2020-05-27
Lo scoop della «Verità» stoppa
il processo burletta a Salvini
Matteo Salvini e Maurizio Gasparri (Ansa)
Non ci sono differenze tra i dossier Diciotti (Matteo Salvini scagionato), Gregoretti (Matteo Salvini a processo) e Open Arms. Senonché, stavolta, a fiaccare la credibilità dei giudici ci sono le chat svelate dalla «Verità». Ma occhio alle insidie quando la palla passerà al Senato.Che l'attuale maggioranza sogni di essere liberata con l'aiuto dei giudici dall'ingombrante figura di Matteo Salvini non è cosa che scopriamo ora, ma che sospettiamo da un pezzo. Come a suo tempo la sinistra agognava di sbarazzarsi di Silvio Berlusconi per mano giudiziaria (e alla fine, dopo una battaglia durata vent'anni, il desiderio fu appagato), così adesso i giallorossi confidano nell'azione dei pubblici ministeri per levare di mezzo uno dei leader dell'opposizione. Se fino ai giorni scorsi era solo l'esperienza a indurci a ritenere che grillini e piddini non vedessero l'ora di mandare il capo della Lega alla sbarra, ora ne abbiamo le prove. E non soltanto per la freddezza con cui a sinistra hanno accolto le rivelazioni fatte dalla Verità sulle conversazioni di alcuni magistrati decisi ad attaccare Salvini anche a costo di passare sopra al diritto. Ma anche per ciò che inaspettatamente è accaduto ieri, nella giunta delle autorizzazioni a procedere. La commissione parlamentare ha il compito di valutare se le richieste pervenute dalla magistratura contro un ministro (all'epoca dei fatti il capo della Lega lo era) siano o meno fondate e, nel caso si ritenga che non lo siano, può negare il via libera ai giudici di indagare e processare l'esponente del governo. In genere davanti al «tribunale» di Camera e Senato arrivano richieste per fatti gravi, nel caso dell'ex capo del Viminale la questione riguarda il blocco navale attuato contro gli sbarchi dei migranti. Come tutti ricorderanno, una volta arrivato alla guida dell'Interno, il segretario della Lega decise il blocco dei porti per fermare gli sbarchi di immigrati e questo fu fonte di infinite polemiche, con la sinistra, ma anche con la Ue e le Ong. Già quand'era al governo e non aveva ancora fatto cadere il Conte uno, Salvini fu per questo indagato dalla magistratura, ma l'inchiesta si arenò per il voto contrario della giunta delle autorizzazioni a procedere la quale, imitata poi anche dall'aula del Senato, negò il semaforo verde alla magistratura, ritenendo che il ministro non avesse violato alcuna legge, ma si fosse attenuto semplicemente alle decisioni prese dall'esecutivo. All'epoca, quando arrivò la domanda dei giudici, il no alla richiesta fu frutto di mille contorcimenti da parte dei grillini, i quali avrebbero voluto dire sì pur di dare un calcio negli stinchi all'alleato, ma poi, per paura di veder venire giù tutto, votarono no. Si trattava del caso Diciotti, ovvero di una nave della Guardia costiera con a bordo 177 migranti che per dieci giorni rimase in attesa di poter sbarcare gli extracomunitari raccolti in mare. Ma, come dicevamo, quel no ai giudici risale al 19 febbraio dello scorso anno, quando ancora grillini e leghisti erano costretti alla convivenza. Poi arriva il patatrac e il governo gialloblù si rompe e la magistratura torna all'assalto, questa volta non per una nave della Guardia costiera, ma per una della marina militare costretta ad aspettare al largo per sei giorni. E qui i grillini cambiano idea e, nonostante il caso sia una fotocopia del precedente, votano compatti per mandare a processo Salvini. Certo, il loro è un voltafaccia che rivela la doppiezza della politica e, se volete, anche le meschinerie con cui si cerca di eliminare un avversario. Tuttavia non è finita, perché i pm tornano a bussare alla porta del Senato per indagare l'ex ministro a causa della Open Arms, la nave di una Ong a cui il capo leghista diede l'altolà. E qui c'è la prova dell'uso politico della giustizia, perché ciò che andava bene pochi mesi fa, cioè processare Salvini per sequestro di persona, all'improvviso non va più bene, con il risultato di usare il codice penale non come fonte di diritto, ma come strumento per sostenere, a seconda delle esigenze, anche il rovescio. Già, perché ieri, a sorpresa, la giunta per le autorizzazioni ha negato il via libera all'indagine della magistratura. Vi state chiedendo che cosa ci sia di diverso nei tre casi che ho appena citato? Niente. Assolutamente niente. Con la Diciotti Salvini negò l'attracco alla nave della Guardia costiera e lo stesso fece con la Gregoretti e poi con l'Open Arms, anche se la prima era della marina militare e la terza di una ong spagnola. Ma se l'accusa è sequestro di persona - come è facile capire - c'entra poco di chi sia la bagnarola. E allora, che cosa ha indotto due grillini e tre esponenti del partito di Renzi a cambiare opinione? Semplice: le intercettazioni pubblicate dalla Verità, dove un magistrato, commentando l'iniziativa giudiziaria, sosteneva che anche se non c'erano elementi per indagare Salvini bisognava attaccarlo comunque. Una conversazione che è la prova di ciò che sosteniamo da tempo e cioè che tra le toghe ci sia chi è disposto a tutto pur di far fuori un leader politico non gradito. Dunque, spedire a processo il capo leghista a pochi giorni da uno scandalo del genere, rischiava di essere controproducente. E a questo punto, Italia viva e un paio di grillini si sono incaricati della retromarcia. I primi disertando la riunione, i secondi votando contro. Ma occhio: lo sgambetto a Salvini potrebbe essere solo essere rinviato. Perché tra qualche tempo a pronunciarsi dovrà essere l'aula di Palazzo Madama e, conoscendo i compagni, potremmo assistere a un'altra piroetta.
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