, sta rendendo un grande servizio all'Europa e che si attende solidarietà dal resto dell'Unione. E infatti il presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, non si è fatta attendere: «Le preoccupazioni della Grecia sono anche le nostre. Questo non è solo il confine greco ma è il confine europeo. E vorrei esprimere anche la mia compassione per i migranti che sono stati attratti da false promesse in questa situazione disperata». Von der Leyen è in visita sul confine greco-turco, accompagnata dal presidente del Parlamento europeo David Sassoli, dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel, dal primo ministro croato in rappresentanza della presidenza di turno del Consiglio dell'Ue Andrej Plenkovic, e dal primo ministro greco Mitsotakis. «Manterremo la linea», annuncia Von der Leyen, «e la nostra unità prevarrà. La Turchia non è un nemico e le persone non sono mezzi per raggiungere un obiettivo. Grazie alla Grecia per essere lo scudo d'Europa». La posizione europea, quindi, in questo caso è per respingere i migranti. E la priorità, ora, è mettere ordine al confine greco.
Il leader del Carroccio Matteo Salvini propone di azzerare l'accordo del 2016 (il governo di Ankara si impegnò a mantenere all'interno del proprio territorio i profughi siriani e l'Ue mise sul piatto 3 miliardi di euro), di dare uno stop definitivo ai tentativi della Turchia di entrare in Europa, di cancellare l'accordo doganale del 1995 tra l'Ue e Ankara e, soprattutto, di aiutare Grecia e Bulgaria a difendere i propri confini. «L'atteggiamento di Erdogan è inaccettabile e merita misure drastiche», sostiene l'ex ministro dell'Interno. Secondo Salvini, gli Stati europei dovrebbero inviare «immediatamente soldati e mezzi militari per proteggere il confine greco-turco e quello bulgaro-turco. Da anni la Lega solleva il pericolo che viene dalla Turchia». E invita l'Europa ad aprire gli occhi, «prima che sia troppo tardi».
La fatwa dell’imam Lerner sullo studioso israeliano «colpevole» di sovranismo
A Gad Lerner non è piaciuto il successo in Italia del libro intitolato Le virtù del nazionalismo di Yoram Hazony. Non è piaciuto soprattutto che il saggio di un intellettuale ebreo sia diventato punto di riferimento per gli ambienti politici e culturali di destra. Così su Repubblica ha scritto un lungo articolo di stroncatura in cui parla dei cattivi maestri che vorrebbero sdoganare «La bibbia versione sovranista». Abbiamo incontrato il traduttore del saggio incriminato, Vittorio Robiati Bendaud, già collaboratore del presidente del tribunale rabbinico del centro-nord Italia Giuseppe Laras. Robiati accoglie con una certa sorpresa le rimostranze di Lerner, ma nello stesso tempo lo ringrazia «per la pubblicità che ha fatto al libro di Hazony».
Per Lerner, Hazony è diventato una sorta di «guru dei sovranisti», e le sue tesi (titola Repubblica) sono deliranti. «Oggi c'è un problema ad accettare posizioni diverse dalla propria», dice Robiati Bendaud. «La tesi che non piace viene criminalizzata. Questo è un atteggiamento che per chi ha una formazione umanistica è devastante. Lerner utilizza troppo spesso il termine “cattivi maestri". Se vale per alcuni intellettuali di destra, vorrei ricordare che ci sono stati anche cattivi maestri collusi con l'altra grande ideologia totalitaria del nostro tempo, il comunismo».
Non solo: Lerner insiste sul fatto che siano uscite recensioni-fotocopia ad elogiare il libro, quasi a parlare di un consenso per sentito dire. «Guardi io sono convinto che il libro non è piaciuto a Lerner perché è piaciuto a Giorgia Meloni», dice Bendaud. «Se non fosse stato pubblicamente apprezzato dalla Meloni, magari sarebbe piaciuto un po' di più a Lerner. Battuta a parte, a me non pare che le recensioni fatte da Corrado Ocone, da Ferraresi, la vostra stessa recensione siano state delle fotocopie».
