2019-03-22
Lo studio sui bimbi trans che volevano oscurare: «Esiste contagio sociale»
La ricerca di Lisa Littman era stata ritirata dopo le proteste degli attivisti Lgbt. Ora viene ripubblicata: è attendibile e la politica non è bastata a censurarla.A Verona parlano in libertà soltanto i tifosi del gender. Al popolo pro family che si riunirà in città arrivano attacchi, insulti e contestazioni. Però l'università scaligera ospita senza problemi incontri sui temi arcobaleno. Le posizioni del Congresso delle famiglie coincidono con la dottrina della Chiesa. Sacerdoti di sinistra e teologhe progressiste accusano i partecipanti di «scimmiottare le idee cattoliche». Ma leggendo i documenti del Concilio Vaticano II si scopre una realtà diversa.Lo speciale contiene tre articoli. C'è un lavoro accademico che molti in Italia dovrebbero leggere con attenzione. In particolare gli esperti (del Comitato nazionale di bioetica e dell'Agenzia del farmaco) che, nei mesi scorsi, hanno deciso di dare il via libera alla Triptorelina, il farmaco blocca-pubertà che verrà somministrato a carico del servizio sanitario nazionale. Lo studio in questione è firmato da Lisa Littman, ricercatrice presso la School of Public Health alla Brown University (ateneo della Ivy League con sede a Providence, negli Usa) ed è uscito sulla autorevole rivista scientifica Plos One. In buona sostanza, la ricerca sostiene che molti adolescenti, soprattutto ragazze, si convincono di voler cambiare sesso perché influenzati dal contesto sociale, dai media e dai coetanei. Tanti teenager, spiega la Littman, si identificano come transgender perché sottoposti a pressioni esterne. Questo spiegherebbe perché in alcuni Paesi in cui è piuttosto semplice iniziare il percorso di transizione - ad esempio il Canada o il Regno Unito - sia esponenzialmente aumentato, nel giro di pochi anni, il numero di giovanissimi intenzionati a intraprenderlo. La Littman è una studiosa seria, il suo lavoro non è influenzato dall'ideologia. È lei stessa a spiegare che la «disforia di genere è un fenomeno reale», dunque non si può dire che sia prevenuta o pregiudizialmente contraria al cambio di sesso. In una intervista recente ha dichiarato che «ci sono alcune persone che beneficiano della transizione, e ci sono alcune persone che sono danneggiate dalla transizione. Non penso che sia contraddittorio preoccuparsi di entrambe queste categorie». Ecco perché dalle nostre parti lo studio di questa signora andrebbe letto con attenzione. In Italia il fenomeno degli adolescenti trans è ancora abbastanza ridotto. Ma lasciando campo libero all'ideologia Lgbt e alle pressioni politiche (e politicamente corrette) il rischio concreto è che il «contagio sociale» cominci a funzionare anche qui, con conseguenze che è facile immaginare. Per rendersi conto di quanto pesi la spinta ideologica nella «questione trans», tuttavia, non possiamo limitarci a sintetizzare le conclusioni dello studio di Lisa Littman. Dobbiamo raccontare nel dettaglio le vicissitudini che hanno accompagnato la pubblicazione della ricerca. Tutto è cominciato nell'agosto del 2018, quando su Plos One è stato pubblicato lo studio della Littman intitolato Rapid-onset Gender dysphoria in adolescents and young adults: a study of parental report. La ricerca si occupava della disforia di genere negli adolescenti. In particolare, si concentrava sulla cosiddetta «disforia di genere a insorgenza rapida». La conclusione a cui giungeva la Littman era esplosiva. Secondo la scienziata, «il contagio sociale e tra pari» influisce sui disturbi di identità di genere di ragazzini e ragazzine. In pratica, la studiosa sosteneva che l'influenza degli amici e del contesto sociale potesse spingere i più giovani a identificarsi come transgender, da cui il consistente aumento dei casi di disforia di genere negli ultimi anni. E qui sono sorti i problemi. Gli attivisti Lgbt sono sempre pronti a spiegare che il genere è un costrutto sociale, che non dipende dalla biologia ma da numerosi altri fattori. Però questa visione vale solo quando fa comodo. Se ammettiamo che il genere sia, appunto, un costrutto sociale, allora dobbiamo anche ammettere che la società possa influire sulle decisioni degli individui, spingendoli in una direzione piuttosto che un'altra. In questa chiave, le conclusioni della Littman erano cristalline: i giovani possono essere influenzati dagli