2025-10-02
Disavanzi globali su, sfiducia nelle banche centrali, shopping Cina, meno miniere: il metallo vola a 3.900 dollari. Boom argento. La Bce: l’economia Ue ristagna perché punta su export e salari bassi. Proprio il mix che ha causato le tariffe...Lo speciale contiene due articoli.Altro che Wall Street, altro che criptovalute, altro che promesse di presidenti e banchieri centrali. Il re, ancora una volta, è lui: l’oro. Il metallo giallo, quello che la nonna teneva nascosto nella credenza avvolto nel fazzoletto di seta sotto forma di coroncine conservate per conto dei nipotini. Ieri ha messo a segno il trentanovesimo record del 2025. Ha superato la soglia di 3.900 dollari l’oncia spingendosi a quota 3.915 Non un rally, non un fuoco di paglia: una marcia trionfale. Ogni settimana una vetta in più, un nuovo massimo, un nuovo schiaffo a quanti ritengono il metallo giallo sia archeologia del trading. Le quotazioni sono salite del 50% dall’inizio dell’anno portandosi dietro anche le azioni delle società che si occupano di estrazione e commercializzazione. L’indice Arca Gold Miners, ha guadagnato il 117% dall’inizio dell’anno.Gli investitori scappano verso l’oro non perché improvvisamente abbiano scoperto la gioielleria. No, è semplicemente che non si fidano più di nessuno. Per almeno cinque ragioni. I governi, tanto per cominciare. Continuano a spendere come se i soldi crescessero sugli alberi. Guerre infinite da finanziare, debiti che si accumulano, deficit che si gonfiano. Gli Stati Uniti sono arrivati persino allo shutdown: l’amministrazione ha chiuso i battenti come un bar di provincia la domenica pomeriggio. «Chiuso fino a nuovo avviso». Una superpotenza trasformata in un cartello da ferramenta.E, secondo motivo, la sfiducia nell’Europa. Da anni recita la filastrocca dell’austerità ma ogni bilancio aggiunge deficit come se fossero punti fedeltà. Risultato: la moneta perde valore. Dollaro, euro, sterlina. Rettangoli di carta colorata. Perché mai qualcuno dovrebbe fidarsi? Meglio il lingotto: quello almeno brilla. Terzo motivo: le banche centrali, il grande spettacolo del nostro tempo. Negli ultimi dodici mesi hanno infilato 168 tagli dei tassi. Centosessantotto! Sembra una televendita: «Solo oggi, i vostri soldi con lo sconto». È il Black Friday permanente del denaro. La logica è chiara: per sostenere la crescita abbassano i tassi, ma il messaggio che arriva è un altro: i soldi valgono sempre meno. E allora la gente compra oro. Meglio non fidarsi.La Fed, che dovrebbe essere indipendente, ormai è il pupazzo di Washington. Ogni volta che Powell apre bocca, la Casa Bianca lo rimprovera come il maestro nei confronti dell’alunno negligente. La Bce sembra il classico gruppo di condominio che litiga sull’ascensore: falchi contro colombe, rigoristi contro espansionisti. Risultato? L’inflazione che a settembre torna ad alzare la testa e la parola che nessuno vuole pronunciare – stagflazione – che comincia a circolare. Christine Lagarde assicura che «la situazione è sotto controllo». Ma sarà davvero così? E poi c’è la Cina, quarto motore del rialzo. Il più potente di tutti. Pechino compra oro come se non ci fosse un domani. Lo fa per blindare le riserve, ma anche per lanciare lo yuan come moneta di riferimento negli scambi internazionali. Soprattutto per quanto riguarda gli acquisti di energia. Più lingotti in cassaforte, più credibilità per la valuta di Pechino. Altro che dollaro, altro che euro. La Cina prepara la sua alternativa e intanto svuota il mercato dell’oro. Mentre l’Occidente si perde in discussioni infinite, Xi Jinping fa shopping di lingotti. E come se non bastasse, c’è anche il problema dell’offerta: quinta causa del rialzo delle quotazioni. Le miniere estraggono