Lerner, come prevedibile, contesta l'idea centrale che la nazione oggi sia un baluardo rispetto a poteri forti globalisti. «Considera raccapricciante o ridicolo il concetto di “tribù". Eppure ci sono sociologi illustri e scienziati cognitivi che ritengono fondamentali tali legami dell'identità personale e collettiva», dice Bendaud. «Non mi sembra che autori come Gellner o Anthony Smith della London School Economics, che sono punti di riferimento per Hazony, siano dei mostri deliranti. Ci andrei più cauto in questi giudizi poco costruttivi». Il punto, inoltre, è che se uno non la pensa come te non necessariamente è Hitler…
«Anche Salvini», continua Bendaud, «quando ha organizzato il convegno sull'antisemitismo al Senato a fine gennaio ha invitato un intellettuale di peso del mondo conservatore, il professor Douglas Murray. Murray, critico dell'attuale Europa e delle derive di certo pensiero occidentale, combatte l'antisemitismo ed è dichiaratamente gay. Per amore di polemica e ideologia lo facciamo passare come un traditore che ammicca al fascismo?».
Questa ostilità preconcetta contro ogni forma di legame comunitario-nazionale, alla fine, si traduce anche in ostilità nei confronti dello Stato di Israele. «Gli antisemiti per secoli hanno visto negli ebrei i portatori di una ideologia cosmopolita oppure li hanno ritenuti troppo attaccati all'elemento particolaristico nazionale», spiega Bendaud. «Due accuse opposte. In realtà proprio un grande cultore del cosmopolitismo come Kant diceva cose durissime contro gli ebrei, proprio perché non si volevano normalizzare ossia omologare. Oggi non vorrei che si stigmatizzasse con la stessa foga chi cerca di rivendicare la dignità del concetto prezioso di nazione».
Lerner, alla fine del suo pezzo, sostiene che Abramo, fu un «viaggiatore» che si buttò alle spalle la terra di origine per andare oltre, libero da ogni legame. Ma forse ha sbagliato bersaglio. «A dire il vero», conclude Bendaud, «il patriarca Abramo si lasciò alle spalle la dipendenza da un grande impero come Babilonia, rifiutò di omologarsi all'altro grande impero come l'Egitto e andò verso una terra per sé e la sua discendenza tracciando anche un confine».
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Ursula von der Leyen: «I loro problemi sono i nostri problemi. Priorità è mantenere ordine alla frontiera» È l'ennesima dimostrazione che, per l'Europa, proteggere i confini si può. Tranne se siamo noi a farlo.Scambio di accuse sulle aggressioni ai migranti, che ancora vengono fermati. La Lega: «Gli Stati Ue mandino l'esercito».Feroce attacco di Gad Lerner su Repubblica al biblista Yoram Hazony Robiati Bendaud: «Svilisce un autore di rilevanza mondiale».Lo speciale contiene tre articoli.Perfino un pretoriano europeista come Federico Fubini, via Twitter, ha dovuto notare l'incongruenza: «Oggi Ursula von der Leyen e Charles Michel vanno al confine greco-turco a dare sostegno a Kyriakos Mitsotakis che fa respingere i rifugiati», ha scritto. «Ma tutto questo non è molto diverso dal modo in cui Matteo Salvini bloccava le navi delle Ong fuori dai porti, forse è peggio». Ieri, in effetti, sembrava che Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, fosse reduce dalla lettura di 300, il romanzo a fumetti di Frank Miller che rivisita in chiave piuttosto pulp la battaglia delle Termopili. «Grazie alla Grecia per essere il nostro scudo», ha detto in una conferenza stampa a cui hanno partecipato pure il presidente del consiglio europeo, Charles Michel, il presidente del parlamento europeo, David Sassoli, e il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis. Ci mancavano solo gli spartiati a far risuonare le lance. «La situazione ai confini non deve essere gestita solamente dalla Grecia, ma è responsabilità dell'Europa nel suo insieme e noi la gestiremo ordinariamente con unità, solidarietà e determinazione», ha spiegato ancora la von der Leyen. «Chi cerca di mettere alla prova l'unità dell'Europa resterà deluso. Manterremo la linea e la nostra unità prevarrà». Poi ha aggiunto: «È importante essere qui oggi per dirvi che i problemi della Grecia sono i nostri problemi. Questo confine non è solo un confine greco: è un confine europeo, e io oggi sono qui come una cittadina europea al vostro fianco. Voglio anche esprimere la mia compassione per i migranti che sono stati spinti da false promesse in questa situazione disperata». Da un certo punto di vista, sono parole molto confortanti. L'Unione europea fa