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2018-07-25
Saviano
in crisi d’idee ridotto a scrivere
appelli
Ansa
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Riduci
C'è un uomo da salvare. Il poveretto annaspa, si sbraccia e chiede aiuto, ma nessuno sembra considerarlo. Di più: nessuno ha voglia di correre in suo soccorso, preferendo ignorarne le grida per abbandonarlo in fretta al proprio destino.Tranquilli, non si tratta di un profugo lasciato in mezzo al mare da una motovedetta libica, come secondo le Ong fanno i guardacoste di Tripoli. E nemmeno di un naufrago ricacciato indietro, verso Malta o la Spagna, da quel cattivone del ministro dell'Interno, Matteo Salvini. No, è solo uno scrittore in crisi di idee, che non riuscendo più a fare un romanzo decente si arrabatta a lanciare appelli e sottoscrivere petizioni, quasi sempre fra l'indifferenza generale della sua stessa categoria di indignati speciali. Ieri ha urlato la sua ultima disperata richiesta d'aiuto. In un lungo articolo su Repubblica, Roberto Saviano si rivolge a scrittori e giornalisti, ma anche a «cantanti, blogger, intellettuali, filosofi, drammaturghi, attori, sceneggiatori, produttori, ballerini, medici, cuochi, stilisti, youtuber», per chiedere dove siano finiti. «Perché vi nascondete?», scrive sconfortato. La richiesta d'aiuto, curiosamente, non è rivolta agli operai, ma neppure agli idraulici e ai netturbini, ritenuti evidentemente non degni d'attenzione, oppure, più probabilmente, giudicati inadatti ad assumere il ruolo di guida morale che l'autore di Gomorra sollecita.Ma che vuole Saviano? Con chi ce l'ha? A quest'ultima domanda è facile rispondere: ce l'ha con Salvini, che essendo al momento il politico di maggior rilievo, è il solo che possa garantire un po' di visibilità a chi lo attacca e dunque anche allo scrittore, il quale da star internazionale è di recente stato retrocesso nella classifica della popolarità (e soprattutto delle vendite in libreria). Il ministro dell'Interno, secondo Saviano, meriterebbe una mobilitazione nazionale di ballerini, stilisti e cuochi (possibilmente stellati): un esercito di Vip che come un sol uomo si contrapponga al numero uno del Viminale e alla sua politica di chiusura dei porti agli immigrati. Il gomorroico (i suoi articoli non devono scendere mai sotto le diecimila battute per poter somigliare a dei piccoli saggi di pensiero) vorrebbe veder sfilare cantanti e attori, forse ispirato dal fenomeno americano, dove lo star system hollywoodiano è sceso in piazza contro il puzzone della Casa bianca. Qualche attrice come Susan Sarandon si è fatta addirittura arrestare durante la marcia anti Trump a Washington e ciò ha consentito alla manifestazione di conquistare qualche titolo sulla stampa quotidiana, in particolare quella italiana.Ecco, Saviano sogna una marcia anti Salvini come quella davanti a Capitol Hill. Lui, Benigni, la Mannoia, lo chef Rubio, Caparezza, Costantino della Gherardesca, Fabio Fazio, Gad Lerner, Edoardo Albinati (quello che si augurava il bambino morto pur di far sloggiare questo governo), Zerocalcare, Carolina Crescentini, Fedez e Chiara Ferragni, tutti uniti nella lotta davanti al Viminale, in nome dei migranti e dell'accoglienza.«Il silenzio, oggi, è un lusso che non possiamo permetterci. Il silenzio oggi è insopportabile», si dispera il povero Saviano a cui nessuno dei destinatari dell'appello risponde. «Non abbiamo scelta», insiste. «Oggi tacere significa dire: quello che sta accadendo mi sta bene». L'autore di Gomorra, per la verità, non è nuovo a questo genere di cose. Da quando gli si è inaridita la vena artistica si dedica con passione a lanciare appelli, quasi sempre sposando cause perse. Tempo fa ne lanciò uno contro il processo breve, salvo poi lamentarsi dei processi troppo lunghi. Poi, essendo trascorsi novant'anni, si fece interprete di una petizione per non dimenticare Sacco e Vanzetti, essendo l'esecuzione dei due anarchici di stretta attualità. Nel mezzo gli scappò anche una petizione pro canna libera in libero Stato, al grido di «legalizziamo la cannabis per un Paese migliore». Nella speranza di guadagnare un po' di visibilità, Saviano ha sposato perfino Emmanuel Macron, salutando l'elezione del Napoleone tascabile tanto caro a Brigitte come un'occasione storica per rifondare il progetto europeo. Non poteva mancare la Siria: per denunciare il silenzio che circonda i crimini di Assad, lo scrittore scelse un'immagine forte, facendosi fotografare con la mano su bocca e naso e invitando altri Vip a fare altrettanto.Sempre pronto a farsi paladino, a parole, di qualsiasi causa gli porti notorietà e lo faccia apparire un San Giorgio contro il drago del male, l'unica volta che qualcuno gli ha rivolto un appello, lui se l'è data a gambe. Giorni fa, lo scrittore Sandro Veronesi gli propose di salire bordo delle navi delle Organizzazioni non governative, per trasformarsi in scudo umano pro migranti. Alla sollecitazione Saviano rispose dicendo di essere pronto «a ricacciare questo rigurgito (salviniano, ndr) nella fogna», e dichiarandosi intenzionato a invocare «una insurrezione civile e democratica contro questa barbarie fondata sulla menzogna sistematica». Ma poi, di un suo imbarco non si è avuta notizia. Un leone da tastiera.
