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2022-01-17
Il caro bollette ferma le imprese. A rischio 500.000 posti di lavoro
A breve perfino comprare un mazzo di fiori diventerà un privilegio per pochi. Con il gasolio schizzato a cifre stellari, le serre stanno chiudendo o rallentano. È una mossa obbligata, dal momento che la produzione di fertilizzanti e il riscaldamento delle colture hanno raggiunto quotazioni impensabili qualche mese fa. Per non parlare degli imballaggi, delle acciaierie, della ceramica. Che fare? Scaricare i rincari energetici sul prodotto finale rischia di compromettere un posizionamento di rilievo sul mercato. Il paradosso è che il 2021 ha segnato un incremento generalizzato degli ordini, con una domanda in crescita, con l’export che marcia a pieno ritmo e con prospettive di sviluppo dell’economia. Tutto bene, quindi, finché le quotazioni del gas non sono impazzite: tra marzo e novembre rialzi del 350% e solo a dicembre +39%. L’escalation è cominciata alla fine del lockdown, quando l’economia mondiale ha ripreso a marciare chiedendo al mercato più energia e contemporaneamente l’Europa decideva di accelerare la transizione energetica e quindi la decarbonizzazione. riducendo gli investimenti nell’estrazione di gas.
A questo scenario ora si è aggiunto un altro fattore che ha a che fare con gli equilibri della geopolitica: la tensione tra Russia e Ucraina. Una guerra ai confini dell’Europa ci interessa eccome, dal momento che la Ue da tempo ha rinunciato a una propria autonomia energetica ed è diventata sempre più dipendente da Mosca. Mentre l’Europa chiudeva i giacimenti, la Russia si faceva avanti per soddisfare la domanda crescente di energia. In Italia la metà dell’energia elettrica si produce con il gas e un altro 10% viene dal nucleare francese, da noi sempre criticato ma che ci ha fatto comodo. Ora Mosca, in base a come evolverà la partita sull’Ucraina, può regolare a suo piacimento i rubinetti del gasdotto e mettere in ginocchio l’industria europea. Sembra che sia arrivato il momento critico in cui i nodi vengono al pettine.
Le tariffe energetiche, nonostante il deficit aggiuntivo deciso dal governo, sono aumentate mediamente nel 2021 di quasi il 30%. Un intervento quasi simbolico quello di palazzo Chigi, considerata l’ondata di rincari dei prezzi del petrolio e del gas naturale. Chi soffre di più sono i settori produttivi grandi utilizzatori di energia, ma il problema riguarda tutte le aziende, costrette a rivedere i loro costi registrando aumenti stellari. Rispetto al gennaio dell’anno scorso, devono sopportare il raddoppio dei costi dell’energia.
Per Davide Tabarelli, presidente di Nomisma energia, «il rischio di un lockdown produttivo c’è. Molte fabbriche stanno decidendo se stare aperte o chiuse, pur in presenza di ordini, perché non ce la fanno a pagare le bollette». La stima degli esperti è che il caro-energia, oltre a mettere a dura prova il sistema produttivo, avrà un costo notevole per l’economia italiana, che in questo 2022 sarà più povera per 35 miliardi di euro. L’aumento abnorme del prezzo europeo del gas e, quindi, dell’elettricità in Italia (+572% a dicembre sul pre-crisi), se persistesse, metterebbe a rischio l’attività nei settori energivori.
Il Centro studi di Confindustria ha misurato i primi impatti sulla produzione industriale in Italia (-0,6% in ottobre, dopo la frenata nel terzo trimestre). Secondo la Cgia di Mestre, sono 500.000 i posti a rischio per il caro energia. I settori energivori contano circa 1,8 milioni di lavoratori e di questi il 30% potrebbe essere costretto a rimanere a casa per il fermo della produzione. Nei prossimi mesi, con variazioni annue delle tariffe che in alcuni comparti rischiano di raggiungere il +250%, molte aziende del vetro, della carta e della ceramica, ma anche del cemento, della plastica e della produzione dei laterizi potrebbero essere costrette a fermare la produzione, perché non in grado di far fronte all’aumento esponenziale di questi costi fissi.