sempre meno. E in caso di scoperta passano dieci anni prima che diventi operativa. Dieci anni! In un mondo che brucia risorse a velocità folle, l’oro diventa ogni giorno più raro. E cosa succede quando un bene è scarso e in molti vogliono acquistarlo? Esatto: sale di prezzo.In fondo, la corsa dell’oro è il vero referendum globale. Ogni record non è solo un numero, è un gigantesco voto di sfiducia. Contro i governi che spendono senza coperture, contro le banche centrali che giocano con i tassi, contro l’instabilità. È come se il mercato avesse deciso: «Non crediamo più a voi. Non crediamo più alle vostre parole. Crediamo solo a quello che possiamo toccare. E l’oro, almeno, non mente».Così siamo arrivati al trentanovesimo record del 2025. E chissà quanti altri arriveranno. Ogni volta che un governo annuncia «abbiamo trovato la ricetta per lo sviluppo», il prezzo dell’oro sale di altri dieci dollari. Ogni volta che un governatore centrale pronuncia «soft landing» (rientro morbido), gli investitori comprano lingotti. È diventata quasi una legge della fisica.La verità è che, in mezzo a questo caos, l’unico presidente rieletto senza rivali è lui: il metallo giallo. Non ha partito, non ha opposizione. Ogni volta che c’è crisi, vince. Ogni volta che la fiducia crolla, guadagna punti. L’oro è il candidato eterno: non parla mai, ma governa sempre.E allora sì, si può dire con ironia che il 2025 sarà ricordato come l’anno in cui l’oro ha riscritto la politica mondiale a colpi di record. Perché, mentre tutti gli altri si perdono in chiacchiere, lui resta lì, imperturbabile. Solido, raro, prezioso.E non c’è banca centrale che tenga: l’unica cintura di sicurezza che il mondo ha davvero trovato è quella chiusa in una cassetta di sicurezza.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/loro-segna-il-39-record-2674146957.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lagarde-rivela-che-sui-dazi-ha-ragione-donald" data-post-id="2674146957" data-published-at="1759402209" data-use-pagination="False"> Lagarde rivela che sui dazi ha ragione Donald Il presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, in un discorso tenuto a Helsinki, ha detto martedì che gli effetti dei dazi imposti dagli Stati Uniti sulle merci europee non sono stati «così significativi come previsto». Al punto che «un aumento di appena il 2% degli scambi commerciali all’interno dell’area dell’euro sarebbe sufficiente a compensare la perdita di esportazioni verso gli Stati Uniti causata dall’aumento dei dazi». Il ragionamento che porta a questo 2% è piuttosto semplice. Gli Stati Uniti rappresentano il 10% delle esportazioni totali dell’area dell’euro e l’Ue stima che i nuovi dazi ridurranno le esportazioni dell’area dell’euro verso gli Stati Uniti di circa il 9%, il che si tradurrà in un calo dello 0,9% delle esportazioni complessive dell’eurozona, pari a circa 66 miliardi di euro. Per compensare questa carenza di scambi diretti sarebbe necessario un aumento del 2% degli scambi intra-area dell’euro. Con il disarmante candore proprio di chi è inconsapevole della materia di cui sta parlando, con queste frasi la Lagarde certifica e svela in un colpo solo ben tre scomode realtà su cui i lettori della Verità sono già edotti. La prima è che con le sue parole Lagarde ammette che il terrore scatenato in Europa in vista dei dazi si sta rivelando una enorme bolla di sapone. Anzi, di propaganda. Se persino il vertice della politica monetaria arriva a dire che gli effetti dei dazi sono poco significativi per l’economia dell’eurozona, significa che l’allarmismo e gli alti lai di cui siamo stati testimoni (riluttanti) in tutti questi mesi erano a dir poco esagerati. Anche il titolo del discorso di Lagarde a Helsinki appare