2020-06-27
«L’Italia riparte? Ora il problema sono i Paesi esteri»
Il presidente di Confindustria Bergamo Stefano Scaglia: «Viviamo di export, l'autunno sarà difficile. Visione del governo fuori dalla realtà».Eccolo il «mola mia», il non mollare mai orobico, venite a vedere come si fa. Oltre 5 milioni messi sul tavolo per l'innovazione digitale con Joiint lab, l'accordo Finanza Subito con le maggiori banche per semplificare l'accesso al credito (150 milioni di prestiti già erogati), un osservatorio per monitorare le aziende nel momento più complicato. Bergamo si è rimessa in moto. «Chi sa fare fa, chi non sa fare parla», diceva Giovanni Trapattoni che qualcosa ha vinto. La frase aleggia beffarda nei corridoi di Villa Pamphilj mentre nella città martire del virus l'Italia del fare trova di nuovo il suo centro motore. «Siamo un polo vincente in Europa, non possiamo rimanere indietro, questi processi vanno accelerati». Parla così Stefano Scaglia, presidente di Confindustria Bergamo, imprenditore, coordinatore di una ripartenza solida e seria, senza bazooka né lanciafiamme né soldi del Monopoli. Presidente Scaglia, che significato hanno le vostre iniziative a raffica?«Vogliamo che siano d'impatto concreto per il tessuto economico e che rappresentino anche un segnale simbolico per consolidare il primato nel manifatturiero avanzato del sistema Bergamo. Ripartire non è solo un verbo affascinante e impegnativo, è un dovere sociale dopo mesi terribili. E il manifatturiero trascina tutto il resto».Si sta ripartendo davvero?«Più del 90% delle aziende ha ricominciato. Ma i nostri dati dicono che si sta lavorando su portafogli di ordini del periodo ante-pandemia. Quello post è meno alimentato, avremo ulteriori difficoltà per settembre. L'Italia è entrata prima nell'emergenza e ne sta uscendo prima, oggi ci preoccupa l'estero. L'Europa è in lenta ripresa, le Americhe sono ancora preda del virus e noi viviamo di export. Presto il problema non sarà tanto la liquidità quanto la carenza di ordini. Sarà un autunno difficile».Per questo c'è il decreto Rilancio. Cosa ne pensa?«Bisogna dirsi le cose come stanno: nel decreto Rilancio non c'è rilancio. Il manifatturiero avanzato è il core business italiano, l'anima industriale del Paese. Se non viene sostenuto adeguatamente è finita. Le faccio un esempio: non si possono dare incentivi all'acquisto dei monopattini e non all'auto. Questa è una visione bucolica fuori dalla realtà. E quando parlo di auto non intendo solo quelle elettriche, perché sono necessari incentivi per rinnovare il parco auto tradizionale».Dove dovrebbero concentrarsi i progetti governativi?«L'auspicio è che i finanziamenti dell'Europa e delle banche siano utilizzati per produrre ricchezza destinata a far ripartire il Paese, a ripagare gli interessi di quei prestiti e a non lasciare un debito insostenibile ai nostri figli. Per farlo bisogna credere nel valore delle imprese e aiutarle. Il moltiplicatore di ricchezza arriva innanzitutto dall'industria».L'accordo bancario Finanza Subito viene imitato in mezza Italia.«Avevamo la necessità di velocizzare il processo delle pratiche, chiarire con le banche il set di documentazione richiesto dallo Stato. Abbiamo stilato un protocollo e messo a disposizione un pool di professionisti per preparare le pratiche e seguirne l'iter. L'idea funziona». In quel marzo del contagio le aziende bergamasche sono finire sotto accusa, non volevano chiudere.