Toccati anche i settori della meccanica pesante, dell’alimentazione e della chimica. Per molte aziende quindi è più conveniente spegnere i macchinari, come per esempio hanno fatto le Fonderie di Torbole (Brescia), fornitore di dischi e tamburi freno per il comparto auto, che a metà dicembre hanno fermato la produzione per 40 giorni: «Impossibile pensare di produrre e di creare valore in queste condizioni», dice il numero uno aziendale, Enrico Frigerio.
I più colpiti sono settori che in questo momento stanno dando un contributo fondamentale alla ripresa economica del Paese, con livelli di vendite all’estero mai toccati in precedenza. Secondo la Cgia, tra i distretti da tutelare maggiormente ci sono quello cartario di Lucca-Capannori, le materie plastiche di Treviso, Vicenza e Padova, i metalli di Brescia-Lumezzane, il settore metalmeccanico del basso Mantovano e di Lecco, le piastrelle di Sassuolo, la termomeccanica di Padova e il vetro di Murano. I settori energivori sono tanti. In ballo c’è anche la moda, la seconda manifattura del Paese che ha 50mila imprese e 400mila lavoratori.
Il ministro Roberto Cingolani sta valutando di aumentare la produzione di gas nazionale attraverso i giacimenti già aperti. Avviare le perforazioni nell’Adriatico porterebbe anche fino a 7 miliardi di metri cubi in più di gas, ma l’operazione anni fa fu osteggiata perché si diceva che c’era il rischio di far finire Venezia sott’acqua, figuriamoci oggi che l’Europa sta puntando tutto sull’economia green. Ma mentre si discute, la bolletta sale. E ad annegare sono le aziende.
«Più produciamo, più soldi perdiamo. Costretti a fermare i macchinari»
«I concorrenti turchi e indiani ci ruberanno i nostri mercati»
«Se va avanti così, rischiamo di cedere quote di mercato ai competitor turchi e indiani. E comunque saremo costretti a scaricare sul prodotto finale i maggiori costi energetici, con il rischio che le oscillazioni così rilevanti e imprevedibili costringano a modificare i listini in continuazione. Ma è un problema anche la mancanza di una posizione chiara sulla politica energetica da parte della Commissione europea, in termini ad esempio di quali fonti siano realmente utilizzabili per la transizione ecologica». Giovanni Savorani, presidente di Confindustria ceramica, ha davanti a sé i dati della chiusura del 2021 che certificano un andamento brillante del settore: volumi di vendite intorno ai 458 milioni di metri quadrati (+12% rispetto al 2019), export in crescita del 13% e vendite sul mercato domestico in aumento del 9%. Ma a rovinare la festa ci si è messo il caro energia.
Può farci una fotografia del momento che sta vivendo l’industria della ceramica?
«Il settore nel 2021 è andato molto bene fino a settembre e la domanda è rimasta altissima anche a ottobre, quando i costi di produzione sono esplosi. Il gas, che costava 20-25 centesimi al metro cubo, è andato a 180 centesimi, fino a 7-8 volte tanto. Ci hanno spiegato che è un fenomeno geopolitico ma l’industria si trova a dover fronteggiare oscillazioni di costo rilevanti. Ogni giorno in azienda si fanno riunioni con i nostri dirigenti per capire come gestire questa situazione».
In che misura il caro gas incide sul fatturato del settore?
«Il fatturato delle piastrelle di ceramica nel 2021 è arrivato a circa 5,9 miliardi di euro ma la bolletta del metano, che era intorno ai 250 milioni l’anno, ora è schizzata a 1,25 miliardi. Come possiamo assorbire questi spropositati incrementi di costo è il dilemma di ogni impresa. È chiaro che dovremmo incrementare i prezzi dei nostri prodotti, ma ci sono evidenti limiti».
Rincarando i prodotti finali non rischiate di favorire competitori che non hanno questo problema?
«È proprio questo il problema. Noi esportiamo l’85% del prodotto e fuori dall’Europa va il 33-34%. Mentre in Europa giochiamo ad armi pari, non è così al di fuori. In poche parole, stiamo rischiando il lavoro. Tant’è che all’inizio di ottobre siamo andati a Roma a chiedere che la cassa integrazione ricomprendesse anche queste situazioni straordinarie. Oggi 4-5 aziende hanno già fatto ricorso alla cassa straordinaria e tante altre stanno utilizzando le ferie arretrate. È un problema che riguarda tutti i settori dell’industria e quando colpirà l’alimentare allora saranno guai seri. Un altro tema è l’alto costo della transizione ecologica».
