2024-01-22
Lorenzo Di Donato: «Elettrico, così sfidiamo la Cina. Ma il freno è la burocrazia Ue»
L’ad di Alkeemia: «Puntiamo a diventare il primo produttore di sali di litio per batterie. Parigi intanto si piega a Pechino e Berlino salta i piani europei aiutando le sue aziende».L’obiettivo è di quelli che in modo eufemistico potremmo definire ambiziosi: sviluppare in Italia il più grande centro europeo di produzione e lavorazione di materie prime per le batterie elettriche del futuro. Il cuore, tanto per fare qualche esempio concreto, degli iPhone, che useremo nei prossimi anni, e delle auto con le quali con ogni probabilità andremo in giro. Non parliamo di una sfida qualsiasi, che ogni buon imprenditore deve intraprendere, ma di una Sfida con la «s» maiuscola: riuscire a fare concorrenza alla Cina, la patria di litio, nichel, grafite, cobalto, gli elementi essenziali appunto per costruire i nuovi generatori di energia. Come sempre capita in questi casi, quanto più è ambizioso il traguardo, tanto più la conduzione dell’impresa è stimolante. Traspare dalle parole di Lorenzo Di Donato, amministratore delegato di Alkeemia, la società italiana leader europea della chimica del fluoro, che nello storico impianto di Porto Marghera (ex stabilimento Montedison) si sta preparando al percorso di cui sopra.Partiamo dalla base. Ci spiega cosa produce Alkeemia e perché questa produzione è così importante per l’elettrico? «A Porto Marghera noi siamo una delle poche aziende europee che producono acido fluoridrico. Si tratta di una lavorazione molto complessa che richiede grandi conoscenze e necessita di estrema attenzione dal punto di vista della sicurezza. Il fluoro è alla base di tantissimi prodotti e una percentuale oscillante tra il 13% e il 15% delle batterie elettriche è composta da fluoruri, che direttamente o indirettamente derivano dall’acido fluoridrico». Producete insomma una materia prima fondamentale per la trasformazione energetica?«Il fluoro è di certo una materia prima essenziale per la transizione e grazie a questa puntiamo a diventare il primo (o tra i primi) produttore di sali di litio per le batterie elettriche. L’ambizione è quella di sviluppare a Porto Marghera un bagaglio tecnologico che ci consenta di rifornire la nascente industria delle batterie europee». A cosa servono i sali di litio nelle batterie?«Il sale di litio è il cuore della batteria e contribuisce a determinarne le performance come durata e livello di carica».Lei lo sa che ci sono molte polemiche sia sul discorso sicurezza, sia sulla durata, sia sulla capacità delle batterie, per esempio di performare a determinate temperature?«Conosciamo bene le difficoltà e il percorso di evoluzione che si sta avendo in questo campo. La storia ci insegna che tutte le svolte epocali, sia dal punto di vista industriale, sia da quello tecnologico, vanno per step e possono incontrare delle criticità. Senza entrare nel dettaglio dei singoli casi, comunque è altrettanto evidente che negli ultimi anni siano stati fatti dei passi in avanti “impressionanti”, sia dal punto di vista delle performance che per esempio della durata delle batterie. E così sarà anche nei prossimi anni». Nel processo di transizione green, l’Europa ha fissato dei percorsi molto serrati e con delle tempistiche stringenti, non ritiene che sia una strategia controproducente? Non pensa che possa esserci un effetto perverso per cui il sistema industriale, se non è ancora pronto, rischia di «rigettare» la novità?«No, su questo non sono d’accordo. Ritengo che i tempi non siano stretti. L’Unione europea ha fissato la data al 2035, mancano ancora 11 anni. Non è un problema. Il governo dà l’indirizzo e gli strumenti e in Europa ci sono le competenze e le capacità per portare avanti il progetto. Serve però semplificare e sburocratizzare i processi».Eppure i fatti ci dicono che molte aziende, soprattutto nell’indotto dell’automotive, fanno fatica a riconvertirsi. Ci sono fabbriche che chiudono e lavoratori in cassa integrazione. Cosa non funziona?«È vero che un processo di riconversione provoca dei contraccolpi, ma è anche vero che ci sono nuove opportunità e che nascono nuovi mestieri. Il punto è riuscire a gestire - e in questo il supporto del pubblico sia a livello italiano sia europeo è fondamentale - nel modo meno traumatico possibile le situazioni più delicate. Sotto questo aspetto credo che finanziare la formazione sia fondamentale». A proposito. Secondo molti suoi colleghi, si fa fatica a trovare forza lavoro specializzata. Manca un piano formativo a livello europeo?