fuori fuoco rispetto alla sostanza: «Guerre commerciali e banche centrali: lezioni dal 2025». Più che di una guerra, dalla concione della stessa Lagarde sembra trattarsi di una scaramuccia. Secondo la presidente della Bce, le conseguenze attese dall’imposizione dei dazi da parte degli Stati Uniti (inflazione in aumento, deprezzamento dell’euro e calo degli investimenti) non si sono verificate. L’impatto cumulativo di dazi e incertezza sulla crescita è stimato in -0,7% sul triennio 2025-2027. L’impatto sull’inflazione è stato pressoché nullo. Poi, l’euro si è rafforzato del 13% contro il dollaro, mitigando l’impatto dei dazi e frenando solo di poco la crescita. Proprio nell’andamento dell’euro si nasconde la seconda verità che, senza volere, Lagarde si lascia sfuggire. Lagarde dice: «L’apprezzamento dell’euro ha quindi contenuto l’inflazione importata dalle catene di approvvigionamento». Il tasso di cambio, se lasciato libero di fluttuare, ha proprio la funzione di assorbire gli shock esterni, come può essere considerata l’imposizione dei dazi da parte degli Stati Uniti. Una lezione che invece quando si parla della moneta unica si tende a dimenticare. In caso di shock esterni, all’interno dell’area euro dove i cambi sono fissi e immutabili gli aggiustamenti ricadono sui salari, e sono i lavoratori a farne le spese. Ma veniamo alla terza e più gustosa chicca che la presidente della BCE si lascia sfuggire. Dicendo che un aumento degli scambi del 2% all’interno del mercato europeo sarebbe sufficiente a compensare l’effetto dei dazi, Lagarde ammette inconsapevolmente che il mercato interno è volutamente compresso, per contenere salari e inflazione e guadagnare in competitività sui mercati esteri. Dice Lagarde: «Un fattore spesso trascurato nel dibattito sui dazi è che il nostro mercato interno è di gran lunga più importante per il commercio rispetto al mercato globale». Ma non è trascurato: è proprio nascosto. Di fatto, con il suo discorso di Helsinki, Lagarde ha ripetuto ciò che ha detto Mario Draghi a La Hulpe nell’aprile 2024 e poi ripetuto in diverse occasioni, quando affermò che la competitività nell’eurozona si è fondata sinora sull’abbassamento dei costi del lavoro. In altri termini, se le famiglie europee avessero salari più alti e più capacità di spesa, la bilancia commerciale europea non sarebbe così esposta verso l’estero e avrebbe un profilo di rischio migliore rispetto agli shock esterni. Paradossalmente, Lagarde sembra dire che l’imposizione dei dazi sulle merci Ue da parte di Trump era giustificata, perché l’Ue ben potrebbe vendere quelle merci sul proprio mercato interno se pagasse di più i propri lavoratori. Vampirizzare la domanda altrui alla lunga porta a squilibri macroeconomici. Naturalmente, Lagarde si guarda bene dall’affermare tutto ciò esplicitamente ed anzi attribuisce Peccato che secondo Lagarde la crescita del mercato europeo vada perseguita applicando le «riforme» indicate dai rapporti Draghi e Letta, che in realtà non si è filato nessuno (soprattutto il povero Letta). Sappiamo infatti che in realtà quelle riforme sono tese a migliorare la competitività e non a sostenere la domanda interna. Si conferma ancora una volta l’insipienza del vertice della Bce, che per l’ennesima volta scambia fischi per fiaschi.
Chuck Schumer (Getty Images)
Attività federali non essenziali sospese dopo la mancata quadra sulla legge di spesa. Sullo stallo pesa il muro dei dem per i sussidi alla sanità. L’ultimo shutdown costò 11 miliardi. JD Vance: se continua dovremo licenziare.
Donald Trump (Ansa)
Al contrario di Ursula Von der Leyen, che in passato ha chinato il capo a Big Pharma, il tycoon ha costretto il colosso ad abbassare i costi dei farmaci per i consumatori americani.