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2023-04-25
«L’Ucraina era pronta ad attaccare Mosca. L’America disse di no»
Dmytro Kuleba (Ansa)
Era previsto per febbraio, poco prima del primo anniversario dell’inizio della guerra: l’esercito ucraino aveva pianificato un attacco su Mosca. Un piano ambizioso e audace, saltato all’ultimo per volere degli alleati più fedeli di Kiev: gli Stati Uniti. A rivelarlo, ancora una volta, è il Washington Post, citando un report riservato Usa. Il generale Kyrylo Budanov, a capo della direzione dell’intelligence militare ucraina, aveva incaricato i suoi ufficiali di «prepararsi per gli attacchi di massa del 24 febbraio» con tutto ciò che l’esercito ucraino disponeva. Una delle opzioni del piano prevedeva la possibilità di attaccare via mare con il tritolo la città portuale di Novorossiysk sul Mar Nero. Il no della Casa Bianca è arrivato per il timore che gli attacchi sul territorio russo potessero provocare una risposta aggressiva da parte del Cremlino. Quindi il 22 febbraio, due giorni prima dell’anniversario, la Cia, come riportato dal Washington Post, ha diffuso un nuovo report riservato secondo cui l’intelligence militare ucraina «aveva accettato, su richiesta di Washington, di rinviare gli attacchi» su Mosca.
Quindi un attacco vero e proprio, seppur pianificato, non è mai avvenuto. Ma la tensione resta altissima. Secondo i media russi, il drone caduto vicino a Mosca sarebbe di fabbricazione ucraina: un UJ-22 Airbone. Le prime ricostruzioni sostengono che il drone si sia schiantato dopo aver esaurito il carburante o dopo aver urtato un albero ed è stato aggiunto che trasportava 17 chilogrammi di esplosivo. L’UJ-22 è un piccolo drone da ricognizione che può trasportare circa 20 chilogrammi di esplosivo e ha un raggio di volo autonomo fino a 800 chilometri.
Nonostante le difficoltà, il morale ucraino sembra alto. Secondo il capo dell’intelligence, Budanov, la riconquista dell’intero territorio entro la fine di quest’anno è del tutto possibile. È sua convinzione che la guerra potrà dirsi vinta solamente quando verranno ripristinati i confini del 1991, quando il Paese dichiarò l’indipendenza dopo la disgregazione dell’Unione sovietica. «Soltanto Dio può sapere se ci saranno tempi supplementari o se si andrà ai calci di rigore».
Morale alto ma anche qualche malessere. Ad esprimere malcontento, secondo alcune fonti bene informate, sarebbe stato il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba. «Ha usato parole molto forti nel corso del suo intervento al Consiglio Esteri Ue, era furioso», ha rivelato la fonte, che ha aggiunto che Kuleba si sarebbe anche lamentato per «la bassa quantità di munizioni» ricevute sinora attraverso il primo pilastro del piano, nonché per la mancanza di missili a lungo raggio, definiti cruciali per poter procedere con la controffensiva. «In Europa tutti faranno la propria parte per aiutare l’Ucraina consegnandole armi e munizioni, anche se i tempi di consegna sono talora più lunghi di quelli auspicati».