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La reazione di tanti è però ambigua, come è nella natura degli italiani, scaltri e navigati, e di chi ha uso di mondo. Bello in via di principio ma in pratica come si fa? Tecnicamente si può davvero lasciare loro lo smartphone ma col «parental control» che inibisce alcuni social, o ci saranno sotterfugi, scappatoie, nasceranno simil-social selvatici e dunque ancora più pericolosi, e saremo punto e daccapo? Giusto il provvedimento, bravi gli australiani ma come li tieni poi i ragazzi e le loro reazioni? E se poi scappa il suicidio, l’atto disperato, o il parricidio, il matricidio, del ragazzo imbestialito e privato del suo super-Io in display; se i ragazzi che sono fragili vengono traumatizzati dal divieto, i governi, le autorità non cominceranno a fare retromarcia, a inventarsi improbabili soluzioni graduali, a cominciare coi primi distinguo che poi vanificano il provvedimento? E poi, botta finale: è facile concepire queste norme restrittive quando non si hanno ragazzini in casa, o pretendere di educare gli educatori quando si è ben lontani da quelle gabbie feroci che sono le aule scolastiche! Provate a mettervi nei nostri panni prima di fare i Catoni da remoto!
Avete ragione su tutto, ma alla fine se volete tentare di guidare un po’ il futuro, se volete aiutare davvero i ragazzi, se volete dare e non solo subire la direzione del mondo, dovete provare a non assecondarli, a non rifugiarvi dietro il comodo fatalismo dei processi irreversibili, e dunque il fatalismo dei sì, perché sono assai più facili dei no. Ma qualcosa bisogna fare per impedire l’istupidimento in tenera età e in via di formazione degli uomini di domani. Abbiamo una responsabilità civile e sociale, morale e culturale, abbiamo dei doveri, non possiamo rassegnarci al feticcio del fatto compiuto. Abbiamo criticato per anni il pigro conformismo delle società arcaiche che ripetevano i luoghi comuni e le pratiche di vita semplicemente perché «si è fatto sempre così». E ora dovremmo adottare il conformismo altrettanto pigro, e spesso nocivo, delle società moderne e postmoderne con la scusa che «lo fanno tutti oggi, e non si può tornare indietro». Di questa decisione australiana io condivido lo spirito e la legge; ho solo un’inevitabile allergia per i divieti, ma in questi casi va superata, e un’altrettanto comprensibile diffidenza sull’efficacia e la durata del provvedimento, perché anche in Australia, perfino in Australia, si troveranno alla fine i modi per aggirare il divieto o per sostituire gli accessi con altri. Figuratevi da noi, a Furbilandia. Ma sono due perplessità ineliminabili che non rendono vano il provvedimento che resta invece necessario; semmai andrebbe solo perfezionato.
Il problema è la dipendenza dai social, e la trasformazione degli accessi in eccessi: troppe ore sui social, e questo vale anche per gli adulti e per i vecchi, un po’ come già succedeva con la televisione sempre accesa ma con un grado virale di attenzione e di interattività che rende lo smartphone più nocivo del già noto istupidimento da overdose televisiva.
Si perde la realtà, la vita vera, le relazioni e le amicizie, le esperienze della vita, l’esercizio dell’intelligenza applicata ai fatti e ai rapporti umani, si sterilizzano i sentimenti, si favorisce l’allergia alle letture e alle altre forme socio-culturali. È un mondo piccolo, assai più piccolo di quello descritto così vivacemente da Giovannino Guareschi, che era però pieno di umanità, di natura, di forti passioni e di un rapporto duro e verace con la vita, senza mediazioni e fughe; ma anche con il Padreterno e con i misteri della fede. Quel mondo iscatolato in una teca di vetro di nove per sedici centimetri è davvero piccolo anche se ha l’apparenza di portarti in giro per il mondo, e in tutti i tempi. Sono ipnotizzati dallo Strumento, che diventa il tabernacolo e la fonte di ogni luce e di ogni sapere, di ogni relazione e di ogni rivelazione; bisogna spezzare l’incantesimo, bisogna riprendere a vivere e bisogna saper farne a meno, per alcune ore del giorno.
La stupida Europa che bandisce culti, culture e coltivazioni per imporre norme, algoritmi ed espianti, dovrebbe per una volta esercitarsi in una direttiva veramente educativa: impegnarsi a far passare la legge australiana anche da noi, magari più circostanziata e contestualizzata. L’Europa può farlo, perché non risponde a nessun demos sovrano, a nessuna elezione; i governi nazionali temono troppo l’impopolarità, le opposizioni e la ritorsione dei ragazzi e dei loro famigliari in loro soccorso o perché li preferiscono ipnotizzati sul video così non richiedono attenzioni e premure e non fanno danni. Invece bisogna pur giocare la partita con la tecnologia, favorendo ciò che giova e scoraggiando ciò che nuoce, con occhio limpido e mente lucida, senza terrore e senza euforia.
Mi auguro anzi che qualcuno in grado di mutare i destini dei popoli, possa concepire una visione strategica complessiva in cui saper dosare in via preliminare libertà e limiti, benefici e sacrifici, piaceri e doveri, che poi ciascuno strada facendo gestirà per conto suo. E se qualcuno dirà che questo è un compito da Stato etico, risponderemo che l’assenza di limiti e di interesse per il bene comune, rende gli Stati inutili o dannosi, perché al servizio dei guastatori e dei peggiori o vigliaccamente neutri rispetto a ciò che fa bene e ciò che fa male. È difficile trovare un punto di equilibrio tra diritti e doveri, tra libertà e responsabilità, ma se gli Stati si arrendono a priori, si rivelano solo inutili e ingombranti carcasse. Per evitare lo Stato etico fondano lo Stato ebete, facile preda dei peggiori.
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