2020-11-01
Lo scozzese troppo grande persino per Bond
Sean Connery in una foto di scena di «Licenza di uccidere» del 1962 (Ansa)
Sean Connery muore a 90 anni dopo aver costruito e ripudiato l'icona di 007. Personaggio che gli ha dato la fama mondiale ma da lui odiato perché inglese. Oltre all'attore ci mancherà l'uomo: orgoglioso indipendentista e conservatore senza le paturnie del buonismo.«Un viaggio così lungo per nascondere un sommergibile in un fiume». Il comandante Marko Ramius è meraviglioso e malinconico nella sua barba bianca a punta. L'Ottobre Rosso non ci sta dentro sponde così strette alla fine del film. Come la vita di Sean Connery non ci sta dove la sta mettendo il giornalista collettivo, fra la Aston Martin allestita da Q e gli smoking da gagà davanti alla roulette. Troppo poco, troppo banale per un gigante del cinema e del pensiero forte, un custode di valori antichi che rappresentava da vivo tutto ciò che il progressista buono per decreto detesta: il maschio occidentale, il saggio conservatore, l'anti comunista a prescindere, l'indipendentista aggrappato alle radici (si era fatto tatuare su un braccio «Scotland forever»), l'individualista concreto come un sognatore.È morto nel sonno «circondato dall'affetto dei suoi cari» come si leggerebbe in un necrologio senza tempo su un giornale locale. Se n'è andato a 90 anni nel suo letto di Nassau, Bahamas, in quell'angolo di mondo che aveva scoperto sul set di Thunderball. Non sopportava i ritardatari ed era solito avvertire gli amici con la battuta da Entrapment: «Per favore arrivate in orario, io l'ho sempre fatto. Il giorno in cui sarò in ritardo significa che sono morto». E voi che oggi lo celebrare perché era un figo atletico da giovane e un figo saggio da vecchio, sappiate che i vostri figli sono già pronti a decapitarne memoria e statue in quanto maschilista, sciupafemmine, sessista con qualche accento reazionario. Perché «perché sono scozzese, fa parte della nostra cultura».Sean Connery nasce a Edimburgo nel 1930 da una donna delle pulizie e un camionista. Tocca con mano la povertà, coglie subito l'essenza stessa dell'ascensore sociale, sa cos'è e fa di tutto per prenderlo. Fa il bagnino, il lattaio, il verniciatore di bare in un'agenzia di pompe funebri; il suo reddito di cittadinanza è la dignità del lavoro fin da quando ha 13 anni. Timido, ruvido e taciturno, a 16 anni vorrebbe diventare marinaio su una corvetta della Royal Navy ma - per il comandante Ramius sembra un controsenso - viene scartato per impercettibili problemi di salute. E perché quel metro e 90 diventa un limite dentro i camminamenti bassi e stretti delle navi militari dell'epoca. Allora gioca a calcio e un osservatore del Manchester United scrive il suo nome in un report per Matt Busby. Ma neppure lì può essere quel numero uno che diventerà sul set dal giorno in cui viene scelto per la parte di 007. Lo sponsorizza Dana Broccoli, la moglie del produttore (mai avuto mezzo problema con le donne, tutte disposte a sdraiarsi come Pussy Galore in Goldfinger), che riesce a convincere anche Ian Fleming, l'autore del personaggio, ad affidargli la parte. Da allora il suo nome è Bond, James Bond. È il primo a pronunciare una delle frasi scolpite nella storia del cinema. Ed è il primo a detestarla. Non rilascia quasi mai interviste perché fino a 90 anni gli chiedono tutti dell'agente segreto. E Connery, che cominciò in teatro con Pirandello, Ibsen e Giraudoux, non tollera la superficialità dei media. «Ho smesso perché non reggevo più le scene sott'acqua. Detestavo nuotare fra i pesci con le bombole pesanti addosso». Una volta un intervistatore troppo insistente sulle fregole di 007 non si è portato a casa una risposta ma un pugno sul naso. Il suo appeal davanti alla macchina da presa è racchiuso in due frasi. La prima ne caratterizza l'umiltà: «Forse non sono un buon attore ma qualsiasi cosa avessi fatto sarebbe stata peggio». La seconda l'ironia: «Il mio lavoro è baciare donne bellissime. Duro, ma qualcuno doveva pur farlo». È il primo ad applicare la regola di Mai dire mai. E ha continuato a seguirla per tutta la vita. Quando Alfred Hitchcock lo scrittura per Marnie, la sua carriera è spianata e il cinema