Caro energia ed effetti dell’accelerazione dell’economia green si stanno sommando?
«Stiamo pagando salato le emissioni di CO2 senza che esista un’alternativa. In attesa di altre fonti energetiche, è scattato tutto il meccanismo della transizione ecologica e il mercato della CO2, per scelte ideologiche scollegate dalla realtà scientifica, è nelle mani della speculazione con costi che sono diventati 20 volte quelli iniziali. Ora la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ci viene a dire che il gas metano è necessario per gestire la transizione energetica, come il ministro Cingolani sostiene da tempo: ma allora perché in questa fase la burocrazia di Bruxelles tassa le nostre emissioni già ottimizzate con imponenti investimenti e senza alternative? Come facciamo a vivere con questi prezzi?».
La ceramica come intende difendersi?
«La domanda per i nostri prodotti è alta nel mondo. Sono convinto che per il nostro settore ci sarà una via d’uscita ma sarà cara, perché dovremo aumentare i prezzi e si rischia di perdere quote di mercato. In mancanza di interventi devono preoccupare le conseguenze per l’occupazione di qualità che anche il nostro settore, come tutte le industrie manifatturiere, garantisce sui nostri territori, così come i rincari generalizzati dei prezzi con le conseguenti difficoltà per le famiglie a far quadrare i bilanci».
Ci sono Paesi che potrebbero avvantaggiarsi della vostra difficoltà?
«Certo, Turchia e India troveranno una strada aperta se andiamo fuori mercato. Anche perché i player finanziari andranno a investire in quei Paesi. È una delocalizzazione subdola. Un importante fondo inglese che opera anche nella ceramica, dopo aver fatto investimenti in Spagna e Italia, a novembre si è spostato in Turchia. Non li biasimo, vanno dove c’è convenienza».
Non è che rischiate anche il voltafaccia delle banche? Dare prestiti ad aziende strozzate dagli alti costi potrebbe essere pericoloso.
«Spero di no. Ho fatto proprio questa domanda a una primaria banca italiana e mi ha detto di no, ma il timore c’è. Sarebbe il colmo».
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Bolletta rovente: i fortissimi rincari fermano moltissimo imprese. A rischio 500.000 posti di lavoro. In crisi il distretto della carta di Lucca, quello delle materie plastiche di Treviso, quello dei metalli di Brescia e Lumezzane, quello del vetro di Murano e della meccanica di Lecco. Anche la moda è in ginocchio. E gli aiuti del governo sono insufficienti.Il numero uno di Assofond, Fabio Zanardi: «Da 12 anni non vedevamo tanti ordini, tutto in fumo».Il presidente degli imprenditori del settore, Giovanni Savorani: «I maggiori costi si scaricheranno sui prezzi. Ma problemi vengono anche dall’Ue, non c’è chiarezza sulle fonti di energia utilizzabili per la transizione ecologica».Lo speciale contiene tre articoli.A breve perfino comprare un mazzo di fiori diventerà un privilegio per pochi. Con il gasolio schizzato a cifre stellari, le serre stanno chiudendo o rallentano. È una mossa obbligata, dal momento che la produzione di fertilizzanti e il riscaldamento delle colture hanno raggiunto quotazioni impensabili qualche mese fa. Per non parlare degli imballaggi, delle acciaierie, della ceramica. Che fare? Scaricare i rincari energetici sul prodotto finale rischia di compromettere un posizionamento di rilievo sul mercato. Il paradosso è che il 2021 ha segnato un incremento generalizzato degli ordini, con una domanda in crescita, con l’export che marcia a pieno ritmo e con prospettive di sviluppo dell’economia. Tutto bene, quindi, finché le quotazioni del gas non sono impazzite: tra marzo e novembre rialzi del 350% e solo a dicembre +39%. L’escalation è cominciata alla fine del lockdown, quando l’economia mondiale ha ripreso a marciare chiedendo al mercato più energia e contemporaneamente l’Europa decideva di accelerare la transizione energetica e quindi la decarbonizzazione. riducendo gli investimenti nell’estrazione di gas. A questo scenario ora si è aggiunto un altro fattore che ha a che fare con gli equilibri della geopolitica: la tensione tra Russia e Ucraina. Una guerra ai confini dell’Europa ci interessa eccome, dal momento che la Ue da tempo ha rinunciato a una propria autonomia energetica ed è diventata sempre più