È il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, a cercare di spegnere le polemiche e di abbassare i toni sul tema. «Ci sarà un documento: stiamo facendo tutto ciò che è possibile, nel rispetto delle regole e avendo a disposizione non tutte le munizioni che vengono richieste. Faremo tutti quanti la nostra parte per aiutare l’Ucraina». Secondo l’Alto Rappresentante dell’Ue, Josep Borrell, la richiesta di Kuleba di accelerare la consegna di munizioni all’Ucraina è arrivata «con l’inquietudine, con l’insistenza e l’urgenza che è lecito aspettarsi da parte di un ministro di un Paese in guerra ed è normale che sia così, dato che l’Ucraina viene bombardata sistematicamente dai russi, che conducono un’aggressione barbara». Le armi richieste a gran voce da Kiev servono infatti a mettere in piedi la grande controffensiva di cui si parla ormai da settimane. Non più una sorpresa per Mosca, tanto che il capo dei mercenari della Wagner, Yevgeny Prigozhin, è anche convinto di sapere quando inizierà: «Il giorno in cui le forze russe avranno preso il controllo dell’intera città di Bakhmut comincerà la controffensiva Ucraina». Delle sue parole però, ciò che preoccupa di più è un commento rilasciato in merito alle nuove strategie di condotta sul campo: «Il nostro compito è macellare l’esercito ucraino, non dare loro l’opportunità di riunirsi per una controffensiva. In questo senso stiamo ottenendo un successo e ai miei uomini do un voto a cinque stelle. Mentre a me stesso darei un 3 meno, perché era necessario macellarli di più, in modo che non ne rimanesse in vita neanche uno». È evidente che la sindrome dell’accerchiamento russo è tornata con tutta la sua forza. Lo si evince anche dalle parole del portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov: «La Nato è una macchina da guerra che si avvicina ai confini della Russia, ma i progetti occidentali di disfarsi di Mosca non porteranno a nulla». Con l’avvicinarci del 9 maggio arriva anche l’annuncio della tradizionale parata militare che si organizza per commemorare il Giorno della vittoria dell’Unione sovietica sulla Germania nazista nella seconda guerra mondiale. Peskov ha confermato che, come sempre in quell’occasione, il presidente russo, Vladimir Putin, terrà un discorso sulla Piazza Rossa di Mosca.
Nessuna novità sul fronte delle trattative, anche se papa Francesco giovedì riceverà in Vaticano il premier ucraino, Denys Shmyhal, in missione a Roma per parlare di ricostruzione.
Duello all’Onu tra Lavrov e Guterres. Il russo: «Tutti zitti sugli Usa in Iraq»
Sergej Lavrov è arrivato ieri al Palazzo di Vetro, per sovrintendere al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, la cui presidenza questo mese spetta alla Russia (tale incarico ruota infatti mensilmente tra i 15 membri dell’organo in ordine alfabetico). Nel suo intervento, il ministro degli Esteri di Mosca ha sfidato l’ordine internazionale occidentale e ha tracciato un quadro cupo. «Com’è avvenuto durante la Guerra fredda, abbiamo raggiunto una soglia pericolosa, forse anche più pericolosa», ha detto. «L’Occidente ha riformato con arroganza i processi del multilateralismo a livello regionale per promuovere i propri interessi». Non sono mancate tensioni con il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che, durante la seduta con il ministro, ha affermato che l’invasione russa dell’Ucraina «viola la Carta dell’Onu» e «sta causando enormi sofferenze e devastazioni al Paese e alla sua gente». Inoltre, ha proseguito Guterres, l’invasione ha accentuato «lo sconvolgimento economico globale innescato dalla pandemia di Covid-19». «Le tensioni tra le maggiori potenze sono ai massimi storici», ha continuato il segretario generale. Il ministro russo ha replicato, sostenendo che la guerra in Iraq del 2003 fu una violazione della Carta dell’Onu e tacciando l’Occidente di «doppio standard». Andrebbe tuttavia rammentato che la retorica su multilateralismo e terzomondismo non ha impedito a Russia e Cina di espandere la loro influenza politico-economica su numerosi Paesi africani, creando anche situazioni di grave instabilità