2024-03-01
Truppe al fronte e fabbriche di armi. L’Ue con l’elmetto infrange altri tabù
L’idea di Macron (spedire soldati nel Donbass) è bocciata dai francesi e dagli alleati, ma Lituania ed Estonia chiedono di prenderla sul serio. E il commissario Thierry Breton rialza il tiro: «L’Europa passi a un’economia bellica».«Prendiamo una decisione, poi la mettiamo sul tavolo e aspettiamo un po’ per vedere che succede. Se non provoca proteste né rivolte, perché la maggior parte della gente non capisce niente di cosa è stato deciso, andiamo avanti passo dopo passo fino al punto di non ritorno».Questo metodo, teorizzato in una vecchia intervista allo Spiegel dall’ex presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, ha fatto scuola. In Europa, lo stanno usando per la guerra in Ucraina: due anni fa pareva assurdo ventilare un conflitto con la Russia, adesso invece si discute seriamente dell’invio di militari al fronte. È la finestra di Overton: le «possibilità politiche», che all’inizio sono inconcepibili, a un certo punto diventano un argomento accettabile e, infine, una legge.La settimana si era aperta con le parole - «pensate, pesate e misurate», garantisce lui - di Emmanuel Macron alla conferenza di Parigi: non si può escludere nessuna ipotesi, nemmeno che un contingente sia spedito al fronte. Non si sono viste «proteste e rivolte», benché il 68% dei francesi bocci l’idea e, con loro, una pletora di cancellerie: gli Usa, la Gran Bretagna, la Germania, l’Italia, persino la Nato e il Vaticano. Peraltro, il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, sostiene che Uk e Francia aiutino già la resistenza con i lanci di missili. Ieri, però, la premier dell’Estonia ha invitato i capi di Stato europei a non scartare a priori la possibilità evocata da Macron. «Penso sia anche un segnale da mandare alla Russia», ha precisato Kaia Kallas. Prima di lei, era stato il ministro degli Esteri lituano, Gabrelius Landsbergis, a confermare che la proposta francese merita di essere presa in considerazione. Can che abbaia non morde, sì. Ma quanto possono provocarsi due belve, prima di aggredirsi davvero?È molto probabile che il leader transalpino avesse in mente altri obiettivi. Il disimpegno americano dall’Europa e la crisi dell’egemonia tedesca aprono uno spazio di manovra per Parigi. Monsieur le président punta a costruire una specie di Nato parallela, sotto la guida del suo Paese, la cui forza militare gareggia con quella italiana, ma che è l’unico nell’Ue dotato di un proprio arsenale nucleare. Dopo gli insuccessi in Africa, l’Eliseo cerca altri teatri nei quali affermarsi. In più, desidera piazzare la casella del commissario alla Difesa, la figura che dovrebbe introdurre Ursula von der Leyen, se venisse confermata per un secondo mandato. Significherebbe, per Macron, dare le carte nella partita della futura compravendita di armamenti.È su questo che abbiamo assistito a un altro slittamento dall’impensabilità alla nuova normalità. L’altro ieri, la Von der Leyen ha annunciato che la strategia europea per la Difesa includerà acquisti centralizzati di equipaggiamenti e munizioni, come si è fatto con i vaccini Covid. Visto? La pandemia ha reso ammissibile l’idea di trasformare la Commissione in una stazione appaltante; la minaccia di Vladimir Putin ha consentito di estendere la procedura adottata con i farmaci per il coronavirus - discutibile, opaca, per lo meno rivedibile - all’emergenza seguente. E di promuovere un’agenda che amplia il budget comunitario e modifica i criteri «pacifisti» in base ai quale la Banca europea per gli investimenti concede finanziamenti. Beninteso: il riarmo è necessario e, semmai, la questione è chi abbia in mano il pallino politico. Ma lungo il piano inclinato che porta dall’indicibile all’ordinario, si colloca l’intervento del commissario al Mercato interno - un altro francese - Thierry Breton: gli europei, ha esortato, «devono cambiare paradigma e muovere verso un’economia di guerra».Ricordate Mario Draghi? Era l’11 marzo 2022, l’invasione russa dell’Ucraina era iniziata da due settimane. L’allora premier ci avvisò: l’Europa e l’Italia non sono in una fase di «economia di guerra», però il futuro «preoccupa» e «bisogna prepararsi». Ci siamo preparati. Ci hanno preparati ad accettare l’inimmaginabile: i razionamenti del gas, le forniture militari sempre più consistenti, il rischio di escalation, le schermaglie sul ricorso alle atomiche, l’aspettativa messianica per la controffensiva di Kiev, adesso la reazione alla morte di Alexei Navalny. È così che siamo partiti da «Non siamo in un’economia di guerra» e siamo arrivati a «Dobbiamo instaurare un’economia di guerra». Se non altro, ci spieghino a chi dar retta. Quando si è appreso che la Russia cresceva, infatti, gli osservatori hanno pontificato: dato falsato, il boom è un riflesso dell’economia di guerra. Insomma, Mosca sarebbe un gigante dai piedi d’argilla. E dunque, per quale motivo dovremmo seguirla sulla stessa strada?Apiccoli passi, la soglia d’allarme è stata raggiunta. Ieri, il capo del Pentagono, Lloyd Austin, ha assicurato che se Kiev cadrà ci sarà lo scontro Nato-Russia. Intanto, l’Europarlamento ha approvato una risoluzione che chiede all’Ue di sostenere l’Ucraina con ogni mezzo necessario a conseguire la vittoria. Una vittoria nella quale i cittadini non credono: secondo i sondaggi più recenti, solo il 10% degli europei scommette sulla resistenza. La maggioranza auspica una trattativa. Ma quello dell’opinione pubblica, per il momento, è un dissenso silenzioso. Le classi dirigenti proseguono col metodo Juncker: sondano il terreno, si accertano dell’acquiescenza degli elettori e intanto, infrangendo un tabù dopo l’altro, marciano fino al punto di non ritorno. Tanto, la gente «non capisce». E noi? Noi abbiamo capito?
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