dipendente da Mosca. Mentre l’Europa chiudeva i giacimenti, la Russia si faceva avanti per soddisfare la domanda crescente di energia. In Italia la metà dell’energia elettrica si produce con il gas e un altro 10% viene dal nucleare francese, da noi sempre criticato ma che ci ha fatto comodo. Ora Mosca, in base a come evolverà la partita sull’Ucraina, può regolare a suo piacimento i rubinetti del gasdotto e mettere in ginocchio l’industria europea. Sembra che sia arrivato il momento critico in cui i nodi vengono al pettine.Le tariffe energetiche, nonostante il deficit aggiuntivo deciso dal governo, sono aumentate mediamente nel 2021 di quasi il 30%. Un intervento quasi simbolico quello di palazzo Chigi, considerata l’ondata di rincari dei prezzi del petrolio e del gas naturale. Chi soffre di più sono i settori produttivi grandi utilizzatori di energia, ma il problema riguarda tutte le aziende, costrette a rivedere i loro costi registrando aumenti stellari. Rispetto al gennaio dell’anno scorso, devono sopportare il raddoppio dei costi dell’energia. Per Davide Tabarelli, presidente di Nomisma energia, «il rischio di un lockdown produttivo c’è. Molte fabbriche stanno decidendo se stare aperte o chiuse, pur in presenza di ordini, perché non ce la fanno a pagare le bollette». La stima degli esperti è che il caro-energia, oltre a mettere a dura prova il sistema produttivo, avrà un costo notevole per l’economia italiana, che in questo 2022 sarà più povera per 35 miliardi di euro. L’aumento abnorme del prezzo europeo del gas e, quindi, dell’elettricità in Italia (+572% a dicembre sul pre-crisi), se persistesse, metterebbe a rischio l’attività nei settori energivori.Il Centro studi di Confindustria ha misurato i primi impatti sulla produzione industriale in Italia (-0,6% in ottobre, dopo la frenata nel terzo trimestre). Secondo la Cgia di Mestre, sono 500.000 i posti a rischio per il caro energia. I settori energivori contano circa 1,8 milioni di lavoratori e di questi il 30% potrebbe essere costretto a rimanere a casa per il fermo della produzione. Nei prossimi mesi, con variazioni annue delle tariffe che in alcuni comparti rischiano di raggiungere il +250%, molte aziende del vetro, della carta e della ceramica, ma anche del cemento, della plastica e della produzione dei laterizi potrebbero essere costrette a fermare la produzione, perché non in grado di far fronte all’aumento esponenziale di questi costi fissi. Toccati anche i settori della meccanica pesante, dell’alimentazione e della chimica. Per molte aziende quindi è più conveniente spegnere i macchinari, come per esempio hanno fatto le Fonderie di Torbole (Brescia), fornitore di dischi e tamburi freno per il comparto auto, che a metà dicembre hanno fermato la produzione per 40 giorni: «Impossibile pensare di produrre e di creare valore in queste condizioni», dice il numero uno aziendale, Enrico Frigerio.I più colpiti sono settori che in questo momento stanno dando un contributo fondamentale alla ripresa economica del Paese, con livelli di vendite all’estero mai toccati in precedenza. Secondo la Cgia, tra i distretti da tutelare maggiormente ci sono quello cartario di Lucca-Capannori, le materie plastiche di Treviso, Vicenza e Padova, i metalli di Brescia-Lumezzane, il settore metalmeccanico del basso Mantovano e di Lecco, le piastrelle di Sassuolo, la termomeccanica di Padova e il vetro di Murano. I settori energivori sono tanti. In ballo c’è anche la moda, la seconda manifattura del Paese che ha 50mila imprese e 400mila lavoratori. Il ministro Roberto Cingolani sta valutando di aumentare la produzione di gas nazionale attraverso i giacimenti già aperti. Avviare le perforazioni nell’Adriatico porterebbe anche fino a 7 miliardi di metri cubi in più di gas, ma l’operazione anni fa fu osteggiata perché si diceva che c’era il rischio di far finire Venezia sott’acqua, figuriamoci oggi che l’Europa sta puntando tutto sull’economia green. Ma mentre si discute, la bolletta sale. 