«Sbagliato. Noi già dal 16 marzo avevamo più imprese chiuse di quelle descritte dal codice Ateco del decreto del successivo 22 marzo. Molte si sono messe a disposizione, hanno colto il senso drammatico dell'emergenza e hanno lavorato per reperire materiali con i loro contatti esteri. Mascherine, ventilatori, alcool, camici, guanti, gel. Gli imprenditori hanno fatto donazioni importanti e riconvertito la produzione per dotare gli ospedali di materiale sanitario. Con la diocesi e L'Eco di Bergamo, Confindustria Bergamo è stata promotrice di Abitare la Cura per mettere a disposizione alloggi e alberghi a persone che dovevano stare in isolamento e non potevano farlo in casa loro».In quel periodo il «mola mia» è diventato un boomerang.«Il nostro non mollare mai non è una filosofia irrazionale, è accompagnato dalla ragionevolezza, dalla capacità di comprendere la situazione. Se l'8 marzo avessero detto a chi era a sciare a Foppolo cosa sarebbe successo, la risposta sarebbe stata univoca: non è possibile. Se abbiamo sbagliato, lo abbiamo fatto in buona fede. Basta vedere i colleghi europei. Mentre noi eravamo nel dramma, tutti (francesi, tedeschi, inglesi, spagnoli, russi) erano convinti che da loro non sarebbe arrivato».Ritiene anche lei che lo smartworking diventerà strutturale.«Penso che rimarrà legato all'emergenza sanitaria, almeno nell'intensità con cui è stato applicato. Per un semplice motivo: non possiamo negare dall'oggi al domani valori in cui credevamo come la socializzazione, il fare squadra, il mettere in comune le idee e perfino le mense nei parchi tecnologici, pensate come luogo informale di generazione di novità. Con Intellimech e l'Istituto italiano di tecnologia abbiamo riunito 30 aziende top finalizzate alla ricerca nella robotica e nell'intelligenza artificiale. Tutto questo resta valido, l'uomo è un animale sociale».L'esempio di Bergamo può essere di stimolo per l'intero Paese?«Lo spero perché la situazione nazionale non è incoraggiante. Stiamo facendo fatica a passare dagli interventi di pura assistenza emergenziale a quelli strutturali per la ripresa. Assistiamo al moltiplicarsi dei voucher e delle erogazioni a pioggia; servirebbero invece iniziative mirate a produrre valore. Questo purtroppo deriva da una cultura di governo prevenuta verso il mondo industriale».Negli Stati generali il premier Giuseppe Conte ha ribadito il contrario.«Per dieci giorni abbiamo ascoltato cose che sapevamo già. In questo momento è fondamentale credere nell'industria che può esserne protagonista della ripresa. Ho notato che manca anche entusiasmo nei messaggi, come se i soldi arrivassero alle persone perché lanciati dai balconi. Si coglie l'anima idilliaca e illusoria da decrescita felice. La cosa ci spaventa».La proposta di abbassare l'Iva?«Sarebbe più utile dare i soldi ai cittadini riducendo il cuneo fiscale. E insistere su lavoro, infrastrutture, digitalizzazione. La pubblica amministrazione fa fatica perché è ancora fondata sulla carta».Parlava dell'autunno, si temono licenziamenti e forte disagio sociale.«Andremo incontro a ristrutturazioni, il blocco dei licenziamenti dovrà essere gestito. Sarà necessario mettere a punto meccanismi per assistere i lavoratori nella riqualificazione e nella formazione. Sono questi i temi importanti, non si può tenere cristallizzata la situazione per sempre».Formazione, una parola che ricorda da vicino la scuola chiusa.«Deve assolutamente riprendere, i bambini e i ragazzi hanno diritto di avere certezze sulla loro formazione e le famiglie devono poter andare a lavorare. Senza contare che il silenzio della scuola amplia le differenze sociali: chi non ha i mezzi è destinato a rimanere indietro».È anche il rischio dell'industria italiana? «Come Confindustria stiamo facendo di tutto perché non accada, crediamo profondamente nel valore anche sociale della manifattura di alto livello della nostra terra, del nostro Paese. Ma se la filosofia governativa è quella di Alice nel paese delle meraviglie siamo fuori strada»