sapere che il confine va protetto, e che la Turchia non può permettersi di utilizzare «armi di migrazione di massa» per ricattare gli Stati membri. Il tono della von der Leyen è stato quasi militaresco: «La nostra priorità è assicurare il mantenimento dell'ordine alla frontiera greca, che è anche una frontiera europea», ha ribadito. «Sono più che disponibile a mobilitare tutto il supporto necessario per le operazioni alle autorità greche. Dietro richiesta della Grecia, Frontex si sta preparando a mettere in campo una squadra di controllo del confine. Frontex ha messo a disposizione una nave off-shore, 6 navi di pattuglia lungo le coste, 2 elicotteri, un aeromobile, 3 veicoli di termovisione, 100 guardie di frontiera (oltre le 530 guardie già in servizio): queste le forze messe a disposizione da Frontex via mare e via terra». Un dispiegamento di uomini e mezzi niente affatto secondario. Tuttavia viene da chiedersi: se la Grecia è lo «scudo d'Europa», l'Italia che diamine è? La risposta sorge rapida, ma non è delle più gradevoli, anzi. I greci vengono trattati da eroi, e ci mancherebbe. Però Matteo Salvini che voleva chiudere i porti era considerato una specie di criminale di guerra. Anche nei momenti di massima emergenza, dalle nostre parti non si è visto planare alcun capoccione europeo pronto a elencare i mezzi messi a disposizione per arginare i flussi imponenti. E questo atteggiamento menefreghistico nei nostri confronti continua ancora oggi. Su Panorama Fausto Biloslavo riporta le affermazioni dell'europarlamentare leghista Marco Dreosto: «È da ottobre che chiedo all'Unione europea di non lasciare sola la mia regione, il Friuli-Venezia Giulia, per quanto riguarda la lotta balcanica. Con sloveni e croati abbiamo fatto un'interrogazione chiedendo maggiori fondi, controlli transfrontalieri e l'utilizzo di nuove tecnologie, come i droni, per bloccare il flusso dei migranti. Sto ancora aspettando una risposta». Niente elicotteri né aeromobili, per noi. Al massimo ci hanno riservato e ci riservano spocchia e occhiate di traverso. Oppure mezze fregature come il (presunto) accordo di Malta. Da un lato, ovviamente, pesa l'imbarazzo europeo nei confronti della Grecia: dopo averla maltrattata come sappiamo, oggi i vertici Ue non possono permettersi di abbandonarla al suo destino. Inoltre, in questa brutta faccenda c'è di mezzo anche la non irrilevante signora Angela Merkel, principale artefice del vergognoso accordo con Erdogan sul blocco dei migranti provenienti dalla Turchia. La stessa Merkel che pubblicamente adesso fa la voce grossa, ma lontano dai riflettori è più che disponibile alla trattativa con il Sultano, a costo di farci sganciare altri miliardi. La pantomima di ieri, insomma, è l'ennesima dimostrazione che ci si può accordare con gli autocrati, si può usare la forza, si possono bloccare i profughi in arrivo in maniera molto più ruvida di quanto il nostro Paese abbia mai fatto. Insomma, il caso greco chiarisce che proteggere i confini si può, anzi si deve. A patto che non lo facciano i sovranisti italiani. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lue-elogia-la-grecia-che-fa-da-scudo-ma-ha-sempre-lasciato-sola-litalia-2645374240.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="atene-non-si-piega-ai-ricatti-di-erdogan-niente-lezioni-sui-diritti-dai-turchi" data-post-id="2645374240" data-published-at="1764967410" data-use-pagination="False"> Atene non si piega ai ricatti di Erdogan: «Niente lezioni sui diritti dai turchi» La Turchia indica ai profughi la strada verso Atene a colpi di lacrimogeni, la Grecia, che ha blindato i confini e inviato l'esercito a sorvegliare le frontiere marittime e terrestri, li respinge e, se riescono a varcare i confini, li arresta. I flussi migratori sulla rotta balcanica sono ormai al centro di uno scontro diplomatico che al momento sembra difficile da ricomporre. I turchi accusano i greci di aver ucciso un migrante siriano sparando proiettili di gomma sulla calca al confine terrestre e di aver speronato, a largo di Lesbo, un gommone che si è capovolto, causando la morte di un bimbo. Il tutto condito da immagini video diffuse direttamente dalle autorità turche. Fin qui la propaganda, amplificata dalla tv di Stato turca e dalla stampa di regime. Ma le notizie agghiaccianti, stando all'ultimo rapporto della Commissione d'inchiesta Onu sulla guerra in Siria, arrivano in realtà da Idlib, martoriato capoluogo della regione Nord occidentale siriana al centro del