amici, da ciò che leggono sul Web o vedono in televisione. Agli attivisti arcobaleno, però, queste affermazioni non sono piaciute per niente. L'idea che possa essere il «contagio sociale» a spingere gli adolescenti a dichiararsi transgender ha fatto infuriare le associazioni per i diritti arcobaleno. E questo malumore ha avuto conseguenze piuttosto gravi. Dopo le proteste di varie associazioni Lgbt, la rivista Plos One ha deciso di condurre un'indagine per «revisionare» il lavoro della Littman. Lo avevano già esaminato e vagliato, lo avevano trovato ben fatto e avevano deciso di pubblicarlo. Ma gli attivisti si sono lamentati, così i responsabili di Plos One hanno fatto marcia indietro. La Brown University si è comportata anche peggio. Aveva annunciato con un comunicato stampa l'uscita della ricerca della Littman, e l'aveva pure pubblicata sul proprio sito Web. Ma ecco che, dopo le contestazioni, tutto è stato rimosso da Internet. Bess Marcus, decano della School of public health, ha spiegato che lo studio della dottoressa Littman «potrebbe essere usato per screditare gli sforzi per sostenere i giovani transgender e potrebbe danneggiare le prospettive dei membri della comunità transgender». Tutto molto semplice: se uno studio scientifico non giova alla battaglia per i diritti dei transessuali, va censurato. Va rimosso dal sito dell'università che lo ha realizzato, va sottoposto a ulteriore revisione allo scopo di scovare qualche imperfezione che possa screditarlo. Fortunatamente, il «caso Littman» ha suscitato lo sdegno di numerosi ricercatori. Centinaia di scienziati hanno firmato una petizione a suo favore. Qualcuno si espresso pubblicamente, come Jeffrey Flier, ex decano della Harvard Medical School, secondo cui il comportamento della Brown University è stato «completamente contrario alla libertà accademica». Tra una protesta e l'altra sono passati sei mesi. In questo lasso di tempo, i responsabili di Plos One hanno avuto il tempo di sottoporre a esami minuziosi il lavoro della Littman. Hanno preso in considerazione gli articoli accademici che lo criticavano, hanno ascoltato le voci contrarie. Alla fine, sapete che cosa hanno fatto? Hanno dovuto pubblicare lo studio. Nonostante le proteste degli attivisti pro trans, nonostante lo sdegno di alcuni professori e l'ignavia della Brown University, l'autorevole rivista scientifica ha dovuto dare spazio al contributo di Lisa Littman. Non per motivi ideologici o politici, ma - appunto - scientifici. La ricercatrice ha dovuto limare alcune parole, è stata costretta a utilizzare un linguaggio più felpato in modo da non offendere le minoranze bellicose, ha dovuto citare una mole maggiore di dati. Ma il succo del suo lavoro e le sue conclusioni sono rimaste invariate. Il direttore di Plos One, Joerg Heber, ha rilasciato commenti piuttosto imbarazzati. Ha detto ai giornali che la versione originale dello studio necessitava di correzioni e di maggiori approfondimenti. Si è comunque scusato con la comunità trans (non si capisce bene perché, ma sorvoliamo) e alla fine ha dovuto riconoscere che lo studio della Littman merita di essere stampato e diffuso. Soprattutto, merita di essere esaminato anche in Italia, prima che i fumi dell'ideologia ottenebrino troppe menti. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lo-studio-sui-bimbi-trans-che-volevano-oscurare-esiste-contagio-sociale-2632381728.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="a-verona-parlano-in-liberta-soltanto-i-tifosi-del-gender" data-post-id="2632381728" data-published-at="1758064877" data-use-pagination="False"> A Verona parlano in libertà soltanto i tifosi del gender Famiglia tradizionale no, gender sì. L'Università di Verona ha davvero una bizzarra idea di che cosa sia «un luogo di studio aperto al confronto scientifico fondato sulla libertà della ricerca e dell'insegnamento», come ha puntigliosamente spiegato il rettore Nicola Sartor motivando il rifiuto dell'ateneo scaligero ad accogliere il Forum mondiale delle famiglie. Per parlare di bambini, di natalità, di diritti delle madri lavoratrici le aule accademiche sono interdette, però ospitano la conferenza su «Teoria del gender, aborto e nuove famiglie», secondo appuntamento di quest'anno dedicato a «temi cruciali del dibattito politico contemporaneo», in programma mercoledì 27 marzo. Ma come, il magnifico rettore precisa che la sua