2023-10-01
L’Ue che ci rifila i clandestini ignora i disperati armeni in fuga da una vera guerra
Bruxelles, media e progressisti tacciono davanti all’esodo di 100.000 profughi dal Nagorno. La retorica dell’accoglienza imposta all’Italia sparisce davanti al gas azero.Volti disperati, mani aggrappate ai portapacchi delle jeep, corriere stipate con mamme e bambini incollati ai finestrini, file chilometriche di macchine incolonnate verso Kornidzor oltre le pietraie dell’Azerbaijan. Quegli occhi sperduti che di solito fanno sussultare le coscienze occidentali quando appartengono ai migranti africani e ucraini, questa volta non ci dicono niente. Fantasmi di una guerra dimenticata, fantasmi di uno «slava» che per loro non vale. È il nostro silenzio ipocrita ad accompagnare gli armeni in fuga dal Nagorno Karabakh, 100.000 vittime innocenti (su 120.000 abitanti) d’una pulizia etnica in piena regola, di un «genocidio culturale» - così lo ha chiamato il procuratore del tribunale penale dell’Aja, Luis Moreno Ocampo - che non sembra interessare a nessuno.La lunga marcia è cominciata da giorni ma il cuore dell’Occidente è distratto. E anche quello del Vaticano, poiché i profughi cacciati dalla loro terra si lasciano alle spalle croci divelte, chiese e monasteri bruciati. Fin qui Papa Francesco, in prima linea per disinnescare la guerra in Ucraina e per sponsorizzare l’accoglienza diffusa (con i suoi disastri sociali) dei disperati del Sahel, ritiene di non avere niente da dire sull’esodo coatto dei cristiani in quel fazzoletto di Asia raso al suolo nell’indifferenza delle diplomazie più potenti del mondo. Centomila su 120.000, quasi tutti. Vittime dell’«operazione antiterrorismo» più fasulla del decennio: furiosi bombardamenti sui villaggi da parte dell’artiglieria di Baku, ordine di evacuazione forzata, fuga con ciò che si ha addosso su auto sgangherate e sui trattori lungo i nove km sconnessi del corridoio di Lachin. L’alto commissario dell’Onu per i rifugiati, Filippo Grandi, parla di disastro etnico. «Molti sono affamati, esausti, necessitano di assistenza medica immediata. L’aiuto internazionale è urgente». Erevan ha mandato decine di autobus a prenderli, ma alla frontiera i soldati azeri arrestano a campione. Come si dice per i profughi che affollano Lampedusa? «Fuggono dalla guerra». Tutti dentro anche se palesemente non è vero. Ecco, questi fuggono davvero dalla guerra, non come i migranti economici che agitano le coscienze nei talk show de La7, al Quirinale, nei think tank dell’intellighenzia liberal, a casa di Carlo Calenda e di Emma Bonino, e dentro le sacrestie più alla moda. Eppure la comunità internazionale non li considera e non ha alcuna intenzione di trattarli come tali.I profughi cristiani del Nagorno Karabakh vorrebbero essere ucraini. Avrebbero il consenso internazionale, la doverosa mobilitazione pubblica, fondi a dismisura, il calore del grande abbraccio, il vento della retorica alle spalle e i riflettori dei media accesi. Invece sono in fila sull’unico passo aperto dopo aver abbandonato tutto e si chiedono come una pulizia etnica in piena regola possa passare inosservata nel 2023. Hanno il torto di essere relativamente pochi, in uno spazio piccolo come il Molise e di essere cristiani. Con un problema in più: si erano sganciati dalla Russia (che in qualche modo li proteggeva) per avvicinarsi agli Stati Uniti, quindi all’Occidente, con il risultato di perdere l’ombrello protettivo di Mosca prima di avere maturato garanzie di aiuti da Washington. È curioso sottolineare che l’attacco azero è avvenuto mentre un contingente armeno partecipava per la prima volta a un’esercitazione con i Marines americani. Apolidi abbandonati a se stessi. Quegli occhi disperati di bambini nel vortice del terrore interessano a qualcuno? La prossima settimana arriverà nell’area una missione Onu, la prima da 30 anni. È facile ipotizzare il suo impalpabile ruolo e il fallimento scontato. Come quello del Parlamento europeo, che ha votato una risoluzione di condanna ma è destinato a non muovere un dito. Perché dietro i proclami, le manifestazioni e le dichiarazioni di facciata impera la realpolitik: dopo essersi staccata dal gas russo, l’Europa non può chiudere i rubinetti anche di quello azero, che attraverso il gasdotto Tap (Trans Adriatic Pipeline) rifornisce l’area mediterranea passando dalla Puglia. Si tratta del 15% del fabbisogno italiano, Baku è il nostro secondo fornitore dopo l’Algeria. Ecco perché ci sono profughi e profughi, guerre e guerre, afflati e distrazioni. Ecco perché gli armeni, stretti fra Azerbaijan e Turchia, vanno «aiutati a casa loro» al massimo con qualche veglia in periferia.Il direttore della Caritas, don Marco Pagniello, spiega che «alla fine dell’esodo saranno almeno 40.000 gli armeni in fuga che, senza parenti che possano ospitarli, necessiteranno di un alloggio». Una voce nel deserto mentre si allunga la fila dei disperati senza patente politicamente corretta verso il corridoio di Lachin, in fuga da casa loro lasciandosi alle spalle il fuoco e il terrore di una guerra che è meglio non raccontare. Una tragedia di Serie B, che la dice lunga sullo stomaco selettivo dell’Occidente e sulla geopolitica della nostra ipocrisia.
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