«Nel nostro caso le figure più richieste sono quelle degli ingegneri e dei chimici, che comunque si trovano nel nostro Paese. Basta garantire loro gli stessi stipendi che potrebbero avere in Francia o Germania. Poi diciamo che c’è anche tutta una fetta di industria che sta nascendo adesso e che quindi è anche normale che alcune competenze specifiche possano svilupparsi con il crescere della domanda. Certo, poi sarebbe molto importante se, anche sotto l’aspetto della formazione e della riqualificazione, l’Europa facesse da collettore delle iniziative dei singoli Stati».Altro snodo cruciale: gli investimenti? Per portare avanti velocemente la transizione servono soldi e tanti. Chi ce li mette?«Guardi, io le posso parlare del nostro caso. Noi siamo stati gli unici ad aggiudicarci un fondo europeo ad hoc per i sali di litio, da circa 25 milioni di euro. Più in generale non le nascondo che c’è una grandissima differenza tra l’Europa e gli Stati Uniti. Qui bisogna prima fare gli investimenti e poi nel tempo arrivano i fondi, negli Usa invece la liquidità arriva direttamente. Di recente, per esempio, sono stati stanziati 623 milioni di dollari per potenziare la rete delle colonnine di ricarica con l’obiettivo dei 500.000 punti di ricarica entro il 2030. È un vantaggio competitivo non da poco. Questo è un mondo che gira a una velocità vorticosa e l’Ue oggi fatica a stare al passo».Poi c’è la Cina: Pechino dà l’impressione di voler usare la strapotenza sulle materie prime indispensabili per la transizione green come un’arma di ricatto.«Da un certo punto di vista è così. Quando il presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, minaccia di bloccare le auto cinesi, Pechino replica con lo stop alla fornitura di grafite. Ma, al di là dei discorsi geopolitici, dobbiamo partire dal presupposto che la Cina è 20 anni avanti in quanto a competenze sulla produzione e la lavorazione di questa tipologia di materie prime. Dobbiamo quindi comportarci come si sono comportati i cinesi in passato e “assorbire” una parte del loro know how. Il nostro obiettivo è quello di creare una supply chain (catena di forniture, ndr) tutta nostra, tutta italiana. I sali di litio non li fa nessuno nel mondo occidentale e se le cose vanno secondo previsioni e verranno realizzati tutti i progetti di gigafactory annunciati in Europa, la richiesta di sali di litio nei prossimi anni passerà da 5.000 a 100.000 tonnellate. Siamo di fronte a una svolta epocale. E non ci fermiamo ai sali di litio. Uno dei progetti per il futuro è quello di produrre internamente anche la grafite di cui parlavo».Saranno i cinesi a comprare Alkeemia…«Alkeemia resterà in Italia. Che i cinesi osservino con interesse la nostra evoluzione è un fatto. Stiamo discutendo di possibili collaborazioni, ma sia ben chiaro che parliamo di collaborazioni. Noi “guardiamo” alle loro conoscenze e su questo lavoriamo. Esistono grandi competenze in questo campo anche in Giappone, tant’è che abbiamo assunto tre ingegneri giapponesi che si stanno trasferendo in Italia insieme alle loro famiglie». In Europa ci sono delle differenze? L’impressione è che anche in questo settore, Francia e Germania, che parlano tanto di Europa unita, poi facciano gara a sé.«I francesi hanno chiamato il più grande produttore di grafite al mondo, ovviamente cinese, per la gigafactory di Dunkerque, mentre il governo tedesco ha deciso di stanziare quasi 60 miliardi di euro per gli investimenti sostenibili del 2024...».Noi abbiamo i fondi del Pnrr…«Lei li ha visti? Per come è stato pensato in Europa e poi realizzato, il progetto prevedeva che buona parte dei fondi fosse assegnata prima di iniziare. E per il resto, lei ha idea di quanto sia complesso avere e spendere i fondi europei».Moriremo di burocrazia.«Se Bruxelles non si sveglia questo rischio c’è. In un mondo ideale il governo europeo dovrebbe individuare delle aziende strategiche e indicare una serie di progetti da portare a termine con il budget che gli mette a disposizione. I processi si semplificherebbero e i risultati arriverebbero rispettando tempi e finalità degli investimenti».
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