conflitto tra Turchia e governo siriano, dove c'è stata una nuova strage di civili: nove le vittime, di cui cinque bambini. Un razzo sparato dall'aviazione di Damasco ha centrato una strada nel centro cittadino, aprendo un cratere nell'asfalto e colpendo con schegge e detriti i palazzi che si affacciano sulla strada. Le Ong poco dopo il raid hanno pubblicato le immagini della zona colpita. I greci, ovviamente, rispediscono le accuse turche al mittente: «Quando un Paese usa le persone come ariete, fabbrica false notizie per fuorviarle e viola sistematicamente la sovranità e i diritti sovrani dei Paesi vicini, non è in grado di puntare il dito su nessuno», sostiene il ministro degli Esteri greco Nikos Dendias, aggiungendo che Ankara non sarebbe in grado di «tenere lezioni sul diritto internazionale e diritti umani». E puntano l'indice contro i turchi, rei di minacciare consapevolmente le sicurezza nazionale di Atene. Le Forze armate e la polizia greca mantengono alto lo stato di allerta al confine, dove ormai la calca di siriani, iracheni, iraniani e afghani alle prese con i tentativi di superare la frontiera è a quota 10.000. E stando a quanto riporta la stampa locale, dall'alba di sabato le autorità greche hanno impedito l'ingresso nel Paese a oltre 24.000 immigrati. Altri 183 sono stati arrestati e alcuni di loro sono già stati condannati a quattro anni di carcere e a una multa da 10.000 euro. Altri 2.000 si sarebbero concentrati nei pressi del varco di Pazarkule, mentre alcune centinaia, a bordo di gommoni, sono sbarcati sull'isola greca di Lesbo. Dove, però, almeno in alcuni casi, sono stati oggetto di un'accoglienza tutt'altro che amichevole da parte della popolazione locale. Il governo greco, inoltre, rivendica che la sospensione del processo per le richieste di asilo è in linea e in regola con il diritto internazionale, perché Atene in questo momento è costretta a fronteggiare massicci arrivi di migranti e non singoli ingressi. «L'Europa non sarà ricattata dalla Turchia sulla questione migranti», ha detto il premier greco, Kyriakos Mitsotakis da Kastanies, nell'estremo Nord Est della Grecia, il valico di frontiera da giorni sotto il pressing dei migranti che, sul lato turco, sperano di entrare in Europa. «Sfortunatamente», ha affermato il leader greco citando video sui social che mostrano funzionari turchi che offrono ai migranti corse gratuite fino al confine greco, «la Turchia si è trasformata in un trafficante di migranti». Mitsotakis ha aggiunto anche che la Grecia, che sta fermando il flusso dei migranti dalla Turchia, sta rendendo un grande servizio all'Europa e che si attende solidarietà dal resto dell'Unione. E infatti il presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, non si è fatta attendere: «Le preoccupazioni della Grecia sono anche le nostre. Questo non è solo il confine greco ma è il confine europeo. E vorrei esprimere anche la mia compassione per i migranti che sono stati attratti da false promesse in questa situazione disperata». Von der Leyen è in visita sul confine greco-turco, accompagnata dal presidente del Parlamento europeo David Sassoli, dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel, dal primo ministro croato in rappresentanza della presidenza di turno del Consiglio dell'Ue Andrej Plenkovic, e dal primo ministro greco Mitsotakis. «Manterremo la linea», annuncia Von der Leyen, «e la nostra unità prevarrà. La Turchia non è un nemico e le persone non sono mezzi per raggiungere un obiettivo. Grazie alla Grecia per essere lo scudo d'Europa». La posizione europea, quindi, in questo caso è per respingere i migranti. E la priorità, ora, è mettere ordine al confine greco. Il leader del Carroccio Matteo Salvini propone di azzerare l'accordo del 2016 (il governo di Ankara si impegnò a mantenere all'interno del proprio territorio i profughi siriani e l'Ue mise sul piatto 3 miliardi di euro), di dare uno stop definitivo ai tentativi della Turchia di entrare in Europa, di cancellare l'accordo doganale del 1995 tra l'Ue e Ankara e, soprattutto, di aiutare Grecia e Bulgaria a difendere i propri confini. «L'atteggiamento di Erdogan è inaccettabile e merita misure drastiche», sostiene l'ex ministro dell'Interno. Secondo Salvini, gli Stati europei dovrebbero inviare «immediatamente soldati e mezzi militari per proteggere il confine greco-turco e quello bulgaro-turco. Da anni la Lega solleva il pericolo che viene dalla Turchia». E invita l'Europa ad aprire gli occhi, «prima che sia troppo tardi». