2018-09-05
Luciani voleva denunciare l’ala deviata dei gesuiti. Morì il giorno prima di farlo
Sulla base di un dossier di Paolo VI, Giovanni Paolo I avrebbe bloccato le derive dottrinali della Congregazione su aborto, omosessualità e sacerdozio delle donne.C'è un nome citato nel dossier Viganò molto interessante, benché trascurato: è quello del padre Vincent O'Keefe. Stiamo parlando di un gesuita, morto il 22 luglio del 2012, la cui storia è importantissima per collegare passato e presente: precisamente per comprendere il legame tra il cattolicesimo del dissenso degli anni Sessanta e Settanta e gli abusi sessuali di cui oggi tutti parlano, ma che, fondamentalmente, iniziano ed esplodono proprio in quegli anni. Anni in cui, a ben vedere, buona parte della cultura laica sessantottina sdogana amore libero, omosessualità e, talora, pedofilia, arrivando a penetrare, soprattutto attraverso i gesuiti, anche nel mondo e nelle università cattoliche.Scrive Carlo Maria Viganò: «A questi personaggi (della lobby gay, ndr) sono strettamente associati individui appartenenti in particolare all'ala deviata della Compagnia di Gesù, purtroppo oggi maggioritaria, che già era stata motivo di gravi preoccupazioni per Paolo VI e per i successivi pontefici. Basti solo pensare a padre Robert Drinan, eletto quattro volte alla Camera dei rappresentanti, accanito sostenitore dell'aborto, o a padre Vincent O'Keefe, fra i principali promotori del documento The Land o' lakes statement del 1967, che ha gravemente compromesso l'identità cattolica delle università e dei collegi negli Stati Uniti. Si noti che anche Theodore McCarrick, allora presidente dell'università cattolica del Portorico, partecipò a quell' infausta impresa, così deleteria per la formazione delle coscienze della gioventù americana, strettamente associato com'era all' ala deviata dei gesuiti...».Il racconto dell'ex nunzio è più comprensibile rileggendo le denunce di un altro gesuita, padre Malachi Martin, nel suo I Gesuiti (SugarCo, 1988): «Padre Vincent O' Keefe, il più in vista dei quattro assistenti generali di Pedro Arrupe, colui che si riteneva fosse destinato a succedere al padre generale, dichiarò in un'intervista a un generale olandese che il nuovo Papa avrebbe rivisto la proibizione della Chiesa per l'aborto, l'omosessualità e il sacerdozio delle donne. L'intervista fu pubblicata. Giovanni Paolo I s'irritò. Era più che una mancanza di riguardo. Era l'affermazione che la Compagnia di Gesù sapeva meglio del Papa quale morale i cattolici dovessero praticare… Giovanni Paolo I convocò Arrupe e gli chiese spiegazioni. Arrupe gli promise umilmente d'informarsi su tutta la faccenda. Ma Giovanni Paolo I non si ritenne soddisfatto. Sulla base del dossier critico di Paolo VI e con l'aiuto di un vecchio gesuita di grande esperienza, padre Paolo Dezza, suo confessore e già confessore di Paolo VI, il Papa preparò un duro discorso di monito. Si proponeva di pronunciarlo alla Congregazione generale dei gesuiti che si sarebbe tenuta a Roma il 30 settembre 1978. Una delle caratteristiche salienti del discorso erano i ripetuti riferimenti alle deviazioni dottrinali dei gesuiti. “Non deve succedere che gli insegnamenti e le pubblicazioni dei gesuiti contengano alcunché che possa creare confusione fra i fedeli". Le deviazioni dottrinali erano per lui il simbolo più inquietante del fallimento dei gesuiti. Velato sotto una cortese romanità, il discorso conteneva una minaccia esplicita: o la Compagnia ritornava al ruolo che le era stato assegnato o il Papa sarebbe stato costretto a prendere provvedimenti. Quali provvedimenti? Dagli appunti di Giovanni Paolo I risulta chiaro che, se non fosse stata possibile una rapida riforma dell'Ordine, il Papa aveva in mente una liquidazione definitiva della Compagnia, probabilmente per ricostituirla in seguito in una forma più duttile. Giovanni Paolo I aveva ricevuto petizioni da molti gesuiti che lo pregavano appunto di fare ciò. Il discorso non verrà mai pronunciato. La mattina del 29 settembre, dopo trentatré giorni sul trono di Pietro, vigilia dell'indirizzo alla Congregazione generale della Compagnia, Giovanni Paolo I fu trovato morto nel suo letto», e tutto ciò che avrebbe voluto fare per «pulire» la Chiesa rimase incompiuto (è la stessa sorte capitata alle indagini commissionate da Benedetto XVI, dal momento che, dimessosi lui, tutto il dossier dei tre cardinali è rimasto lettera morta?).Quanto narrato da padre Malachi Martin trova riscontro in fatti molto recenti: padre O'Keefe, che ha condiviso con l'abusatore omosessuale cardinale McCarrick amicizia e battaglie ideali, si schierò per il cattolico abortista John Kerry, nelle elezioni del 2004, mentre l'Università di cui lui era stato primo presidente ed ideologo, la Fordham University, è ancora oggi in prima fila nell'ospitare il gesuita pro Lgbt James Martin ed altri paladini del gender e del «matrimonio» gay.Si può aggiungere che è stato proprio padre James Martin a celebrare solennemente la figura di O'Keefe, subito dopo la sua morte, con un articolo comparso su America Magazine del 24 luglio 2012: parlando di O'Keefe, James Martin scrisse che era «morto uno delle più grandi figure nella storia dei gesuiti», pur dovendo ammettere, qualche riga più tardi, che Giovanni Paolo II (proseguendo in questo caso sulla via del suo predecessore) aveva fatto in modo di allontanarlo dai vertici della Compagnia.Se quanto si è detto è chiaro, risulta evidente dove stia il fulcro del problema per la Chiesa di oggi: non nell'entità della punizione inflitta da Benedetto XVI, Pontefice notoriamente molto mite e con poca propensione al governo, al cardinal McCarrick, quanto nel fatto che molti degli ecclesiastici vicini alle posizioni di O'Keefe e del suo amico McCarrick, sono stati nominati cardinali nell'epoca di Bergoglio (vedi William Tobin, Kevin Farrell e Blase Cupich), mentre suoi fan come James Martin hanno improvvisamente assunto un ruolo centrale nell'elaborazione di una nuova dottrina su omosessualità, gender, transessualismo... Questo proprio nel momento in cui è del tutto chiaro che gli abusi compiuti da McCarrick e da tanti altri ecclesiastici sono stati, nell'80 per cento dei casi, non atti di pedofilia, ma di violenza su seminaristi maschi e adulti.Si può concludere notando un particolare curioso: il dossier Viganò, che ha spalancato le porte alla comprensione più piena di cosa sia la lobby gay nella Chiesa, del suo triste passato e del suo fiorentissimo presente, è stato pubblicato il 26 agosto 2018, cioè esattamente 40 anni dopo la nomina a papa di Giovanni Paolo I, il Papa che voleva fermare le novità dottrinali dei gesuiti. Forse senza sapere che le loro innovative teorie andavano a braccetto con una prassi di cui solo oggi conosciamo gli spaventosi dettagli.
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