
Oggi gli studenti di tutta Italia scenderanno in piazza «per salvare il pianeta» nel nome di Greta Thunberg. Stranamente però avranno dalla loro parte i poteri forti e la benedizione del ministero. Segno che nessuno considera «scomodo» chi manifesta.Oggi tanti ragazzi italiani saranno in piazza per partecipare allo «sciopero» organizzato da Fridays for future per protestare contro il cambiamento climatico. Saranno in parecchi anche perché il neoministro dell'Istruzione, Lorenzo Fioramonti, ha invitato le scuole a giustificare l'assenza causa manifestazione. Secondo il ministro, infatti, i giovani scendono giustamente in strada «per rivendicare un'attenzione imprescindibile al loro futuro». Se davvero gli studenti hanno così tanto a cuore il proprio futuro e quello del pianeta Terra, farebbero bene, però, a porsi qualche domanda. Dovrebbero per lo meno insospettirsi e chiedersi: come mai noi ci ribelliamo e le istituzioni di mezzo mondo, i famigerati «poteri forti», approvano, anzi ci incentivano? Il motivo, lo abbiamo spiegato giorni fa, è che la protesta ambientalista di oggi è perfettamente organica al potere dominante. Fridays for future e i vari attivisti italiani che animano la mobilitazione si pongono sulla scia di Greta Thunberg, presentata dai più come una sorta di ultima speranza dell'umanità, la ragazzina che ha il coraggio di sfidare l'ordine costituito per richiamare l'attenzione su problemi impellenti ed epocali. E qui sta il punto: l'ambientalismo «tendenza Greta», non è l'unico possibile. Viene presentato come tale perché, appunto, fa comodo al sistema attualmente in vigore. Nei fatti, la Thunberg e i suoi fratellini portano avanti un discorso che è stato cannibalizzato dai partiti progressisti europei e americani. I quali sfruttano la patina verde per nascondere ben altre intenzioni. Per farla breve: le posizioni di Greta e i sommovimenti che hanno prodotto spingono i ragazzi a orientarsi verso sinistra, convinti che solo lì troveranno attenzione ai temi ambientali. È un errore. Esiste, dicevamo, un ambientalismo alternativo, conservatore e rivoluzionario al tempo stesso, molto più radicale di quello proposto dalla Thunberg e dai suoi interessati sponsor. Come ha notato Alain De Benoist, il termine ecologia viene coniato nel 1859 dal naturalista tedesco Ernst Haeckel. Egli lo utilizza per designare «la scienza delle relazioni tra gli organismi viventi e il loro universo domestico». La parola ecologia, infatti, deriva dal greco oikos, che significa casa. Essere ecologisti, dunque, vuol dire aver cura della propria casa. Lo ha spiegato molto bene il filosofo inglese Roger Scruton: «Siamo abituati a sentir accusare il conservatorismo di parlare solo di affari e di mercato e purtroppo spesso sembra proprio così. Ma le persone votano conservatore perché vogliono conservare i propri valori, la propria casa, la propria famiglia. C'è una ragione nascosta che chiamo oikophilia, che in greco vuol dire amore per la casa. Conosciamo l'oikos attraverso le parole “economia" ed “ecologia"». Aver cura della casa significa, tra le altre cose, rispettare le tradizioni. Comprendere che l'essere umano ha un posto nel mondo. Non nell'ambiente, bensì nella «natura», in quello che un tempo si chiamava «il creato». Trovare il proprio posto significa riconoscere l'esistenza di una gerarchia: l'uomo rispetta e ama la natura perché gli è stata affidata, perché esiste un ordine superiore che egli deve conservare e proteggere. A tutto ciò Greta e soci non fanno il minimo cenno. I liberal a cui fanno riferimento (o da cui si sono fatti cooptare) sono gli stessi che spingono per le frontiere aperte, per lo sviluppo tecnologico senza limiti, per l'accelerazione globale. In questo senso, l'unica vera rivoluzione è quella conservatrice, che si oppone all'assenza di limiti e gerarchie. L'«ecologia profonda» di cui De Benoist ha scritto, ad esempio, prevede una revisione radicale del nostro modello di sviluppo. Prevede un'opposizione dura alle multinazionali, mentre gli eco entusiasti che oggi vanno di moda non si sognano nemmeno di mollare gli orpelli della Silicon Valley. Semplificando, la risposta di costoro è: continuiamo a mantenere in piedi questo sistema - cioè il neoliberismo - mettiamogli un bel vestitino green (magari tassando un po') e tutto andrà a posto. Ne ho avuto la prova l'altro giorno. Mi sono trovato a discutere in tv con Debora Serracchiani del Pd. Quando le ho esposto sommariamente la mia visione, mi ha risposto inorridita: «Ma allora lei vuole la decrescita!». Appena ho messo in discussione l'attuale modello di sviluppo, la dem si è irrigidita. Eppure fino a un secondo prima si era riempita la bocca di belle parole sull'ambiente. Altro esempio. Greta è vegana. E non dice una parola sul business portato avanti dalle grandi aziende che cercano di imporre questo tipo di alimentazione. Non spiega, ad esempio, che basterebbe ritornare all'allevamento tradizionale per risolvere larga parte del problema emissioni. Meglio eliminare in toto il consumo di carne, e magari affidarsi a una multinazionale che ci rifornisca di seitan o di soia. E se coltivazioni massive come la soia o l'avocado fanno danni? Semplice: basta ridurre il numero di esseri umani. Lo propongono leader progressisti come Bernie Sanders o Alexandria Ocasio Cortez. Lo scrivono teorici radical come Donna Haraway, leggere per credere il suo nuovo libro Chthulucene (Nero edizioni), in cui invita a non fare più figli. Ma che ambientalismo è quello che vuole l'estinzione dell'uomo? Non dobbiamo difendere la natura perché altrimenti moriremo. Dobbiamo farlo perché è uno dei nostri compiti. Non per egoismo, quindi, ma per amore, per slancio vitale. E come può amare la natura chi vuole continuamente sovvertirla?
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