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lue-elogia-la-grecia-che-fa-da-scudo-ma-ha-sempre-lasciato-sola-litalia-2645374240.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="la-fatwa-dellimam-lerner-sullo-studioso-israeliano-colpevole-di-sovranismo" data-post-id="2645374240" data-published-at="1764967410" data-use-pagination="False"> La fatwa dell’imam Lerner sullo studioso israeliano «colpevole» di sovranismo A Gad Lerner non è piaciuto il successo in Italia del libro intitolato Le virtù del nazionalismo di Yoram Hazony. Non è piaciuto soprattutto che il saggio di un intellettuale ebreo sia diventato punto di riferimento per gli ambienti politici e culturali di destra. Così su Repubblica ha scritto un lungo articolo di stroncatura in cui parla dei cattivi maestri che vorrebbero sdoganare «La bibbia versione sovranista». Abbiamo incontrato il traduttore del saggio incriminato, Vittorio Robiati Bendaud, già collaboratore del presidente del tribunale rabbinico del centro-nord Italia Giuseppe Laras. Robiati accoglie con una certa sorpresa le rimostranze di Lerner, ma nello stesso tempo lo ringrazia «per la pubblicità che ha fatto al libro di Hazony». Per Lerner, Hazony è diventato una sorta di «guru dei sovranisti», e le sue tesi (titola Repubblica) sono deliranti. «Oggi c'è un problema ad accettare posizioni diverse dalla propria», dice Robiati Bendaud. «La tesi che non piace viene criminalizzata. Questo è un atteggiamento che per chi ha una formazione umanistica è devastante. Lerner utilizza troppo spesso il termine “cattivi maestri". Se vale per alcuni intellettuali di destra, vorrei ricordare che ci sono stati anche cattivi maestri collusi con l'altra grande ideologia totalitaria del nostro tempo, il comunismo». Non solo: Lerner insiste sul fatto che siano uscite recensioni-fotocopia ad elogiare il libro, quasi a parlare di un consenso per sentito dire. «Guardi io sono convinto che il libro non è piaciuto a Lerner perché è piaciuto a Giorgia Meloni», dice Bendaud. «Se non fosse stato pubblicamente apprezzato dalla Meloni, magari sarebbe piaciuto un po' di più a Lerner. Battuta a parte, a me non pare che le recensioni fatte da Corrado Ocone, da Ferraresi, la vostra stessa recensione siano state delle fotocopie». Lerner, come prevedibile, contesta l'idea centrale che la nazione oggi sia un baluardo rispetto a poteri forti globalisti. «Considera raccapricciante o ridicolo il concetto di “tribù". Eppure ci sono sociologi illustri e scienziati cognitivi che ritengono fondamentali tali legami dell'identità personale e collettiva», dice Bendaud. «Non mi sembra che autori come Gellner o Anthony Smith della London School Economics, che sono punti di riferimento per Hazony, siano dei mostri deliranti. Ci andrei più cauto in questi giudizi poco costruttivi». Il punto, inoltre, è che se uno non la pensa come te non necessariamente è Hitler… «Anche Salvini», continua Bendaud, «quando ha organizzato il convegno sull'antisemitismo al Senato a fine gennaio ha invitato un intellettuale di peso del mondo conservatore, il professor Douglas Murray. Murray, critico dell'attuale Europa e delle derive di certo pensiero occidentale, combatte l'antisemitismo ed è dichiaratamente gay. Per amore di polemica e ideologia lo facciamo passare come un traditore che ammicca al fascismo?». Questa ostilità preconcetta contro ogni forma di legame comunitario-nazionale, alla fine, si traduce anche in ostilità nei confronti dello Stato di Israele. «Gli antisemiti per secoli hanno visto negli ebrei i portatori di una ideologia cosmopolita oppure li hanno ritenuti troppo attaccati all'elemento particolaristico nazionale», spiega Bendaud. «Due accuse opposte. In realtà proprio un grande cultore del cosmopolitismo come Kant diceva cose durissime contro gli ebrei, proprio perché non si volevano normalizzare ossia omologare. Oggi non vorrei che si stigmatizzasse con la stessa foga chi cerca di rivendicare la dignità del concetto prezioso di nazione». Lerner, alla fine del suo pezzo, sostiene che Abramo, fu un «viaggiatore» che si buttò alle spalle la terra di origine per andare oltre, libero da ogni legame. Ma forse ha sbagliato bersaglio. «A dire il vero», conclude Bendaud, «il patriarca Abramo si lasciò alle spalle la dipendenza da un grande impero come Babilonia, rifiutò di omologarsi all'altro grande impero come l'Egitto e andò verso una terra per sé e la sua discendenza tracciando anche un confine».
