
La Corte dei conti chiede 4 miliardi a Morgan Stanley e agli ex del Mef. Il ministro Pier Carlo Padoan insiste a coprire i veri numeri.È partito il processo ai derivati. La location è la procura regionale del Lazio della Corte dei conti. I protagonisti sono lo Stato (i magistrati contabili) da una parte e dall'altra lo Stato (gli ex funzionari e ministri del Mef). L'accusa è che il ministero dell'Economia abbia «ignorato e sottovalutato» i rischi dei contratti derivati sul debito pubblico sottoscritti con la banca Morgan Stanley. E che abbia «gestito denaro pubblico come se fosse privato». Non c'è dolo, ma «inerzia». Così tra fine 2011 e inizio 2012 la banca d'affari avrebbe chiesto e ottenuto, senza che il Tesoro si opponesse, l'attivazione di una clausola di estinzione anticipata di uno di questi contratti. Una scelta che secondo i pm contabili sarebbe costata circa quattro miliardi alle casse pubbliche. Da qui il danno di danno erariale. Alla sbarra c'è oltre alla banca a cui l'accusa chiede di versare 2,8 miliardi ci sono gli ex direttori generali, Vittorio Grilli e Domenico Siniscalco (poi passato a lavorare per la medesima banca d'affari), l'attuale dg, Vincenzo La Via e la ex dirigente Maria Cannata per 18 anni responsabile della divisione «debito pubblico». A quest'ultima l'accusa chiede di rispondere in solido per un miliardo di euro. Una cifra che appare subito al di là di ogni valore congruo. Non serve un perito per capire che nessun privato cittadino sarebbe in grado di sborsare una cifra simile al di là del merito e dello svolgimento del dibattimento. Appare chiaro che il processo si appresta ad assumere sfumature prettamente politiche e ciò è un pericolo per la verità dei fatti. La banca ha infatti già contestato la giurisdizione, mentre i difensori dei commis di Stato hanno spiegato che senza le clausole sotto processo il debito italiano avrebbe rischiato il default. Arrivava infatti dai mesi turbolenti del 2011, gli stessi che hanno spinto alle dimissioni forzate Silvio Berlusconi. Si aprirà adesso un lungo dibattito su questioni estremamente tecniche legate alla legittimità dei contratti di swaption sottoscritti da altri enti. In passato, la procura di Roma aveva aperto un fascicolo sui pagamenti effettuati in favore della banca dallo Stato dopo una simile ristrutturazione dei contratti. Il procedimento è stato archiviato e le mosse di Maria Cannata sono state derubricate. In quell'occasione nessuno ha ipotizzato che Morgan Stanley abbia posto in essere condotte losche ed irrituali per far attivare le clausole di additional termination event. Stesso dibattito si è verificato a Trani, quando i pm hanno messo sotto inchiesta Standard & Poor's e Morgan Stanley (che controlla una quota di McGraw a sua volta controllante di S&P). Anche in quella occasione sul banco c'erano le clausole cosiddette Ate che prevedono l'estinzione anticipata. Ciò che stona in questo processo è che si evita volutamente di affrontare il tema cruciale di tutta la questione dei derivati. Ovvero la trasparenza. Perché si tratta di strumenti assicurativi che implicitamente hanno dei costi e delle perdite. Ciò che va reso pubblico è il criterio generale e questo è un criterio politico. Spulciando l'ultimo documento del Mef sul debito pubblico si apprende che nel 2016 il Tesoro ha sborsato un miliardo esatto per uscire da un contratto dopo che la controparte aveva esercitato il diritto di recesso. «Muovere su altre strade», scrivono i tecnici, «sarebbe stato più oneroso». In poche parole non c'erano alternative. Sarebbe però interessante capire quale sia la banca e quanti altri contratti rischiano il cosiddetto early termination, la chiusura anticipata. Il Mef spiega che il picco di derivati va a maturazione nel 2018 e 2019. L'ammontare complessivo dei titoli di Stato, coperti da contratti, a scadenza nel triennio (compreso il 2017) si aggira sui 100 miliardi di euro ed è l'importo più importante da qui al 2062. Di questi 100 miliardi quanti rappresentano un rischio? Non si sa. Sappiamo però che dal 2013 al 2016 sono stati sborsati 23 miliardi, mentre da quest'anno al 2021 il conto va da un minimo di 15 miliardi (la cifra è contenuta nell'ultimo Def - documento di finanza programmatica - a un massimo di 24 miliardi secondo altri analisti. Numeri importanti visto che il quantitative easing di Mario Draghi ha permesso al Tesoro di risparmiare in poco più di tre anni circa 24 miliardi di euro. Finché il governo consentirà le porte girevoli tra funzionari dello Stato e dirigenti delle banche d'affari dovrebbe essere obbligato a rendere trasparenti tutti i contratti derivati. Il grande assente in questo processo è il ministro Pier Carlo Padoan. Lui è più volte intervenuto in Parlamento glissando tutte le domande sui derivati. Processare i vecchi funzionari e chiedere rimborsi miliardari non porterà da nessuna parte e non cambierà l'Italia. Creare regole e leggi precise, invece, potrebbe rendere il Paese più civile.
L' Altro Picasso, allestimento della mostra, Aosta. Ph: S. Venturini
Al Museo Archeologico Regionale di Aosta una mostra (sino al 19 ottobre 2025) che ripercorre la vita e le opere di Pablo Picasso svelando le profonde influenze che ebbero sulla sua arte le sue origini e le tradizioni familiari. Un’esposizione affascinante, fra ceramiche, incisioni, design scenografico e le varie tecniche artistiche utilizzate dall’inarrivabile genio spagnolo.
Jose Mourinho (Getty Images)
Con l’esonero dal Fenerbahce, si è chiusa la sua parentesi da «Special One». Ma come in ogni suo divorzio calcistico, ha incassato una ricca buonuscita. In campo era un fiasco, in panchina un asso. Amava avere molti nemici. Anche se uno tentò di accoltellarlo.