2020-04-21
L’ordine di Speranza alle Regioni: malati di Covid in ospedale
È stato il ministero a imporre i ricoveri dei positivi, ora contestati alla Lombardia. Che era in allerta, mentre Roma minimizzava.Chi ha sbagliato cosa nella gestione della pandemia di Covid-19? L'attacco alla Lombardia dimostra che se c'è un rischio che l'esecutivo vuole evitare, una volta terminata la fase critica, è proprio quello di ritrovarsi con il cerino in mano. Non spetta a noi, naturalmente, il compito di accertare eventuali negligenze nella gestione dell'emergenza. Ma per farsi un'idea delle responsabilità può essere utile ricostruire la sequenza temporale degli eventi.La prima nota del ministero della Salute sulla «polmonite di eziologia sconosciuta nella città di Wuhan» risale al 9 gennaio 2020. Seguono altri tre comunicati, tutti dal tono informativo, pubblicati rispettivamente il 13, 17 e 20 gennaio. La svolta arriva il 22 gennaio con la circolare 1.997, indirizzata anche agli assessorati regionali alla Sanità, alla Federazione nazionale ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo) e alla Federazione nazionale ordini professioni infermieristiche (Fnopi). Nel documento si stabiliscono i criteri per la segnalazione dei casi sospetti e il protocollo da seguire per gli operatori. Tutti i potenziali infetti «vanno visitati in un'area separata dagli altri pazienti e ospedalizzati in isolamento in un reparto di malattie infettive, possibilmente in una stanza singola, facendo loro indossare una mascherina chirurgica».E pensare che una delle accuse che viene rivolta più spesso alla Lombardia è per l'appunto l'eccessiva ospedalizzazione dei soggetti positivi. Una prassi però, come dimostra la circolare del 22 gennaio, incoraggiata dallo stesso ministero della Salute guidato da Roberto Speranza. Non per niente, uno studio apparso a fine marzo sulla prestigiosa Harvard business review citava come concausa del presunto fallimento lombardo l'aver «seguito le linee guida del governo centrale». Compresa la politica dei tamponi: ancora un mese dopo, con la circolare 5.889 del 25 febbraio, il ministero ne sconsigliava l'esecuzione agli asintomatici in quanto «il test non appare sostenuto da un razionale scientifico». La definizione di caso sospetto risulta in ogni caso fin troppo circostanziata, e ciò permette al virus di proliferare indisturbato. L'obbligo di segnalazione riguarda infatti solo i soggetti che hanno un'infezione respiratoria grave e uno storico di viaggio nelle aree a rischio della Cina, oppure un contatto stretto con un probabile infetto. Nella revisione dei criteri, formulata con la circolare 2.302 del 27 gennaio, sparisce inspiegabilmente il riferimento a «una persona che manifesta un decorso clinico insolito o inaspettato […] senza tener conto del luogo di residenza o storia di viaggio». Non v'è dubbio che allargare i criteri avrebbe contribuito a salvare molte vite.Torniamo però alla Lombardia, accusata senza mezzi termini di essere rimasta con le mani in mano dopo l'allarme lanciato dal governo. Carte alla mano, le cose stanno diversamente. Già il 23 gennaio - dunque ben 8 giorni prima della proclamazione dello stato di emergenza nazionale da parte del governo - la Dg Welfare indirizzava alle Asst, Ats, case di cura accreditate, e ai direttori di Unità operative e di Dipartimento di malattie infettive la nota 2677 firmata dal dirigente Luigi Cajazzo. Nel testo, non solo le procedure di diagnosi dei casi sospetti e l'iter di segnalazione disciplinati dalla circolare emessa appena il giorno prima dal ministero della Salute, ma anche un invito rivolto alle Ats a predisporre una «informativa dedicata» ai medici e ai pediatri di base contenente «l'obbligo e le modalità di segnalazione» e i «riferimenti delle strutture di Ats per facilitare il contatto telefonico in presenza di eventuali casi sospetti».Quattro giorni dopo, il 27 gennaio, veniva inviata a tutta la filiera sanitaria la nota 3.279, firmata dalla dirigente Maria Gramegna, con l'indicazione dei 17 reparti di malattie infettive che avrebbero preso in carico i pazienti. Una comunicazione, fa sapere alla Verità lo staff dell'assessore alla Sanità, Giulio Gallera, inviata anche all'Ordine regionale dei medici. Le avvertenze della Regione non cadono nel vuoto. Come dimostrano le mail in nostro possesso, le Ats informano medici e pediatri di base, dando inoltre ampia visibilità delle note della Dg Welfare sui rispettivi siti ufficiali. Il 29 gennaio l'Azienda regionale emergenza urgenza (Areu) pubblica un diagramma di flusso contenente le raccomandazioni operative per la gestione del soccorso dei casi sospetti. Compresa la necessità di attivare un percorso dedicato in pronto soccorso e la raccomandazione di indossare i dispositivi di protezione da parte degli operatori. «Le carte non mentono», ha dichiarato sabato Gallera, «Regione Lombardia ha dato piena e pronta attuazione alle linee guida del ministero della Salute». Non solo, se consideriamo che le indicazioni specifiche per i medici di base e gli accessi al pronto soccorso sono stati disciplinati dal governo solo il 22 febbraio (circolare 5.443), si può dire che il Pirellone si sia mosso addirittura con quasi un mese di anticipo.Ma stiamo parlando ancora di comunicazioni per addetti ai lavori in tempi non sospetti. Nessuno sembra dar loro peso perché - testuali parole pronunciate il 14 febbraio dal presidente dell'Iss Silvio Brusaferro - «il virus non circola in Italia». In realtà il virus circola eccome, e pure da settimane. Nei documenti pubblicati a gennaio il ministero della Salute ha «raccomandato» l'utilizzo dei dispositivi di protezione individuale al personale sanitario, senza tuttavia prevedere alcun obbligo, e limitatamente al trattamento dei casi sospetti. Nelle disposizioni per gli operatori che entrano a contatto con il pubblico (circolare 3.190 del 3 febbraio) non si fa menzione delle mascherine: basta lavarsi le mani e pulire le superfici. Una settimana prima del paziente 1 di Codogno, tonnellate di materiale sanitario decollano da Brindisi alla volta di Pechino. Quando a fine febbraio le mascherine diventeranno introvabili, il sottosegretario alla Salute, Sandra Zampa, fa scaricabarile: «Non si deve speculare sulla Protezione civile, le Regioni avrebbero dovuto averle già da tempo». Prima che il governo batta un colpo sull'incremento dei posti letto di terapia intensiva bisognerà attendere il primo marzo con la circolare ministeriale 2.627. Tutto il peso, ancora una volta, ricade sulle Regioni, chiamate alla «rimodulazione locale delle attività ospedaliere» da realizzare anche attraverso l'utilizzo delle strutture private accreditate. È lo stesso provvedimento richiamato dalla giunta di Attilio Fontana quando, in piena emergenza, chiede alle Rsa la disponibilità a ospitare malati di Covid-19 a bassa intensità, e per il quale oggi si trova sotto accusa.
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