Il ministro ha ricordato che il concorrente europeo Fcas (Future combat aircraft system) avanza a ritmo troppo lento per disaccordi tra Airbus (Francia-Germania) e Dassault (Francia) riguardanti i diritti e la titolarità delle tecnologie. «È fallito il programma franco-tedesco […], probabilmente la Germania potrebbe entrare a far parte in futuro di questo progetto [...]. Abbiamo avuto richieste da Canada, Arabia Saudita, e penso che l’Australia possa essere interessata. Più nazioni salgono più aumenta la massa critica che puoi investire e meno costerà ogni esemplare». Tutto vero, rimangono però perplessità su un possibile coinvolgimento dei sauditi per due ragioni. La prima: l’Arabia sta incrementando i rapporti industriali militari con la Cina, che così avrebbe accesso ai segreti del nuovo caccia. La seconda: l’Arabia Saudita aveva finanziato anche altri progetti e tra questi persino uno con la Turchia, nazione che, dopo essere stata espulsa dal programma F-35 durante il primo mandato presidenziale di Trump a causa dell’acquisto dei missili russi S-400, ora sta cercando di rientrarci trovando aperture dalla Casa Bianca. Anche perché lo stesso Trump ha risposto in modo possibilista alla richiesta di Riad di poter acquisire lo stesso caccia nonostante gli avvertimenti del Pentagono sulla presenza cinese.
Per l’Italia, sede della fabbrica Faco di Cameri (Novara) che gli F-35 li assembla, con la previsione di costruire parti del Gcap a Torino Caselle (dove oggi si fanno quelle degli Eurofighter Typhoon), significherebbe creare una ricaduta industriale per qualche decennio. Ma dall’altra parte delle Alpi la situazione Fcas è complicata: un incontro sul futuro caccia che si sarebbe dovuto tenere in ottobre è stato rinviato per i troppi ostacoli insorti nella proprietà intellettuale del progetto. Se dovesse fallire, Berlino potrebbe essere colpita molto più duramente di Parigi. Questo perché la Francia, con Dassault, avrebbe la capacità tecnica di portare avanti da sola il programma, come del resto ha fatto 30 anni fa abbandonando l’Eurofighter per fare il Rafale. Ma l’impegno finanziario sarebbe enorme. Non a caso il Ceo di Dassault, Eric Trappier, ha insistito sul fatto che, se l’azienda non verrà nominata «leader indiscusso» del programma, lo Fcas potrebbe fallire. Il vantaggio su Airbus è evidente: Dassault potrebbe aggiornare ancora i Rafale passando dalla versione F5 a una possibile F6 e farli durare fino al 2060, ovvero due decenni dalla prevista entrata in servizio del nostro Gcap. Ma se Berlino dovesse abbandonare il progetto, non è scontata l’adesione al Gcap come partner industriale, mentre resterebbe un possibile cliente. Non a caso i tedeschi avrebbero già chiesto di poter assumere lo status di osservatori del programma. Senza Fcas anche la Spagna si troverebbe davanti decisioni difficili: in agosto Madrid aveva dichiarato che non avrebbe acquistato gli F-35 ma gli Eurofighter Typhoon e poi i caccia Fcas. Un mese dopo il primo ministro Pedro Sánchez espresse solidarietà alla Germania in relazione alla controversia tra Airbus e Dassault. Dove però hanno le idee chiare: sarebbe un suicidio industriale condividere la tecnologia e l’esperienza maturata con i Rafale, creata da zero con soldi francesi, impiegata con l’aviazione francese e già esportata con successo in India, Grecia ed Emirati arabi.