cade ai piedi di quel sorriso da Gioconda al maschile, di quell'elegantone naturale che lascia dietro di sé un profumo di Aqua Velva. L'assassinio sull'Orient Express, Il vento e il leone, Highlander. Diventa frate investigatore, l'immortale Guglielmo da Baskerville de Il nome della rosa, fa il professore e il visionario, il marinaio e l'eroe di guerra. James Bond è ormai lontano, ma a Hollywood di lui non si accorge nessuno. Troppo conservatore e troppo poco problematico per i gusti di un mondo fasullo, incline alla rivoluzione da salotto. Così l'unico Oscar lo vince nel 1988 da non protagonista ne Gli intoccabili di Brian De Palma, poliziotto con la mazza da baseball che si fa ammazzare per catturare Al Capone e celebrare Kevin Costner. Quella sera sul palco, a fargli da paggi, ci sono William Hurt, Robin Williams, Jack Nicholson, Marcello Mastroianni, Denzel Washington, Morgan Freeman. Un gigante fra i giganti, finalmente. C'è ancora tempo per essere il papà di Indiana Jones e soprattutto lo scrittore misogino dello strepitoso Scoprendo Forrester.La terza età è dolce e lunga, ma da icona planetaria il suo carattere non cambia. È l'esatto opposto del veltronismo, dovrete farci i conti. Si sposa due volte, la prima con l'attrice Diane Cilento e la seconda con la pittrice Micheline Roquebrune, che domani getterà il primo pugno di terra sulla bara. Nel 2003 si ritira dal cinema e rientra in sé stesso. Torna lo scozzese vissuto, avaro, bon vivant che esibisce tartan e kilt, e non ha problemi a ripetere: «Sono sempre pronto ad alzare il dito medio in faccia al mondo». Ama la sua Scozia, ricorda quel tatuaggio di gioventù e diventa testimonial dell'indipendenza di una terra che rappresenta le radici, le tradizioni, il senso comune del vivere. La percorre con la Jaguar di seconda mano, conosce tutti i tratturi a senso unico e i pub a picco sul mare.È per la secessione da Londra, morbida o dura non importa. «L'indipendenza è un'opportunità da non perdere», sostiene in ogni occasione. Ieri Nicola Sturgeon, la leader secessionista dello Scottish National Party lo ha celebrato così: «Gli riconosciamo un debito di gratitudine. È stato una leggenda globale ma prima e davanti a tutto un orgoglioso patriota scozzese». Così patriota e così scozzese che il giorno in cui la regina Elisabetta voleva stringere la mano a lui ed altri attori britannici, sulle prime di era rifiutato di andarci, a Buckingham Palace. «Neanche per sogno, non ho tempo da perdere». Poi i parenti, supplicandolo, lo convinsero a evitare l'imbarazzo di un'intera nazione. L'uomo era orgoglioso, duro come una scogliera battuta dalle onde. E amava il calcio in modo viscerale. Tifoso del Celtic da giovane, passa ai Rangers per un episodio ridicolo. Un giorno chiama per ottenere un biglietto per il derby. «Sono Sean Connery». Il segretario risponde: «E io sono Donald Duck». Allora chiama il presidente dei Rangers, David Murray, e vede la partita con i rivali. «Però se vado a Parkhead i tifosi del Celtic mi sputano addosso», scriverà nell'autobiografia. Da dirigente dei Rangers non voleva che Gennaro Gattuso lasciasse la squadra per tornare in Italia, lo considerava un campione, lo disse ai giornali. Ringhio, interpellato, commentò a modo suo: «Connery si faccia gli affari suoi». Nel 2007 era a San Siro per la sfida di Champions Milan-Celtic, finita 1-0 ai supplementari con un gol di Kakà e un rigore squassante negato agli scozzesi. Alla fine chi scrive gli chiese un commento e lui telegrafico rispose: «Big robbery». Una ladrata. Mai compromessi, si parla solo quando si ha qualcosa da dire. E lo si difende a schiena dritta perché la vita non è un lungometraggio. Il comandante Marko Ramius ha preso il largo per sempre. Ed è bello pensare che porti il suo pensiero forte anche lassù, dove oggi è poco di moda.
Little Tony con la figlia in una foto d'archivio (Getty Images). Nel riquadro, Cristiana Ciacci in una immagine recente
«Las Muertas» (Netflix)
Disponibile dal 10 settembre, Las Muertas ricostruisce in sei episodi la vicenda delle Las Poquianchis, quattro donne che tra il 1945 e il 1964 gestirono un bordello di coercizione e morte, trasformato dalla serie in una narrazione romanzata.