e di trappole del debito. Tra l’altro, Mosca rifornisce di armi varie aree africane, dove spesso è presente il Wagner Group. La presidenza alle Nazioni Unite di Lavrov si è inoltre accompagnata a varie polemiche. Domenica, Mosca aveva affermato che il governo americano ha negato i visti ai giornalisti russi che avrebbero dovuto seguire la missione del ministro all’Onu. «Non lo dimenticheremo e non lo perdoneremo», ha aveva detto Lavrov prima di partire per New York. Una controversia, questa, che si colloca nella scia della vicenda di Evan Gershkovich: il giornalista del Wall Street Journal, arrestato a marzo in Russia con l’accusa di spionaggio. Proprio ieri, l’ambasciatrice americana all’Onu, Linda Thomas-Greenfield, ha esortato Lavrov a rilasciare sia il giornalista sia l’ex marine Paul Whelan, prigioniero in Russia dal 2018. «Ti chiedo, in questo momento, di rilasciare immediatamente Paul Whelan ed Evan Gershkovich. E di porre fine a questa pratica barbara una volta per tutte», ha dichiarato la diplomatica Usa. In secondo luogo, sembra che siano emersi attriti anche tra Mosca e Gerusalemme. A riferirlo è stato ieri il Jerusalem Post, secondo cui «il ministro degli Esteri russo ha in programma di tenere la riunione mensile del Consiglio di sicurezza dell’Onu sul conflitto israeliano-palestinese il 24 aprile, Giornata della memoria di Israele per i suoi soldati caduti e le vittime del terrore». «Mosca ha respinto la richiesta di Gerusalemme di modificare la data», ha proseguito la testata. Polemiche erano sorte anche per il fatto che tocchi alla Russia presiedere il Consiglio di sicurezza dell’Onu questo mese. «Il Paese che viola sistematicamente tutte le regole fondamentali della sicurezza internazionale presiede un organismo la cui unica missione è salvaguardare e proteggere la sicurezza internazionale», aveva dichiarato tre settimane fa il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, definendo la presidenza russa al Consiglio di sicurezza come «il peggior pesce d’aprile del mondo». Nel 2022, Kiev aveva del resto invocato l’espulsione di Mosca dal Consiglio stesso: uno scenario tuttavia scarsamente probabile. La Russia è infatti uno dei cinque membri permanenti dell’organo e, con il suo potere di veto, può di fatto bloccare ogni potenziale tentativo di estromissione nei propri confronti.
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Il «Washington Post» svela il piano degli invasi. Intanto un drone cade vicino alla capitale. Il Cremlino: «Inviato da Kiev».Il segretario, Antonio Guterres, attacca il ministro, Sergej Lavrov, che presiede i lavori: «L’invasione viola la Carta».Lo speciale contiene due articoli. Era previsto per febbraio, poco prima del primo anniversario dell’inizio della guerra: l’esercito ucraino aveva pianificato un attacco su Mosca. Un piano ambizioso e audace, saltato all’ultimo per volere degli alleati più fedeli di Kiev: gli Stati Uniti. A rivelarlo, ancora una volta, è il Washington Post, citando un report riservato Usa. Il generale Kyrylo Budanov, a capo della direzione dell’intelligence militare ucraina, aveva incaricato i suoi ufficiali di «prepararsi per gli attacchi di massa del 24 febbraio» con tutto ciò che l’esercito ucraino disponeva. Una delle opzioni del piano prevedeva la possibilità di attaccare via mare con il tritolo la città portuale di Novorossiysk sul Mar Nero. Il no della Casa Bianca è arrivato per il timore che gli attacchi sul territorio russo potessero provocare una risposta aggressiva da parte del Cremlino. Quindi il 22 febbraio, due giorni prima dell’anniversario, la Cia, come riportato dal Washington Post, ha diffuso un nuovo report riservato secondo cui l’intelligence militare ucraina «aveva accettato, su richiesta di Washington, di rinviare gli attacchi» su Mosca.Quindi un attacco vero e proprio, seppur pianificato, non è mai avvenuto. Ma la tensione resta altissima. Secondo i media russi, il drone caduto vicino a Mosca sarebbe di fabbricazione ucraina: un UJ-22 Airbone. Le prime ricostruzioni sostengono che il drone si sia schiantato dopo aver esaurito il carburante