2024-08-02
Londra: sbagliato uccidere chi vuole curarsi
Sentenza di buon senso in Inghilterra: fu un errore far morire la diciannovenne Sudiksha Thirumalesh, che chiedeva di potersi sottoporre a terapie in Canada. Per i medici, la sua era una proposta «delirante». Alla famiglia fu vietato pure di raccogliere fondi.Sudiksha Thirumalesh, 19 anni, era gravemente malata, ma voleva «morire provando a vivere». I magistrati inglesi glielo hanno impedito: è spirata il 12 settembre 2023, mentre attendeva un’ennesima udienza in tribunale. Adesso, la Corte d’Appello di Londra le ha concesso almeno un riconoscimento postumo: i suoi genitori hanno vinto il ricorso contro la decisione del giudice tutelare, che aveva dichiarato la ragazza incapace di decidere per sé stessa e, dunque, non titolata a ricevere cure innovative in Canada. La sentenza potrebbe rappresentare un precedente importante per chi, in futuro, dovesse trovarsi nella stessa situazione della giovane e non avesse intenzione di piegarsi alla logica tanatocratica che domina nel sistema sanitario britannico: la tua malattia è inguaribile, il meglio che possiamo offrirti è una morte lenita dai palliativi. Anche se tu vuoi continuare a lottare.Sudiksha era nata con una rara malattia mitocondriale, simile a quella di cui soffriva il piccolo Charlie Gard, che le toghe lasciarono morire nel suo «miglior interesse». Ad agosto 2022, la diciannovenne contrasse il Covid, aggravandosi fino al punto in cui i medici le proposero l’interruzione dei trattamenti di sostegno vitale. La ragazza, però, dopo aver resistito ad alcuni arresti respiratori, aveva richiesto di potersi sottoporre in Nordamerica a una terapia nucleosidica. Espresse le sue convinzioni a uno psichiatra incaricato di eseguire una perizia, visto che i dottori la consideravano «delirante»: «Questa è la mia volontà. Voglio morire provando a vivere. Dobbiamo provarle tutte». All’inizio, lo specialista aveva dichiarato che la paziente non era in grado di comprendere e accettare il verdetto inappellabile della scienza. Salvo ricredersi dopo averla incontrata di persona, constatando che la pervicacia della Thirumalesh derivava dalle «convinzioni» maturate nel suo contesto familiare. Il Daily Mail pubblicò gli appunti scritti durante il ricovero da Sudiksha: note di struggente tenerezza, quando implorava l’aiuto della mamma; brani di terribile angoscia, quando esprimeva disagio per il comportamento di alcuni infermieri. Ad ogni modo, quelle note furono utili a confermare che la giovane era lucida.Nonostante l’esito della seconda consulenza, la giudice Roberts si era attenuta solo al parere iniziale dell’esperto. Sudiksha, forse, sarebbe morta lo stesso nel giro di poche settimane, anche se avesse iniziato i trattamenti sperimentali. Il punto, però, non è che non sia riuscita ad arrivare dove desiderava; il punto è che non è sopravvissuta alle lungaggini del tribunale, concentrato solo sul proposito di procurarle una «dolce morte». Dopo Charlie, Alfie e Indi Gregory, l’Inghilterra, sia pur tardivamente, ha finalmente reso giustizia a una sua cittadina, vittima dello spietato orientamento giuridico che vige nel Paese. Un dramma in cui, se non altro, sono spiccate le doti di umanità dell’Italia. I pochi bimbi che sono riusciti a sottrarsi alla mannaia del «best interest» sono stati trasferiti da noi: Tafida, portata a Genova e tuttora viva e vegeta; un bambino di appena sei mesi, operato al cuore sempre al Gaslini lo scorso anno, proprio come Aaniya, di quattro anni, salvata dall’ospedale ligure giusto un mese fa.La famiglia di Sudiksha ha ricordato che è stata «imbavagliata e silenziata». In effetti, oltre all’equivalente di una condanna a morte per la figlia, è stata pure costretta a rinunciare a qualunque colloquio con la stampa, nonché alle raccolte fondi: a marzo 2013, il tribunale aveva vietato la diffusione di informazioni che potessero ricondurre all’identificazione della paziente. Un bel paradosso. Per tutelare la privacy della Thirumalesh, la giudice ha proibito a lungo ai genitori di organizzare una colletta, finendo per ridurli sull’orlo della bancarotta; al contrario, nessuna attenzione è stata posta alla dignità e alla reale volontà quella ragazza.La sentenza d’appello ristabilisce un principio: quando un malato non è d’accordo con i medici che lo vogliono sopprimere, non è un pazzo che si rifiuta di credere agli scienziati. D’altronde, ammesso che lo fosse, ciò basterebbe a giustificare la premura di toglierlo di mezzo? Il ragionamento doveva valere altresì per quelle mamme e quei papà che pregavano fosse concessa un’ultima possibilità ai loro bambini. Scollegati invece dai macchinari che li tenevano in vita, nel nome del loro «interesse».Ormai è impossibile mascherare l’ipocrisia che alimenta la filosofia dell’autodeterminazione: l’autodeterminazione va bene solo quando il malato decide di morire. E c’è una lezione che dovrebbero imparare anche i tifosi nostrani dell’eutanasia, i quali, ora, mirano al suicidio assistito express, contestando le tempistiche con cui le Asl rispondono alle istanze dei malati. Le vicende inglesi comprovano che, quando di mezzo ci sono questioni tanto delicate, l’equilibrio è appeso alla persistenza di un «pregiudizio» a favore della vita. Un comitato etico che non liquida la pratica di un paziente in due settimane è negligente? Oppure vuole raccogliere più elementi possibili, ponderare, soppesare, valutare a fondo, prima di autorizzare una persona ad assumere un farmaco letale, acquistato dalla sanità pubblica? Intervenire «prontamente», come prescrive la Consulta, significa piazzare un timbro su un foglio con la stessa nonchalance con cui si rilascerebbe una licenza di caccia?Dove viene meno l’idea che, nel dubbio, si debba agire per difendere la vita, il mondo si ribalta. La morte guadagna la precedenza. Monta una specie di cupio dissolvi. Le autorità si sentono quasi irritate da chi manifesta il proposito di resistere, da chi sceglie di «morire provando a vivere». Ecco perché la vittoria postuma di Sudiksha è un lampo di luce nelle tenebre nichiliste di quella che il Papa chiama «cultura dello scarto». Ecco perché lei, Charlie, Alfie, Indi, sono molto più vivi dei giudici che li hanno voluti morti.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)