università non accoglie eventi «con finalità politiche», e approva l'ennesimo seminario su gender e dintorni? Questioni che infiammano la politica, in riva all'Adige vengono presentate senza contraddittorio alcuno? La conferenza, infatti, è organizzata da Politesse, il Centro di ricerche su politiche e teorie della sessualità che fa parte del dipartimento di scienze umane dell'ateneo. E che presenterà le «sue» ricerche su «diritti riproduttivi e sanitari delle donne e la nuova forma di famiglie, in particolare le famiglie Lgbt». Tra i relatori ci sarà Carlotta Cossutta, nipote di Armando, l'uomo di Mosca, il rifondatore del comunismo. La ricercatrice, sul collettivo virtuale effimera.org annotava: «Le donne uccise non vanno guardate con l'occhio compassionevole di chi le considera vittime indifese o, più spesso, complici della violenza subita, ma andrebbero considerate parte di una lotta politica che ha nel privato il suo terreno di battaglia». E già abbiamo un'idea del tenore del dibattito nell'università di Sartor. Parlerà anche Massimo Prearo, «specializzato in movimenti e politiche Lgbt, mobilitazioni e contromobilitazioni sessuali, pensiero queer». A giorni uscirà La gaia critica, sua ultima fatica letteraria, «circa 350 pagine di articoli, interventi, recensioni e interviste di Mario Mieli, tra cui molti inediti, accompagnati da una ricca introduzione e un'ampia e completa nota biografica», anticipa sui social. Ottimo, ci mancava l'ennesimo tributo a uno dei fondatori del movimento Lgbt italiano. Per Teoria del gender, aborto e nuove famiglie, a fare gli onori di casa in una delle migliori aule dell'Università di Verona, due giorni prima dell'apertura del Congresso mondiale delle famiglie, sarà la mente di Politesse, Lorenzo Bernini, responsabile pure di Rete Rim (ricercatrici e ricercatori sulle migrazioni). Professore associato in filosofia politica, Bernini organizza da anni seminari e laboratori sul gender, tutti autorizzati e concessi in spazi universitari. A partire da «Tribadi, sodomiti, invertite e invertiti, pederasti, femminelle, ermafroditi...» del settembre 2015, quando il professore salutò i presenti con un: «Benvenuti a questo grande convegno di storia frocia ospitato dall'Università di Verona». Senza dimenticare il laboratorio «Trombo anch'io. Da oggetti di cura a soggetti di desiderio» che nel gennaio del 2016 trattò «il delicato tema del rapporto tra sessualità e disabilità». Sorvolando su titoli e contenuti, quello che accomuna i seminari proposti da Politesse (e sempre con il beneplacito del rettore Sartor) è l'assoluta faziosità dei relatori. Non c'è spazio per le voci critiche, per la discussione o la comparazione di altre ricerche. Come accadde durante il seminario «Tra(n)sparenti. La transizione dal punto di vista dei figli», organizzato nel 2017 da Family lives e da Politesse, entrambi gruppi di ricerca dell'Università di Verona, che si proponeva «di inquadrare la transizione come evento familiare, approfondendo l'esperienza e il punto di vista dei figli», con abbondanza di asterischi e chioccioline finali. In realtà, gli unici invitati a parlare furono Alessandra Delli Veneri, psicoterapeuta che lavora per l'Arcigay di Napoli ed Egon Botteghi, attivista per i diritti Lgbt, tra i fondatori del collettivo Intersexioni, che raccontava di essere stato prima «lesbica mascolina», poi «carinissima ragazza bisessuale», infine uomo. Lorenzo Bernini incita a opporsi al Congresso delle famiglie, sui social aggiorna la conta degli studenti che stanno firmando un documento di protesta perché, leggiamo, «la democrazia si costruisce sul rispetto delle differenze». Concetti che sembrano valere solo unilateralmente. Nell'isterismo che sale di ora in ora, i relatori del Forum non avrebbero diritto a trattare temi legati a famiglia, nascita, aborto, morte. Non se ne può parlare proprio, se le voci sono fuori dal coro. Basti vedere come hanno reagito gli studenti dell'Università Statale di Milano, che ieri hanno boicottato una conferenza antiabortista in un bar adiacente all'ateneo, neanche in un'aula. «Il corpo delle donne non si tocca, lo difenderemo con la lotta», hanno urlato. Fieri di chiudere la bocca a chi difende il diritto alla vita, con vuote parole e striscioni aggressivi. Patrizia Floder Reitter <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lo-studio-sui-bimbi-trans-che-volevano-oscurare-esiste-contagio-sociale-2632381728.