o dopo aver urtato un albero ed è stato aggiunto che trasportava 17 chilogrammi di esplosivo. L’UJ-22 è un piccolo drone da ricognizione che può trasportare circa 20 chilogrammi di esplosivo e ha un raggio di volo autonomo fino a 800 chilometri.Nonostante le difficoltà, il morale ucraino sembra alto. Secondo il capo dell’intelligence, Budanov, la riconquista dell’intero territorio entro la fine di quest’anno è del tutto possibile. È sua convinzione che la guerra potrà dirsi vinta solamente quando verranno ripristinati i confini del 1991, quando il Paese dichiarò l’indipendenza dopo la disgregazione dell’Unione sovietica. «Soltanto Dio può sapere se ci saranno tempi supplementari o se si andrà ai calci di rigore». Morale alto ma anche qualche malessere. Ad esprimere malcontento, secondo alcune fonti bene informate, sarebbe stato il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba. «Ha usato parole molto forti nel corso del suo intervento al Consiglio Esteri Ue, era furioso», ha rivelato la fonte, che ha aggiunto che Kuleba si sarebbe anche lamentato per «la bassa quantità di munizioni» ricevute sinora attraverso il primo pilastro del piano, nonché per la mancanza di missili a lungo raggio, definiti cruciali per poter procedere con la controffensiva. «In Europa tutti faranno la propria parte per aiutare l’Ucraina consegnandole armi e munizioni, anche se i tempi di consegna sono talora più lunghi di quelli auspicati». È il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, a cercare di spegnere le polemiche e di abbassare i toni sul tema. «Ci sarà un documento: stiamo facendo tutto ciò che è possibile, nel rispetto delle regole e avendo a disposizione non tutte le munizioni che vengono richieste. Faremo tutti quanti la nostra parte per aiutare l’Ucraina». Secondo l’Alto Rappresentante dell’Ue, Josep Borrell, la richiesta di Kuleba di accelerare la consegna di munizioni all’Ucraina è arrivata «con l’inquietudine, con l’insistenza e l’urgenza che è lecito aspettarsi da parte di un ministro di un Paese in guerra ed è normale che sia così, dato che l’Ucraina viene bombardata sistematicamente dai russi, che conducono un’aggressione barbara». Le armi richieste a gran voce da Kiev servono infatti a mettere in piedi la grande controffensiva di cui si parla ormai da settimane. Non più una sorpresa per Mosca, tanto che il capo dei mercenari della Wagner, Yevgeny Prigozhin, è anche convinto di sapere quando inizierà: «Il giorno in cui le forze russe avranno preso il controllo dell’intera città di Bakhmut comincerà la controffensiva Ucraina». Delle sue parole però, ciò che preoccupa di più è un commento rilasciato in merito alle nuove strategie di condotta sul campo: «Il nostro compito è macellare l’esercito ucraino, non dare loro l’opportunità di riunirsi per una controffensiva. In questo senso stiamo ottenendo un successo e ai miei uomini do un voto a cinque stelle. Mentre a me stesso darei un 3 meno, perché era necessario macellarli di più, in modo che non ne rimanesse in vita neanche uno». È evidente che la sindrome dell’accerchiamento russo è tornata con tutta la sua forza. Lo si evince anche dalle parole del portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov: «La Nato è una macchina da guerra che si avvicina ai confini della Russia, ma i progetti occidentali di disfarsi di Mosca non porteranno a nulla». Con l’avvicinarci del 9 maggio arriva anche l’annuncio della tradizionale parata militare che si organizza per commemorare il Giorno della vittoria dell’Unione sovietica sulla Germania nazista nella seconda guerra mondiale. Peskov ha confermato che, come sempre in quell’occasione, il presidente russo, Vladimir Putin, terrà un discorso sulla Piazza Rossa di Mosca. Nessuna novità sul fronte delle trattative, anche se papa Francesco giovedì riceverà in Vaticano il premier ucraino, Denys Shmyhal, in missione a Roma per parlare di ricostruzione. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lucraina-era-pronta-attaccare-mosca-2659905297.