2020-03-25
Lo Stato affronta il virus senza armi. Adesso persino Borrelli lo ammette
Angelo Borrelli (Stefano Montesi, Corbis, Getty Images)
Il capo della Protezione civile ci aveva scritto per vantare la sua preparazione. Ora è egli stesso a dire che nulla sta funzionando come avrebbe dovuto. Dal fisco alle aziende chiuse, tutto sembra improvvisato.C'è voluto del tempo, ma alla fine se n'è convinto perfino Angelo Borrelli, che ieri, con venti giorni di ritardo su ciò che auspicavo, a Repubblica ha confidato: «Nei momenti speciali servono leggi speciali. La Protezione civile ha bisogno di rapidità: non siamo burocrati». Peccato che il 5 marzo il capo della Protezione civile la pensasse in maniera diametralmente opposta e si fosse risentito, al punto di scrivermi una puntuta lettera di risposta, proprio perché nell'editoriale sulla Verità avevo sollecitato contro il coronavirus la nomina di un «commissario con poteri speciali». Sì, l'articolo esordiva così, chiedendo che nella lotta contro l'epidemia ci fosse un uomo esperto al comando, al quale fosse consentita l'adozione di procedure che saltassero «a piè pari la burocrazia e le lentezze della macchina amministrativa». Borrelli, forse temendo che le critiche facessero vacillare la sua poltrona, aveva replicato esibendo il suo curriculum sul fronte delle emergenze, come a dire: non c'è bisogno di nessun altro, basto io. Quel giorno, ossia molte vittime fa, il capo della Protezione ci tenne a elencare nel dettaglio le misure prese per contenere l'epidemia, specificando, tra l'altro, che il dipartimento da lui diretto era intervenuto «per reperire anche all'estero i dispositivi necessari soprattutto per il personale sanitario e i pazienti affetti da coronavirus». Ma ora, con venti giorni di ritardo e migliaia di contagi fra medici e infermieri, Borrelli ammette senza imbarazzi che niente di tutto ciò si è verificato. Le mascherine non ci sono e «temo che dall'estero non ne arriveranno più». «Siamo arrivati tardi», è l'amara conclusione del numero uno della Protezione civile, che, per ovviare all'inconveniente del mancato reperimento di dispositivi contro il virus, suggerisce di far partire la produzione nazionale «il prima possibile», ma questo lo sapevamo anche noi.Ovviamente non ce n'era bisogno, perché le testimonianze dell'impreparazione con cui abbiamo affrontato questa guerra le abbiamo lette e ascoltate tutti. Tuttavia quella di Borrelli è la confessione senza se e senza ma di una sconfitta. Anzi, l'intervista a Repubblica è la certificazione di un disastro, peraltro annunciato. In quell'articolo di venti giorni fa sostenevo che non si può combattere a mani nude contro un'epidemia e l'uomo che ogni sera ci aggiorna sui morti, nella sua lettera, obbiettò che nessuno era costretto a combattere a mani nude. «Voglio tranquillizzare i suoi lettori», scrisse con un tono indispettito. La realtà ci ha dimostrato invece che non c'era alcun motivo per essere tranquilli, perché i nostri soldati, ossia i medici e gli infermieri, nel rispetto della storia patria, cioè come in tutti i conflitti mondiali, sono stati mandati al fronte disarmati. Nella prima guerra mondiale i fanti erano sepolti nelle trincee senza l'equipaggiamento necessario e lo stesso accadde nella seconda, quando i battaglioni furono spediti in Russia senza scarpe e divise che li proteggessero dal freddo. Anche allora, davanti alle critiche, i generali gonfiarono il petto risentiti. Proprio come in queste settimane hanno fatto sia i vertici della Protezione civile che quelli politici. Non bado alle polemiche, ha detto più volte Giuseppe Conte. Ma qui non si tratta di ascoltare le polemiche, bensì di guardare i fatti. Luigi Di Maio non passa giorno che non annunci milionate di mascherine in arrivo, forniture speciali da lui stesso recuperate in giro per il mondo, e tuttavia di questi dispositivi, di cui chi sta in corsia ha bisogno per difendersi dal virus, non si vede l'ombra. Anche Domenico Arcuri, il commissario non commissario che il presidente del Consiglio ha voluto nominare senza però spodestare Borrelli, fa sapere di avere concluso accordi per l'acquisto di tutto il materiale di cui gli ospedali hanno bisogno, ma in realtà i giorni passano e i malati aumentano senza che quanto promesso si materializzi.Sì, certo, non è tempo di polemiche e tuttavia non si può neppure fare finta di niente. Dai decreti che dovrebbero curare l'Italia alle forniture che dovrebbero proteggere chi ci cura, tutto sembra affidato al caso, anzi, all'improvvisazione. Le tasse sono rinviate, ma anche no. Le aziende sono chiuse, ma possono rimanere aperte. Spostarsi è vietato, ma ci si può imbarcare sul traghetto senza che nessuno ti fermi. La mascherine ci sono, ma non si vedono. Sì, non è tempo di polemiche. Ma quando avremo finito di contare i morti, vorremmo fare i conti con chi, nell'ora in cui il virus si espandeva nel Paese, diceva di essere prontissimo ad affrontarlo.
Jose Mourinho (Getty Images)