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="le-posizioni-del-congresso-delle-famiglie-coincidono-con-la-dottrina-della-chiesa" data-post-id="2632381728" data-published-at="1758064877" data-use-pagination="False"> Le posizioni del Congresso delle famiglie coincidono con la dottrina della Chiesa A proposito dell'importante Congresso delle famiglie, vari «teologi», «teologhe» e teologastre hanno perso un'eccellente occasione di tacere, volendo far credere alla pubblica opinione e agli stessi cattolici che la famiglia difesa a Verona, sarebbe un modello di famiglia superato, bigotto e assolutamente pre conciliare. Insomma, non sarebbe più in linea con il magistero vivente della Chiesa, ma risulterebbe derivato da concezioni patriarcali e antiquate, che il concilio Vaticano II avrebbe definitivamente superato. Cristina Simonelli, presidente dell'illustre associazione delle teologhe italiane, ha fatto sapere che i veronesi starebbero «scimmiottando un linguaggio cattolico sul tema della famiglia». Anzi, difendere la famiglia tradizionale, composta da un uomo, una donna e la prole significherebbe «tornare su posizioni medievali». Il celeberrimo don Luigi Ciotti, fondatore dell'associazione Libera e da sempre vicino alla sinistra più radicale, ha informato il mondo che, grazie al Congresso di Verona, «stiamo tornando indietro». Anzi, lui non ha alcun dubbio o perplessità: quell'assemblea di difesa della famiglia tradizionale «è una vergogna». Notiamo che il reverendo sacerdote non ha mai riservato tali aggettivi, ai vari cattolicissimi gay pride, con sederi al vento e finte suore col seno di fuori... Ma il Vaticano II, aperto nel 1962 con papa Giovanni XXIII e chiuso da Paolo VI nel 1965, concilio visto come paradigma unico e imprescindibile da questi ambienti, e letto in chiara rottura con il precedente magistero ecclesiastico, cosa diceva in materia? Anzitutto, la Costituzione pastorale Gaudium et spes ricorda che «il bene della persona e della società umana», è strettamente connesso con il bene della famiglia. Bene della famiglia, che però è oscurato «dalla poligamia» (con velato ma non troppo riferimento all'Islam), «dalla piaga del divorzio» (che in gran parte delle nazioni d'Occidente allora non esisteva), «dal cosiddetto libero amore e da altre deformazioni» (n. 47). Sembra davvero profetico il testo conciliare visto che, parlando del cosiddetto libero amore, intende evidentemente l'amore al di fuori del matrimonio e della famiglia monogamica stabile. Ed è proprio la fluidità dei rapporti amorosi ciò che promuovono da anni i fomentatori del disordine morale e i relativisti della teoria del gender. Di più, secondo il documento ecclesiale - un tempo stracitato dai teologi progressisti, ma oggi dimenticato alla luce delle continue evoluzioni storiche - la famiglia è profanata «dall'edonismo e da usi illeciti contro la generazione». Cioè dall'aborto e dalla contraccezione, esattamente quello che promuovono oggi i nemici della famiglia tradizionale. Il testo parla ripetutamente di matrimonio indissolubile, fedele fino alla morte, e della «sublime missione di padre e di madre»: questo è ciò che si propongono di ricordare al mondo gli organizzatori di Verona. Una cosa è vera. Dopo la svolta conciliare iniziò a diffondersi una tendenza eretica in seno al cattolicesimo, anzitutto sui temi morali. E proprio per questo i papi Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI ribadirono gli insegnamenti tradizionali del Vangelo. Inclusa l'impossibilità di benedire le presunte nozze gay, di ipotizzare una evoluzione sulle questioni del divorzio e dell'aborto, e negli ultimi anni, sulle questioni del gender e della scelta dell'orientamento sessuale (si vedano i tanti testi del Pontificio Consiglio per la famiglia). Il Catechismo della Chiesa cattolica, pubblicato in prima edizione nel 1992 ed in edizione definitiva nel 1997, metteva la parola fine agli scivoloni e agli slittamenti etici promossi sia dai veri governi occidentali che dalla stessa teologia progressista. L'opposizione “cattolica" al Congresso di Verona si iscrive esattamente in questa dimensione storica e teologica. I figli del modernismo dilagato dopo il Concilio non accettano ancora l'unicità del modello biblico di famiglia e più in generale il valore assoluto dei dogmi di fede e morale. Fabrizio Cannone