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="duello-allonu-tra-lavrov-e-guterres-il-russo-tutti-zitti-sugli-usa-in-iraq" data-post-id="2659905297" data-published-at="1682416173" data-use-pagination="False"> Duello all’Onu tra Lavrov e Guterres. Il russo: «Tutti zitti sugli Usa in Iraq» Sergej Lavrov è arrivato ieri al Palazzo di Vetro, per sovrintendere al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, la cui presidenza questo mese spetta alla Russia (tale incarico ruota infatti mensilmente tra i 15 membri dell’organo in ordine alfabetico). Nel suo intervento, il ministro degli Esteri di Mosca ha sfidato l’ordine internazionale occidentale e ha tracciato un quadro cupo. «Com’è avvenuto durante la Guerra fredda, abbiamo raggiunto una soglia pericolosa, forse anche più pericolosa», ha detto. «L’Occidente ha riformato con arroganza i processi del multilateralismo a livello regionale per promuovere i propri interessi». Non sono mancate tensioni con il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che, durante la seduta con il ministro, ha affermato che l’invasione russa dell’Ucraina «viola la Carta dell’Onu» e «sta causando enormi sofferenze e devastazioni al Paese e alla sua gente». Inoltre, ha proseguito Guterres, l’invasione ha accentuato «lo sconvolgimento economico globale innescato dalla pandemia di Covid-19». «Le tensioni tra le maggiori potenze sono ai massimi storici», ha continuato il segretario generale. Il ministro russo ha replicato, sostenendo che la guerra in Iraq del 2003 fu una violazione della Carta dell’Onu e tacciando l’Occidente di «doppio standard». Andrebbe tuttavia rammentato che la retorica su multilateralismo e terzomondismo non ha impedito a Russia e Cina di espandere la loro influenza politico-economica su numerosi Paesi africani, creando anche situazioni di grave instabilità e di trappole del debito. Tra l’altro, Mosca rifornisce di armi varie aree africane, dove spesso è presente il Wagner Group. La presidenza alle Nazioni Unite di Lavrov si è inoltre accompagnata a varie polemiche. Domenica, Mosca aveva affermato che il governo americano ha negato i visti ai giornalisti russi che avrebbero dovuto seguire la missione del ministro all’Onu. «Non lo dimenticheremo e non lo perdoneremo», ha aveva detto Lavrov prima di partire per New York. Una controversia, questa, che si colloca nella scia della vicenda di Evan Gershkovich: il giornalista del Wall Street Journal, arrestato a marzo in Russia con l’accusa di spionaggio. Proprio ieri, l’ambasciatrice americana all’Onu, Linda Thomas-Greenfield, ha esortato Lavrov a rilasciare sia il giornalista sia l’ex marine Paul Whelan, prigioniero in Russia dal 2018. «Ti chiedo, in questo momento, di rilasciare immediatamente Paul Whelan ed Evan Gershkovich. E di porre fine a questa pratica barbara una volta per tutte», ha dichiarato la diplomatica Usa. In secondo luogo, sembra che siano emersi attriti anche tra Mosca e Gerusalemme. A riferirlo è stato ieri il Jerusalem Post, secondo cui «il ministro degli Esteri russo ha in programma di tenere la riunione mensile del Consiglio di sicurezza dell’Onu sul conflitto israeliano-palestinese il 24 aprile, Giornata della memoria di Israele per i suoi soldati caduti e le vittime del terrore». «Mosca ha respinto la richiesta di Gerusalemme di modificare la data», ha proseguito la testata. Polemiche erano sorte anche per il fatto che tocchi alla Russia presiedere il Consiglio di sicurezza dell’Onu questo mese. «Il Paese che viola sistematicamente tutte le regole fondamentali della sicurezza internazionale presiede un organismo la cui unica missione è salvaguardare e proteggere la sicurezza internazionale», aveva dichiarato tre settimane fa il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, definendo la presidenza russa al Consiglio di sicurezza come «il peggior pesce d’aprile del mondo». Nel 2022, Kiev aveva del resto invocato l’espulsione di Mosca dal Consiglio stesso: uno scenario tuttavia scarsamente probabile. La Russia è infatti uno dei cinque membri permanenti dell’organo e, con il suo potere di veto, può di fatto bloccare ogni potenziale tentativo di estromissione nei propri confronti.
