2020-09-16
Lo Stato incassa l’Iva dei fallimenti. E i fornitori fanno da bancomat
Ernesto Maria Ruffini e Giordano Riello (Ansa)
Una legge del 1972 obbliga le aziende a versare l'imposta su fatture che non saranno pagate e impone al fisco di riscuotere, pena il danno erariale. L'imprenditore Giordano Riello propone una riforma in vista della crisi del 2021.Nel 2018 e nel 2019 sono uscite dal mercato circa 90.000 imprese per ciascun anno solare. Una buona fetta ha chiuso i battenti per fallimenti o procedura concorsuale. Dietro a ogni pratica burocratica e dossier in tribunale non ci sono solo i dipendenti, le loro famiglie e le sorti degli azionisti, ci sono pure migliaia di fornitori che hanno lavorato per le imprese fallite o chiuse ma non hanno mai incassato i compensi. Le fatture emesse restano però in un limbo: non valgono praticamente più nulla perché saranno pagate anni dopo in percentuali del tutto irrisorie, ma al tempo stesso non decadono. In pratica, a beneficiarne è solo lo Stato che incassa l'Iva senza guardare in faccia nessuno. Se nei 60 giorni dall'emissione del documento l'azienda salta o chiude non c'è più nulla da fare. E l'Iva va versate ugualmente all'Agenzia delle entrate guidata da Ernesto Maria Ruffini. Se i numeri erano già alti (anche se con un trend in diminuzione) il 2020 è l'anno del Covid. Non è ammissibile che il fisco continui a incassare un'imposta su un bene che non è mai stato pagato e di fatto nemmeno venduto. È solo finito in un vortice che si chiama giustizia fallimentare. È vero che c'è sempre il credito Iva da poter recuperare, ma si tratta di una magra consolazione. Passano anni e spesso chi attende è a sua volta trascinato verso il basso dalle tensioni finanziarie. Giordano Riello, già vice presidente dei giovani di Confindustria e presidente dell'associazione locale del Veneto, ha studiato una possibile soluzione. O meglio con il supporto di un'università romana ha studiato una possibile modifica alla legge sulle procedure concorsuali. Un modo per far fare all'Erario un passo indietro e non chiedere più il versamento dell'Iva. Può sembrare una battaglia di nicchia. Non lo è. Non solo perché riguarda migliaia di aziende, ma anche perché è una battaglia di civiltà fiscale. In un Paese che dibatte solo di reddito di cittadinanza universale e si litiga i bonus, ci sentiamo ancor più obbligati ad appoggiare la battaglia di Riello perché anche altri rappresentanti dell'impresa e della politica la facciano propria e riescano a farle varcare le porte del Parlamento. «Vorremmo proporre un adeguamento dell'attuale testo dell'articolo 26 del Dpr 26 ottobre 1972, 633, per superare le attuali criticità della disciplina. Infatti, in caso di mancato pagamento dei crediti», spiega l'imprenditore che ora è presidente e ad di Nplus, «le disposizioni vigenti nell'ordinamento domestico rendono l'Iva addebitata dal cedente o prestatore sostanzialmente non recuperabile. Tale assetto», prosegue, «non appare idoneo a garantire il rispetto di uno dei principi essenziali che presiedono al funzionamento dell'Iva: il principio di neutralità». D'altro canto se l'Erario rinunciasse semplicemente al credito sarebbe accusato di danno erariale. Va tenuto presente che la norma che posticipa l'emissione della nota di variazione alla chiusura della procedura concorsuale impedisce all'amministrazione di insinuarsi al passivo fallimentare come creditore privilegiato. In pratica come spiega una nota dell'associazione italiana dei dottori commercialisti: «Si determina la rinuncia al recupero dell'imposta da parte dell'Erario che comporta un doppio riconoscimento del credito Iva, a danno degli interessi erariali: la prima volta, a favore del cliente con l'esercizio della detrazione e la seconda volta all'atto del recupero dell'imposta da parte del fornitore non soddisfatto dal riparto». In pratica, Riello propone di cambiare una parolina nel cuore dell'articolo incriminato. Là dove c'è scritto «procedure esecutive rimaste infruttuose», specificare l'esclusione delle procedure concorsuali. Si sa che i dettagli sono fondamentali. Si arriva però ai dettagli solo se c'è la volontà politica di intervenire. E l'autunno potrebbe portare consiglio. Il ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, ha annunciato in contemporanea alla legge Finanziaria la riforma dei versamenti delle partite Iva. L'annuncio parla di semplificazione e possibilità di pagare ogni mese l'imposta e le altre tasse. In molti hanno già fatto notare che se la riforma delle scadenze non viene accoppiata a una trasformazione radicale degli adempimenti, il rischio è che le promesse si trasformino in fregature. Invece di fare una denuncia dei redditi annuale, si rischierebbe di farne 12 ogni anno. Con ciò che ne consegue. Permettendo, in più, allo Stato di incassare subito - a partire da febbraio e quindi cambiando cassa per competenza - ciò che altrimenti dovrebbe aspettare con le scadenze dell'anno successivo. Ecco perché, il governo potrebbe dimostrare le proprie buone intenzioni e la volontà di tutela delle imprese, mettendo mano anche al codice delle procedure. In fondo è già sbagliato usare le imprese come bancomat, ma trattenersi un'imposta a fronte di un fallimento è molto border line. Al limite del furto. Ha fatto bene Riello a lanciare la proposta di riforma. Vediamo chi la sosterrà.