2020-05-15
Lo smart working diventa un diritto. Cancellata la libertà di impresa
I dipendenti con figli under 14 potranno decidere unilateralmente di lavorare da casa.Sembra quasi pronto l'ex decreto aprile, poi diventato maggio e, da ultimo, ribattezzato Rilancio nel tentativo di fornire aiuto e sostegno a famiglie, lavoratori e imprese che, a seguito di mesi di lockdown dovuti all'imprescindibile tutela del diritto alla salute, si accingono a superare un'ulteriore crisi, questa volta sul piano economico. Se da un lato l'obiettivo, per lo meno dichiarato, è quello di fornire supporto alle imprese, al fine di garantire una rapida ripartenza, dall'altro lato il legislatore emergenziale continua a scaricare l'enorme peso della crisi economica sulle imprese stesse. Ed è chiaramente quanto emerge dalla discutibile disposizione contenuta nell'articolo 96 della bozza, la quale attribuisce ai genitori lavoratori dipendenti del settore privato, che abbiano almeno un figlio minore di 14 anni, il diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile «semplificata» sino alla cessazione dello stato di emergenza, alla sola e unica condizione, si badi bene, che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione. La scelta di ricorrere allo smart working viene, quindi, affidata alla libera valutazione del lavoratore, in merito alla quale al datore di lavoro non resta che rimettersi a quanto deciso dal proprio dipendente. Una domanda sorge spontanea: ma la decisione circa le modalità organizzative della prestazione di lavoro subordinato non è forse una delle prerogative fondamentali del datore di lavoro? Ma soprattutto, la libertà d'impresa, annoverata tra i diritti costituzionalmente garantiti, non risulterebbe inevitabilmente compromessa da un'eccessiva limitazione, per nulla frutto di un corretto bilanciamento tra gli interessi in gioco? È pur vero che il contesto emergenziale in atto ha imposto l'emanazione di provvedimenti d'urgenza sospensivi di alcuni diritti costituzionali, ma è altresì vero che le libertà sancite dalla nostra Carta costituzionale possono risultare destinatarie di misure restrittive solo a seguito di una corretta operazione di bilanciamento dei diritti in gioco. Ciò detto, è evidente come, alla luce di questa disposizione, una tale limitazione del potere organizzativo del datore di lavoro, costretto a subire la decisione unilaterale del lavoratore, non possa ritenersi giustificata alla luce della ratio della norma, diretta ad accordare al personale dipendente con prole una più efficiente conciliazione di vita e lavoro. Le ragioni di utilità sociale e di tutela della sicurezza, libertà e dignità umana, annoverate dall'articolo 41 della Carta tra le cause giustificatrici di limitazioni alla libertà d'impresa, difficilmente potranno essere ritenute sussistenti in un tale contesto, tanto da non poter escludere a priori eventuali declaratorie di illegittimità costituzionale della norma in commento. È evidente che il lavoro da remoto abbia dato buona prova di sé in questi mesi, ove l'esigenza di tutela della salute si poneva al vertice della piramide dei diritti costituzionalmente garantiti. Tuttavia, in una fase di rilancio, così come l'ennesimo nome dato al decreto sembra suggerire, l'imprenditoria necessita di poter decidere liberamente come organizzare tale ripartenza alla luce del sacrosanto diritto alla libertà d'impresa che, allo stato attuale, deve tornare a ricoprire un ruolo preminente all'interno della piramide costituzionale. Una maggior fiducia nella capacità imprenditoriale delle aziende italiane è la richiesta che si rivela essenziale porre alle autorità governative. Le imprese sono pronte a ripartire in salute e sicurezza già da tempo: decisioni imposte dall'alto, non consapevoli della molteplicità degli interessi in gioco, finiscono per creare notevoli squilibri tra diritti che parimenti necessitano di immediata tutela. Oggi più che mai occorre porre le basi per un rilancio alle condizioni dettate dalla singola impresa che, meglio di chiunque altro, conosce i propri punti di forza. In caso contrario, un'ulteriore modifica del nome del decreto sarebbe sicuramente più opportuna: non è questo il Rilancio di cui abbiamo bisogno.*Giuslavorista e vicepresidente del consiglio di presidenzadella Corte dei conti
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