Quanto è probabile una collisione tra satelliti? E quanti ce ne sono oggi in orbita terrestre? Ecco la storia del primo incidente cosmico.
(IStock)
Ragazzi con problemi, con difficoltà di relazione e anche di identità che, prima ancora di raggiungere la maturità, venivano considerati affetti da quella che si definisce disforia di genere e per questo avviati a una cura irreversibile. Bloccare la pubertà, impedendo, con l’assunzione di farmaci, la produzione di ormoni e la crescita della barba o del seno, il cambiamento della voce o l’arrotondamento delle forme, la crescita affettiva e la stabilità psicologica non è un gioco. È un passo che può condizionare e rovinare per sempre la vita.
Basta infatti leggere le risultanze della commissione d’inchiesta che indagò sulla clinica Tavistock di Londra, una delle prime in Europa a specializzarsi nel cambio di sesso e nelle cure nei confronti di minorenni con disforia di genere. Per anni nella capitale inglese un gruppo di medici ha somministrato con assoluta facilità e noncuranza la triptorelina ai bambini, con la stessa leggerezza con cui certi dottori suggeriscono di prendere l’aspirina. Ma il cambio di sesso non è un’influenza o un malanno passeggero, bensì una scelta fondamentale, che anche quando non si conclude con un intervento chirurgico per modificare il genere sessuale lascia scompensi profondi e disturbi gravi. Nonostante ciò, per anni la Tavistock ha «curato» i problemi sessuali dei minori in questo modo. Senza capire le ragioni delle difficoltà, senza indagare troppo sulle cause, ma pensando che un farmaco potesse rimettere a posto le cose che la natura aveva sbagliato. Per decenni si è pensato che la pillola del cambio di sesso rappresentasse la felicità per migliaia di adolescenti. Poi, in seguito a denunce, ripensamenti e qualche suicidio, qualcuno ha cominciato a riflettere e pentirsi. Sono stati gli stessi medici a rendersi conto che dare la triptorelina ai ragazzini senza aspettare che fossero adulti e senza comprendere davvero da che cosa originasse il loro disturbo fosse una scelta pericolosa. Oggi, dopo molte contestazioni e altrettanti rimorsi degli stessi medici, la Tavistock è stata chiusa e il servizio sanitario inglese ha avviato una profonda revisione del sistema che consentiva con facilità l’accesso al cambio di sesso per i minorenni.
Purtroppo da noi le mode arrivano con ritardo e dunque ciò che in Gran Bretagna oggi è noto e quindi maneggiato con estrema cautela, in Italia resta ignoto e quindi la novità è che negli ospedali italiani si «curano» i ragazzini affetti da disforia di genere come dieci o vent’anni fa si curavano a Londra, cioè imbottendoli di farmaci, avviandoli verso un percorso di cui più tardi potrebbero pentirsi. Una bambina di 13 anni a La Spezia, dopo il trattamento a suon di farmaci per bloccare la pubertà, è stata autorizzata dal tribunale al cambio di sesso. Avviata verso un futuro incerto. Del resto, se la moda, di Vanity Fair e della comunità Lgbt, ritiene che, anche quando si è minorenni, mutare l’identità sessuale sia un diritto, un passo verso la liberazione sessuale e il futuro, dunque un fenomeno da accogliere positivamente, rivestendo gli adolescenti con capi firmati, si capisce che questi bambini dal sesso indefinito fanno «tendenza». Un po’ come il colore burgundy o le pellicce ecologiche, che quest’anno trionfano sulle passerelle.
