2024-07-20
L’Italia avrà più peso se sfrutterà le geometrie variabili di Bruxelles
Giorgia Meloni (Getty Images)
La sinistra tira in ballo la realpolitik quando le fa comodo e accusa Giorgia Meloni di aver portato il Paese in serie B, dimenticando le sberle ricevute negli anni. Ma divisioni in Aula e dietrofront apriranno spazi di manovra. Ora che Giorgia Meloni ha guidato Fratelli d’Italia e il gruppo dei conservatori Ecr contro Ursula von der Leyen l’Italia è scivolata in serie B. A dirlo non siamo noi. La lista dei pensatori e dei giornali di sinistra che hanno esternato o vergato un tale pensiero è lunga. Prima di riportarvi i commenti di chi maneggia meglio di noi la realpolitik, permetteteci una breve contro risposta. Ma esattamente quando l’Italia è stata in serie A? Ci basti ricordare il macello delle banche negli anni in cui governava Matteo Renzi e la posizione dell’Antitrust Ue. Le sofferenze che lo stesso Antitrust ha imposto a Ita-Lufthansa. Prima ancora il bail in e il fallimento di grandi operazioni come la scalata di Fincantieri alla francese Stx. Abbiamo festeggiato Paolo Gentiloni come commissario all’Economia e si è limitato a ogni crisi a dire che la prossima volta l’Europa sarà migliore. Detto questo, gli opinionisti di sinistra (o di centro) ieri si sono sbizzarriti a spiegare il fallimento Meloni. «Per la prima volta la maggioranza di governo italiana vota contro la candidata alla presidenza Ue», abbiamo letto. Verissimo da un punto di vista storico. Ma allinearci a che è servito nella scorsa legislatura? «Più ragion di Stato e meno populismo, così si governano gli Stati», abbiamo letto sui social. Verissimo anche questo. Viva la realpolitik, ma per andare dove? Ci sembra che stiamo dimenticando quello che dovrebbe essere il fondamento dell’Unione europea. Trovare accordi sulle piattaforme politiche, su obiettivi comuni verso cui traghettare questo vecchio e stanco continente composto da singoli Stati in piena crisi sociale verso qualcosa di nuovo, efficiente e che preservi la nostra ricchezza. Allora il governo si sarebbe dovuto turare il naso e dire sì all’Ursula bis anche sapendo che l’agenda del 2024-2029 è la medesima dei cinque anni precedenti? La stessa agenda che porterà l’industria europea a collassare una volta per tutte. Renderà il continente più povero e incapace di affrontare le sfide violente che ci aspettano. Non lo diciamo noi, ma parte di quella maggioranza che l’altro giorno ha ridato l’ok alla Von der Leyen nonostante negli ultimi 18 mesi nei fatti e in Aula abbia preso le distanze dalla medesima Ursula e dalla componente green spinta e voluta dagli eurosocialisti. Nell’ultimo anno e mezzo, il Ppe (per fare un esempio concreto) ha progressivamente spostato il baricentro dei propri voti inerenti il Green new deal più vicino a Ecr. Se nel 2022 solo il 30% del Ppe votava contro le norme green, lo scorso semestre si è arrivati all’80% dei deputati. Dunque a rinnegare la realtà è stato chi si è rimangiato le posizioni e ha scelto di stare dalla parte di chi si spartisce il potere indipendentemente dalle idee. Peccato che qui c’è in ballo il nostro futuro e il futuro delle aziende. Coerenza? Non tocca a noi fare l’esegesi della coerenza dei politici.Certo che notiamo che la realpolitik vale solo quando in ballo c’è la destra e i veri o presunti errori che compie. La realpolitik non si misura mai sulla guerra in Ucraina e sulle scelte (fallimentari) che l’Ue mette in campo sull’immigrazione. Così va il mondo e così si allineano i commentatori. Detto questo, sfugge ai più un secondo macro elemento. In molti, sempre ieri hanno sentenziato la fine di Ecr in Aula. Emmanuel Macron e Olaf Scholz avrebbero ottenuto di espellere il gruppo dalla maggioranza e al tempo stesso il no della Meloni a Ursula ha un solo beneficiario: Viktor Orbàn.Non dimentichiamo che a Bruxelles e Strasburgo esistono le geometrie variabili e pure le maggioranze variabili. Non solo. Il Parlamento Ue che nel 2019 votò la Von der Leyen con 383 preferenze, compreso il sostegno grillino, era stato sedotto nelle quattro settimane precedenti e subito abbandonato dalla Commissione. Tant’è che le nomine perfezionate a fine agosto dello stesso anno assumevano già logiche completamente diverse. Chi ci dice che non avverrà la medesima cosa? Certamente è tutta una strada in salita e Giorgia Meloni faticherà a trovare la quadra. Ma l’altro lato della medaglia si prospettava come due volte perdente. La possibilità di votare sì alla nuova agenda green per ritrovarsi comunque con un pugno di mosche in mano (alias un commissario di scarso peso e senza portafoglio) sarebbe stata alquanto elevata. E a quel punto ci saremmo trovati con una museruola. A ogni obiezione sensata contro la transizione verde modello socialista ci sarebbe stata rinfacciata l’adesione. Sicuramente l’Italia ha colpe profonde in Europa. Per anni ha mandato a Bruxelles i politici trombati in Italia invece che mandare quelli più preparati. Magari noiosi e in abiti grigi, ma attenti alle lobby feroci che guidano le scelte dell’Ue. In questo abbiamo fallito. Negli ultimi 20 anni non abbiamo creato una classe dirigente alternativa. Italiani nei gangli di Bruxelles non ce ne sono. In maggioranza sono filo tedeschi, filo francesi o filo Pd. Questo è un tabù che molti commentatori non amano mai svelare. Resta osceno. Fuori dalla scena del teatro della politica. Il tema però è questo. O si crea una struttura terza che non sia politicizzata e sia garante di tutti i Paesi o tutti gli elettori (ma è impossibile) o si fa spoils system. Certo, con il presupposto che la destra abbia la forza di metterlo a terra.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.