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Guido Crosetto (Ansa)
Tornando alla leva, «mi consente», aggiunge Crosetto, «di avere un bacino formato che, in caso di crisi o anche calamità naturali, sia già pronto per intervenire e non sono solo professionalità militari. Non c’è una sola soluzione, vanno cambiati anche i requisiti: per la parte combat, ad esempio, servono requisiti fisici diversi rispetto alla parte cyber. Si tratta di un cambio di regole epocale, che dobbiamo condividere con il Parlamento». Crosetto immagina in sostanza un bacino di «riservisti» pronti a intervenire in caso ovviamente di un conflitto, ma anche di catastrofi naturali o comunque situazioni di emergenza. Va precisato che, per procedere con questo disegno, occorre prima di tutto superare la legge 244 del 2012, che ha ridotto il personale militare delle forze armate da 190.000 a 150.000 unità e il personale civile da 30.000 a 20.000. «La 244 va buttata via», sottolinea per l’appunto Crosetto, «perché costruita in tempi diversi e vanno aumentate le forze armate, la qualità, utilizzando professionalità che si trovano nel mercato».
Il progetto di Crosetto sembra in contrasto con quanto proposto pochi giorni fa dal leader della Lega e vicepremier Matteo Salvini: «Sulla leva», ha detto Salvini, «ci sono proposte della Lega ferme da anni, non per fare il militare come me nel '95. Io dico sei mesi per tutti, ragazzi e ragazze, non per imparare a sparare ma per il pronto soccorso, la protezione civile, il salvataggio in mare, lo spegnimento degli incendi, il volontariato e la donazione del sangue. Sei mesi dedicati alla comunità per tutte le ragazze e i ragazzi che siano una grande forma di educazione civica. Non lo farei volontario ma per tutti». Intanto, Crosetto lancia sul tavolo un altro tema: «Serve aumentare le forze armate professionali», dice il ministro della Difesa, «e in questo senso ho detto più volte che l’operazione Strade sicure andava lentamente riaffidata alle forze di polizia». Su questo punto è prevedibile un attrito con Salvini, considerato che la Lega ha più volte sottolineato di immaginare che le spese militari vadano anche in direzione della sicurezza interna. L’operazione Strade sicure è il più chiaro esempio dell’utilizzo delle forze armate per la sicurezza interna. Condotta dall’Esercito italiano ininterrottamente dal 4 agosto 2008, l’operazione Strade sicure viene messa in campo attraverso l’impiego di un contingente di personale militare delle Forze armate che agisce con le funzioni di agente di pubblica sicurezza a difesa della collettività, in concorso alle Forze di Polizia, per il presidio del territorio e delle principali aree metropolitane e la vigilanza dei punti sensibili. Tale operazione, che coinvolge circa 6.600 militari, è, a tutt'oggi, l’impegno più oneroso della Forza armata in termini di uomini, mezzi e materiali.
Alle parole, come sempre, seguiranno i fatti: vedremo quale sarà il punto di equilibrio che verrà raggiunto nel centrodestra su questi aspetti. Sul versante delle opposizioni, il M5s chiede maggiore trasparenza: «Abbiamo sottoposto al ministro Crosetto un problema di democrazia e trasparenza», scrivono in una nota i capigruppo pentastellati nelle commissioni Difesa di Camera e Senato, Arnaldo Lomuti e Bruno Marton, «il problema della segretezza dei target capacitivi concordati con la Nato sulla base dei quali la Difesa porta avanti la sua corsa al riarmo. Non è corretto che la Nato chieda al nostro Paese di spendere cifre folli senza che il Parlamento, che dovrebbe controllare queste spese, conosca quali siano le esigenze che motivano e guidano queste richieste. Il ministro ha risposto, in buona sostanza, che l’accesso a queste informazioni è impossibile e che quelle date dalla Difesa sono più che sufficienti. Non per noi».
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Ecco #DimmiLaVerità del 5 dicembre 2025. Il senatore Gianluca Cantalamessa della Lega commenta il caso dossieraggi e l'intervista della Verità alla pm Anna Gallucci.