Certo, colpisce che ad autorizzare l’assunzione di farmaci che bloccano la pubertà e anche l’intervento chirurgico per trasformare una ragazza in un ragazzo e viceversa sia un tribunale, mentre un altro tribunale non autorizza tre bambini a ritornare a casa con i propri genitori solo perché la casetta nel bosco dove hanno vissuto finora non ha la luce e l’acqua corrente. I minori sono liberi di decidere di cambiare sesso, ma non sono liberi di vivere facendo il bagno nella tinozza. Se diventano transgender vanno bene a giudici, giornalisti e stilisti. Se si divertono a giocare in un prato, senza seguire le mode, compresa quella per cui l’identità sessuale è una convenzione che si può cambiare a piacimento, allora vanno tolti ai legittimi genitori affinché imparino come si sta al mondo.
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Danila Solinas e Marco Femminella, legali della famiglia Trevallion-Birmingham (Getty Images)
Venerdì 19 dicembre i giudici abruzzesi hanno respinto il ricorso presentato dai legali di Catherine Birmingham e Nathan Trevallion per chiedere la revoca della sospensione della potestà genitoriale. Quel pronunciamento doveva restituire i due gemellini e la bimba di otto anni alla famiglia per far sì che festeggiassero il Natale insieme. E invece no: devono restare nella casa famiglia di Chieti per via di un broncospasmo. Pare incredibile, ma è così: sembra una sorta di accanimento terapeutico che diventa legal-burocratico. I giudici dell’Aquila hanno sentenziato che il decreto con cui il 20 novembre i bambini sono stati sottratti a mamma e papà è ampiamente motivato e che permangono le condizioni che giustificano il provvedimento. Per due ragioni. La prima è che «le valutazioni di idoneità contrastano in modo eclatante con le condizioni di istruzione verificate dopo l’inserimento in casa famiglia, ove è emerso che la bambina non sa leggere e scrivere, né in inglese né in italiano». Dunque il ministero dell’Istruzione ha certificato il falso? Se è così perché i giudici non inviano gli atti alla Procura? La seconda ragione è perché «una bronchite acuta con broncospasmo non segnalata e non curata dai genitori» avvalora la tesi che i bambini non siano assistiti a dovere.
Però anche i giudici si devono essere accorti che la vicenda della «casa nel bosco» non attira su di loro troppe simpatie così aprono uno spiraglio che è una sorta di carpiato con triplo avvitamento, ma che potrebbe dare un esito felice nelle prossime ore. Nel rimandare il fascicolo ai giudici del tribunale dei minori la Corte d’Appello ha stabilito che i tre bambini dovranno essere di nuovo ascoltati senza il condizionamento né dei genitori, ma neppure degli assistenti sociali. «L’audizione», scrivono i giudici, «non è un atto istruttorio, ma un diritto del minore: è assicurata la libertà di autodeterminarsi e di esprimere la propria opinione». I difensori di Catherine e Nathan - che in questi giorni non ha potuto vedere i figli per i vincoli del rigidissimo calendario burocratico, ma che sta allestendo per la festa la nuova casa messa a disposizione da Armando Carusi -, gli avvocati Marco Femminella e Danila Solinas, hanno prodotto nuove prove sulla capacità di socializzare dei bambini e hanno illustrato le ampie aperture che i genitori hanno fatto. Acconsentono a completare i cicli vaccinali; accettano la presenza di una maestra che, pur nell’ambito dell’istruzione imparata a casa, assista i bambini; hanno deciso di ristrutturare la vecchia casa in contrada Mondola e dunque non si vede perché non restituire loro la patria potestà. L’ascolto dei bambini diventa decisivo. Un passo avanti ci sarà quindi fra oggi e domani perché si potrebbe arrivare a concedere che i tre piccoli tornino a casa per Natale senza tuttavia che venga revocata la sospensione della potestà genitoriale. Su questa ipotesi si sarebbero espressi favorevolmente l’avvocato Marika Bolognese la tutrice Maria Luisa Palladino che per conto del Tribunale «per» i minori stanno seguendo la brutta favola della famiglia nel bosco.
