- Bolletta rovente: i fortissimi rincari fermano moltissimo imprese. A rischio 500.000 posti di lavoro. In crisi il distretto della carta di Lucca, quello delle materie plastiche di Treviso, quello dei metalli di Brescia e Lumezzane, quello del vetro di Murano e della meccanica di Lecco. Anche la moda è in ginocchio. E gli aiuti del governo sono insufficienti.
- Il numero uno di Assofond, Fabio Zanardi: «Da 12 anni non vedevamo tanti ordini, tutto in fumo».
- Il presidente degli imprenditori del settore, Giovanni Savorani: «I maggiori costi si scaricheranno sui prezzi. Ma problemi vengono anche dall’Ue, non c’è chiarezza sulle fonti di energia utilizzabili per la transizione ecologica».
Bolletta rovente: i fortissimi rincari fermano moltissimo imprese. A rischio 500.000 posti di lavoro. In crisi il distretto della carta di Lucca, quello delle materie plastiche di Treviso, quello dei metalli di Brescia e Lumezzane, quello del vetro di Murano e della meccanica di Lecco. Anche la moda è in ginocchio. E gli aiuti del governo sono insufficienti.Il numero uno di Assofond, Fabio Zanardi: «Da 12 anni non vedevamo tanti ordini, tutto in fumo».Il presidente degli imprenditori del settore, Giovanni Savorani: «I maggiori costi si scaricheranno sui prezzi. Ma problemi vengono anche dall’Ue, non c’è chiarezza sulle fonti di energia utilizzabili per la transizione ecologica».Lo speciale contiene tre articoli.A breve perfino comprare un mazzo di fiori diventerà un privilegio per pochi. Con il gasolio schizzato a cifre stellari, le serre stanno chiudendo o rallentano. È una mossa obbligata, dal momento che la produzione di fertilizzanti e il riscaldamento delle colture hanno raggiunto quotazioni impensabili qualche mese fa. Per non parlare degli imballaggi, delle acciaierie, della ceramica. Che fare? Scaricare i rincari energetici sul prodotto finale rischia di compromettere un posizionamento di rilievo sul mercato. Il paradosso è che il 2021 ha segnato un incremento generalizzato degli ordini, con una domanda in crescita, con l’export che marcia a pieno ritmo e con prospettive di sviluppo dell’economia. Tutto bene, quindi, finché le quotazioni del gas non sono impazzite: tra marzo e novembre rialzi del 350% e solo a dicembre +39%. L’escalation è cominciata alla fine del lockdown, quando l’economia mondiale ha ripreso a marciare chiedendo al mercato più energia e contemporaneamente l’Europa decideva di accelerare la transizione energetica e quindi la decarbonizzazione. riducendo gli investimenti nell’estrazione di gas. A questo scenario ora si è aggiunto un altro fattore che ha a che fare con gli equilibri della geopolitica: la tensione tra Russia e Ucraina. Una guerra ai confini dell’Europa ci interessa eccome, dal momento che la Ue da tempo ha rinunciato a una propria autonomia energetica ed è diventata sempre più dipendente da Mosca. Mentre l’Europa chiudeva i giacimenti, la Russia si faceva avanti per soddisfare la domanda crescente di energia. In Italia la metà dell’energia elettrica si produce con il gas e un altro 10% viene dal nucleare francese, da noi sempre criticato ma che ci ha fatto comodo. Ora Mosca, in base a come evolverà la partita sull’Ucraina, può regolare a suo piacimento i rubinetti del gasdotto e mettere in ginocchio l’industria europea. Sembra che sia arrivato il momento critico in cui i nodi vengono al pettine.Le tariffe energetiche, nonostante il deficit aggiuntivo deciso dal governo, sono aumentate mediamente nel 2021 di quasi il 30%. Un intervento quasi simbolico quello di palazzo Chigi, considerata l’ondata di rincari dei prezzi del petrolio e del gas naturale. Chi soffre di più sono i settori produttivi grandi utilizzatori di energia, ma il problema riguarda tutte le aziende, costrette a rivedere i loro costi registrando aumenti stellari. Rispetto al gennaio dell’anno scorso, devono sopportare il raddoppio dei costi dell’energia. Per Davide Tabarelli, presidente di Nomisma energia, «il rischio di un lockdown produttivo c’è. Molte fabbriche stanno decidendo se stare aperte o chiuse, pur in presenza di ordini, perché non ce la fanno a pagare le bollette». La stima degli esperti è che il caro-energia, oltre a mettere a dura prova il sistema produttivo, avrà