2020-06-14
L’Italia può rientrare nella partita libica
Fayez Al Serraj e Giuseppe Conte (Ansa)
Roma ha l'occasione di contare nel Risiko nordafricano, ma l'appoggio a Fayez Al Serraj sarebbe un azzardo per gli affari con l'Egitto. Il governo di Tripoli, ora in vantaggio, nega il cessate il fuoco a Khalifa Haftar. L'influenza di Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan agita Washington.Gli Stati Uniti stanno cercando di non lasciare la Libia a Turchia e Russia, i cui interventi al fianco rispettivamente del governo di accordo nazionale guidato da Fayez Al Serraj e dell'autoproclamato Esercito nazionale libico comandato da Khalifa Haftar, le hanno rese decisive nella partita per il futuro del Paese nordafricano. A dimostrazione di questa dinamica, oggi Sergej Lavrov e Sergej Shoigu, ministro degli Esteri e della Difesa russi, saranno a Istanbul, in Turchia, per un incontro sulla crisi libica a una settimana di distanza dalla cosiddetta Dichiarazione del Cairo, la mossa con cui sabato scorso il presidente egiziano Abdel Fatah Al Sisi ha proposto un cessate il fuoco sostenuto immediatamente da Haftar e dai suoi alleati ma respinto dal governo di Tripoli e dai suoi partner, decisi a sfruttare il momento militarmente favorevole che vede gli uomini di Bengasi perdere terreno e sostegno popolare ogni giorno. In particolare la Turchia, che secondo i giornali filogovernativi di Ankara starebbe realizzando due basi militari in Libia, ad Al Watiya e a Misurata, nell'ambito dell'accordo di cooperazione militare sottoscritto lo scorso novembre con Tripoli. Come ha notato l'esperto Lorenzo Marinone in un recente rapporto del Centro studi internazionali, Recep Tayyip Erdogan e Vladimir Putin «hanno guadagnato un potere di sabotaggio notevole verso qualsiasi iniziativa politica e diplomatica che non rispecchi i loro desiderata». Per questo Washington si sta muovendo. Non direttamente il presidente Donald Trump, che pur in questi ultimi giorni ha ripreso i contatti con l'omologo turco Erdogan. Bensì il segretario di Stato, Mike Pompeo, ex capo della Cia. Venerdì ha avuto un colloquio con l'Alto rappresentante dell'Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, con il quale ha discusso della necessità di porre fine al conflitto in Libia alla luce del peggioramento delle interferenze straniere ma anche dell'operazione aeronavale europea Irini per l'attuazione dell'embargo delle Nazioni Unite sulle armi. Domani il segretario Pompeo parteciperà alla videoconferenza dei ministri degli Esteri dell'Unione europea: in cima all'agenda dei lavori c'è la Cina, ma poco sotto c'è la Libia. Ma gli Stati Uniti stanno mobilitando anche la Nato. Alcuni giorni fa il segretario generale Jens Stoltenberg nel corso di un'intervista rilasciata al quotidiano tedesco Die Welt aveva spiegato che l'alleanza atlantica sta valutando «come appoggiare la missione Irini», ricordando il sostegno già fornito all'operazione precedente, Eunavfor Med Sophia. Venerdì il segretario Stoltenberg ne avrebbe discusso anche con il ministro della Difesa turco, Hulusi Akar, in un colloquio telefonico avvenuto a pochi giorni dall'incontro dei ministri dell'alleanza che si terrà in teleconferenza mercoledì e giovedì. I titolari della Difesa ne stanno già discutendo e una soluzione dovrebbe emergere già nel vertice di questa settimana. E non possono non aver fatto piacere ai membri dell'alleanza le parole pronunciate ieri dal portavoce della presidente turco Erdogan, Ibrahim Kalin, che parlando ai giornalisti dopo la sua visita ufficiale a Berlino ha spiegato: «Se c'è instabilità in Libia, se la guerra continua, la migrazione illegale continua, il traffico di stupefacenti e il traffico di esseri umani continuano, ciò influisce sia sulla sicurezza della Nato che sulla sicurezza dell'Europa».Tuttavia, le tensioni tra i Paesi europei e l'alleato più complicato della Nato non mancano. Il Servizio europeo di azione esterna ha confermato l'incidente avvenuto mercoledì al largo della Libia: tre navi da guerra turche hanno impedito che, nel quadro della missione Irini, una fregata della marina greca controllasse un cargo battente bandiera della Tanzania diretto a Misurata. Da aprile, ha dichiarato il portavoce del servizio diplomatico europeo, Irini fermato più di 75 navi al largo della Libia, «impedendo in diversi casi il contrabbando di petrolio».L'amministrazione statunitense, sotto impulso di difesa e intelligence, sta quindi cercando di tornare in gioco anche tramite la Nato, e quindi la Turchia sostenitrice di Al Serraj. Il fronte degli sponsor di Haftar, invece, è spaccato. Da una parte ci sono Francia ed Emirati, che avevano scommesso sull'aspirante nuovo dittatore della Libia. Dall'altra, Russia ed Egitto che, rispettivamente per ragioni di influenza sull'Europa e di vicinanza, avevano puntato sulla Tripolitania prima che sull'uomo forte della Cirenaica.In questa quadro, l'Italia ha quella che possiamo definire l'occasione dell'ultimo minuto per rientrare in partita. Il tutto dopo aver tentato (con poco successo) di tenere il solito piede in due scarpe. Tripoli, infatti, ha lanciato un appello al governo italiano per fornire aiuto qualificato nella bonifica dei quartieri della zona Sud della capitale e di Tarhuna. Il sostegno politico è trasversale. Il governo, che per l'anno in corso ha previsto nuove missioni militari che interessano il dossier libico in Sahel e nel Golfo di Guinea (oltre a Irini), ne sta discutendo. Ma dire sì ad Al Serraj significherebbe mettersi dalla parte opposta dell'Egitto al quale, con il via libera del Consiglio dei ministri, l'Italia ha appena venduto due fregate Fremm di Fincantieri, inizialmente destinate alla nostra Marina militare. Una commessa da 1,2 miliardi di euro che non soltanto agita la maggioranza per via del caso che riguarda Giulio Regeni, ma che permetterà all'Egitto di diventare una potenza navale, confinante con la Tripolitania e in un'area del Mediterraneo che rappresenta una priorità per il nostro Paese.