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(IStock)
Tecnologia e innovazione, poi, vanno in scena nel centro di intrattenimento multidisciplinare Area15, che ha di recente ampliato la sua offerta con nuove installazioni di realtà virtuale e aumentata, rendendo ogni visita un’esperienza immersiva e coinvolgente. Qui si può vivere il brivido di un viaggio nello spazio, partecipare a giochi interattivi o assistere a performance artistiche che uniscono arte, musica e tecnologia.
Per chi cerca un’esperienza più avventurosa, sono state inaugurate nuove attrazioni come il Flyover Las Vegas, un’attività di volo simulato che permette di sorvolare paesaggi spettacolari di tutto il mondo, e la Zero Gravity Experience, un volo parabolico che permette di provare la sensazione di assenza di gravità. L’High Roller presso il Linq Hotel è uno straordinario esempio di architettura e ingegneria moderna. Con un’altezza di 167 metri, questa meraviglia di vetro e acciaio è la ruota panoramica più alta degli Stati Uniti e la seconda più alta del mondo. Insomma, ce n’è davvero per tutti i gusti. Las Vegas, la città che non dorme mai, rappresenta da decenni uno dei poli turistici più iconici al mondo. Famosa per i suoi casinò sfavillanti, i suoi spettacoli di livello mondiale e la vita notturna sfrenata, questa città del Nevada ha saputo reinventarsi nel tempo, offrendo ai visitatori esperienze sempre nuove e coinvolgenti.
Uno degli aspetti più evidenti delle novità della città riguarda il settore alberghiero. Accanto ai famosissimi e spettacolari Caesars Palace; Circus Circus, Bellagio, Paris, The Venetian, la destinazione ha visto l’apertura di hotel di lusso e resort innovativi, capaci di attirare un pubblico sempre più eterogeneo. Tra i progetti più importanti va segnalato il Resorts World Las Vegas, un complesso di oltre 6.000 camere che combina tecnologia all’avanguardia, design sostenibile e un’offerta di intrattenimento di livello superiore. Questo resort si distingue per le sue strutture eco-compatibili, tra cui sistemi di risparmio energetico e gestione sostenibile delle risorse idriche.
D’altronde Las Vegas è nata negli anni Cinquanta dal nulla in mezzo al deserto al termine dalla «Valle della Morte» e, grazie alla monumentale diga di Hoover, è completamente autonoma dal punto di vista di acqua ed energia per tutte le luci, i neon, le insegne e la potente aria condizionata che consente di resistere anche a temperature esterne che raggiungono i cinquanta gradi.
L’attrazione più popolare della città è il Las Vegas Boulevard, comunemente noto come The Strip. Tutti i nuovi e lussuosi casinò sono costruiti su questa strada.
Nel centro della città «vecchia» degli anni Cinquanta ci sono, invece, alcuni hotel e casinò più retrò. Qui una delle attrazioni più distintive dell’area urbana è Fremont Street. Questa strada ha un enorme schermo sul soffitto dove vengono proiettate immagini di ogni tipo, e offre anche una divertente zipline, che permette di restare sospesi in aria da un’estremità all’altra della strada.
La parte di ristorazione è davvero molto variegata e va dai ristoranti gourmet a quelli etnici. Molti i piatti interessanti, nessuno a buon mercato. Ovviamente, come in tutti gli Stati Uniti, si trovano fast food a ogni angolo per chi non vole spendere troppo. Tra questi, l’ottimo e moderno Washin Patato at Fontainebleau o al Stubborn Seed at Resorts World.
Per raggiungere Las Vegas una delle combinazioni più interessanti è quella con la compagnia aerea Condor (www.condor.com/it) via Francoforte con ottimi orari di volo, coincidenze e comodità a bordo. Per maggiori informazioni sulla destinazione: www.lvcva.com.
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