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Ma è un problema anche la mancanza di una posizione chiara sulla politica energetica da parte della Commissione europea, in termini ad esempio di quali fonti siano realmente utilizzabili per la transizione ecologica». Giovanni Savorani, presidente di Confindustria ceramica, ha davanti a sé i dati della chiusura del 2021 che certificano un andamento brillante del settore: volumi di vendite intorno ai 458 milioni di metri quadrati (+12% rispetto al 2019), export in crescita del 13% e vendite sul mercato domestico in aumento del 9%. Ma a rovinare la festa ci si è messo il caro energia. Può farci una fotografia del momento che sta vivendo l’industria della ceramica? «Il settore nel 2021 è andato molto bene fino a settembre e la domanda è rimasta altissima anche a ottobre, quando i costi di produzione sono esplosi. Il gas, che costava 20-25 centesimi al metro cubo, è andato a 180 centesimi, fino a 7-8 volte tanto. Ci hanno spiegato che è un fenomeno geopolitico ma l’industria si trova a dover fronteggiare oscillazioni di costo rilevanti. Ogni giorno in azienda si fanno riunioni con i nostri dirigenti per capire come gestire questa situazione». In che misura il caro gas incide sul fatturato del settore? «Il fatturato delle piastrelle di ceramica nel 2021 è arrivato a circa 5,9 miliardi di euro ma la bolletta del metano, che era intorno ai 250 milioni l’anno, ora è schizzata a 1,25 miliardi. Come possiamo assorbire questi spropositati incrementi di costo è il dilemma di ogni impresa. È chiaro che dovremmo incrementare i prezzi dei nostri prodotti, ma ci sono evidenti limiti». Rincarando i prodotti finali non rischiate di favorire competitori che non hanno questo problema? «È proprio questo il problema. Noi esportiamo l’85% del prodotto e fuori dall’Europa va il 33-34%. Mentre in Europa giochiamo ad armi pari, non è così al di fuori. In poche parole, stiamo rischiando il lavoro. Tant’è che all’inizio di ottobre siamo andati a Roma a chiedere che la cassa integrazione ricomprendesse anche queste situazioni straordinarie. Oggi 4-5 aziende hanno già fatto ricorso alla cassa straordinaria e tante altre stanno utilizzando le ferie arretrate. È un problema che riguarda tutti i settori dell’industria e quando colpirà l’alimentare allora saranno guai seri. Un altro tema è l’alto costo della transizione ecologica». Caro energia ed effetti dell’accelerazione dell’economia green si stanno sommando? «Stiamo pagando salato le emissioni di CO2 senza che esista un’alternativa. In attesa di altre fonti energetiche, è scattato tutto il meccanismo della transizione ecologica e il mercato della CO2, per scelte ideologiche scollegate dalla realtà scientifica, è nelle mani della speculazione con costi che sono diventati 20 volte quelli iniziali. Ora la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ci viene a dire che il gas metano è necessario per gestire la transizione energetica, come il ministro Cingolani sostiene da tempo: ma allora perché in questa fase la burocrazia di Bruxelles tassa le nostre emissioni già ottimizzate con imponenti investimenti e senza alternative? Come facciamo a vivere con questi prezzi?». La ceramica come intende difendersi? «La domanda per i nostri prodotti è alta nel mondo. Sono convinto che per il nostro settore ci sarà una via d’uscita ma sarà cara, perché dovremo aumentare i prezzi e si rischia di perdere quote di mercato. In mancanza di interventi devono preoccupare le conseguenze per l’occupazione di qualità che anche il nostro settore, come tutte le industrie manifatturiere, garantisce sui nostri territori, così come i rincari generalizzati dei prezzi con le conseguenti difficoltà per le famiglie a far quadrare i bilanci». Ci sono Paesi che potrebbero avvantaggiarsi della vostra difficoltà? «Certo, Turchia e India troveranno una strada aperta se andiamo fuori mercato. Anche perché i player finanziari andranno a investire in quei Paesi. È una delocalizzazione subdola. Un importante fondo inglese che opera anche nella ceramica, dopo aver fatto investimenti in Spagna e Italia, a novembre si è spostato in Turchia. Non li biasimo, vanno dove c’è convenienza». Non è che rischiate anche il voltafaccia delle banche? Dare prestiti ad aziende strozzate dagli alti costi potrebbe essere pericoloso. «Spero di no. Ho fatto proprio questa domanda a una primaria banca italiana e mi ha detto di no, ma il timore c’è. Sarebbe il colmo».
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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