un costo notevole per l’economia italiana, che in questo 2022 sarà più povera per 35 miliardi di euro. L’aumento abnorme del prezzo europeo del gas e, quindi, dell’elettricità in Italia (+572% a dicembre sul pre-crisi), se persistesse, metterebbe a rischio l’attività nei settori energivori.Il Centro studi di Confindustria ha misurato i primi impatti sulla produzione industriale in Italia (-0,6% in ottobre, dopo la frenata nel terzo trimestre). Secondo la Cgia di Mestre, sono 500.000 i posti a rischio per il caro energia. I settori energivori contano circa 1,8 milioni di lavoratori e di questi il 30% potrebbe essere costretto a rimanere a casa per il fermo della produzione. Nei prossimi mesi, con variazioni annue delle tariffe che in alcuni comparti rischiano di raggiungere il +250%, molte aziende del vetro, della carta e della ceramica, ma anche del cemento, della plastica e della produzione dei laterizi potrebbero essere costrette a fermare la produzione, perché non in grado di far fronte all’aumento esponenziale di questi costi fissi. Toccati anche i settori della meccanica pesante, dell’alimentazione e della chimica. Per molte aziende quindi è più conveniente spegnere i macchinari, come per esempio hanno fatto le Fonderie di Torbole (Brescia), fornitore di dischi e tamburi freno per il comparto auto, che a metà dicembre hanno fermato la produzione per 40 giorni: «Impossibile pensare di produrre e di creare valore in queste condizioni», dice il numero uno aziendale, Enrico Frigerio.I più colpiti sono settori che in questo momento stanno dando un contributo fondamentale alla ripresa economica del Paese, con livelli di vendite all’estero mai toccati in precedenza. Secondo la Cgia, tra i distretti da tutelare maggiormente ci sono quello cartario di Lucca-Capannori, le materie plastiche di Treviso, Vicenza e Padova, i metalli di Brescia-Lumezzane, il settore metalmeccanico del basso Mantovano e di Lecco, le piastrelle di Sassuolo, la termomeccanica di Padova e il vetro di Murano. I settori energivori sono tanti. In ballo c’è anche la moda, la seconda manifattura del Paese che ha 50mila imprese e 400mila lavoratori. Il ministro Roberto Cingolani sta valutando di aumentare la produzione di gas nazionale attraverso i giacimenti già aperti. Avviare le perforazioni nell’Adriatico porterebbe anche fino a 7 miliardi di metri cubi in più di gas, ma l’operazione anni fa fu osteggiata perché si diceva che c’era il rischio di far finire Venezia sott’acqua, figuriamoci oggi che l’Europa sta puntando tutto sull’economia green. Ma mentre si discute, la bolletta sale. E ad annegare sono le aziende.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/luce-rossa-bolletta-rovente-i-fortissimi-rincari-fermano-moltissimo-imprese-a-rischio-500-000-posti-di-lavoro-in-crisi-il-distretto-della-carta-di-lucca-quello-delle-materie-plastiche-di-treviso-quell-2656416715.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="piu-produciamo-piu-soldi-perdiamo-costretti-a-fermare-i-macchinari" data-post-id="2656416715" data-published-at="1642365205" data-use-pagination="False"> «Più produciamo, più soldi perdiamo. Costretti a fermare i macchinari» <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/luce-rossa-bolletta-rovente-i-fortissimi-rincari-fermano-moltissimo-imprese-a-rischio-500-000-posti-di-lavoro-in-crisi-il-distretto-della-carta-di-lucca-quello-delle-materie-plastiche-di-treviso-quell-2656416715.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="i-concorrenti-turchi-e-indiani-ci-ruberanno-i-nostri-mercati" data-post-id="2656416715" data-published-at="1642365205" data-use-pagination="False"> «I concorrenti turchi e indiani ci ruberanno i nostri mercati» «Se va avanti così, rischiamo di cedere quote di mercato ai competitor turchi e indiani. E comunque saremo costretti a scaricare sul prodotto finale i maggiori costi energetici, con il rischio che le oscillazioni così rilevanti e imprevedibili costringano a modificare i listini in continuazione. Ma è un problema anche la mancanza di una posizione chiara sulla politica energetica da parte della Commissione europea, in termini ad esempio di quali fonti siano realmente utilizzabili per la transizione ecologica». Giovanni Savorani, presidente di Confindustria ceramica, ha davanti a sé i dati della chiusura del 2021 che certificano un andamento brillante del settore: volumi di vendite intorno ai 458 milioni di metri quadrati (+12% rispetto al 2019), export in crescita del 13% e vendite sul mercato domestico in aumento del 9%. Ma a rovinare la festa ci si è messo il caro energia. Può farci una fotografia del momento che sta vivendo l’industria della ceramica? «Il settore nel 2021 è andato molto bene fino a settembre e la domanda è rimasta altissima anche a ottobre, quando i costi di produzione sono esplosi. Il gas, che costava 20-25 centesimi al metro cubo, è andato a 180 centesimi, fino a 7-8 volte tanto. Ci hanno spiegato che è un fenomeno geopolitico ma l’industria si trova a dover fronteggiare oscillazioni di costo rilevanti. Ogni giorno in azienda si fanno riunioni con i nostri dirigenti per capire come gestire questa situazione». In che misura il caro gas incide sul fatturato del settore? «Il fatturato delle piastrelle di ceramica nel 2021 è arrivato a circa 5,9 miliardi di euro ma la bolletta del metano, che era intorno ai 250 milioni l’anno, ora è schizzata a 1,25 miliardi. Come possiamo assorbire questi spropositati incrementi di costo è il dilemma di ogni impresa. È chiaro che dovremmo incrementare i prezzi dei nostri prodotti, ma ci sono evidenti limiti». Rincarando i prodotti finali non rischiate di favorire competitori che non hanno questo problema? «È proprio questo il problema. Noi esportiamo l’85% del prodotto e fuori dall’Europa va il 33-34%. Mentre in Europa giochiamo ad armi pari, non è così al di fuori. In poche parole, stiamo rischiando il lavoro. Tant’è che all’inizio di ottobre siamo andati a Roma a chiedere che la cassa integrazione ricomprendesse anche queste situazioni straordinarie. Oggi 4-5 aziende hanno già fatto ricorso alla cassa straordinaria e tante altre stanno utilizzando le ferie arretrate. È un problema che riguarda tutti i settori dell’industria e quando colpirà l’alimentare allora saranno guai seri. Un altro tema è l’alto costo della transizione ecologica». Caro energia ed effetti dell’accelerazione dell’economia green si stanno sommando? «Stiamo pagando salato le emissioni di CO2 senza che esista un’alternativa. In attesa di altre fonti energetiche, è scattato tutto il meccanismo della transizione ecologica e il mercato della CO2, per scelte ideologiche scollegate dalla realtà scientifica, è nelle mani della speculazione con costi che sono diventati 20 volte quelli iniziali. Ora la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ci viene a dire che il gas metano è necessario per gestire la transizione energetica, come il ministro Cingolani sostiene da tempo: ma allora perché in questa fase la burocrazia di Bruxelles tassa le nostre emissioni già ottimizzate con imponenti investimenti e senza alternative? Come facciamo a vivere con questi prezzi?». La ceramica come intende difendersi? «La domanda per i nostri prodotti è alta nel mondo. Sono convinto che per il nostro settore ci sarà una via d’uscita ma sarà cara, perché dovremo aumentare i prezzi e si rischia di perdere quote di mercato. In mancanza di interventi devono preoccupare le conseguenze per l’occupazione di qualità che anche il nostro settore, come tutte le industrie manifatturiere, garantisce sui nostri territori, così come i rincari generalizzati dei prezzi con le conseguenti difficoltà per le famiglie a far quadrare i bilanci». Ci sono Paesi che potrebbero avvantaggiarsi della vostra difficoltà? «Certo, Turchia e India troveranno una strada aperta se andiamo fuori mercato. Anche perché i player finanziari andranno a investire in quei Paesi. È una delocalizzazione subdola. Un importante fondo inglese che opera anche nella ceramica, dopo aver fatto investimenti in Spagna e Italia, a novembre si è spostato in Turchia. Non li biasimo, vanno dove c’è convenienza». Non è che rischiate anche il voltafaccia delle banche? Dare prestiti ad aziende strozzate dagli alti costi potrebbe essere pericoloso. «Spero di no. Ho fatto proprio questa domanda a una primaria banca italiana e mi ha detto di no, ma il timore c’è. Sarebbe il colmo».
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.