2024-06-06
Liste d’attesa, il problema non sono i soldi
Polemiche per gli stanziamenti del nuovo decreto. Ma gli esperti spiegano che per accorciare i tempi delle visite servono più organizzazione e innovazione. Meloni replica alle critiche: «I 17 miliardi delle truffe del Superbonus li avrei spesi per gli ospedali».Sinistra smentita: uno studio di Mediobanca svela come l’inflazione vanifichi la crescita del fatturato degli operatori sanitari privati.Lo speciale contiene due articoli.Mancano le coperture. Non sanno dire altro dall’opposizione sui provvedimenti varati dal Consiglio dei ministri per la gestione delle liste d’attesa, «uno dei problemi del Servizio sanitario di cui si lamentano i cittadini, insieme alla carenza del personale», ha dichiarato il ministro della Salute, Orazio Schillaci presentando il decreto legge e il disegno di legge che puntano a misurare, monitorare, organizzare il fenomeno e a responsabilizzare istituzioni e cittadini, governando la spesa. Niente da fare. Da Raffaele Donini, coordinatore della Commissione salute per Conferenza delle Regioni, che bolla il decreto come «astratto e privo di coperture», alla segretaria Pd, Elly Schlein, per la quale «non ci sono risorse sufficienti per abbattere le liste di attesa», in area sinistra si boccia la novità come «propaganda elettorale» sostenendo che non ci sono i fondi. I soldi invece ci sarebbero, ma non sono spesi. E non è solo una questione economica garantire visite ed esami in tempi utili per tutelare il diritto alla Salute, sancito dall’articolo 32 della Costituzione. Anche per questo ieri, alle critiche di Matteo Renzi, Giuseppe Conte, Schlein e Angelo Bonelli che invitavano a «dare alla Sanità» i soldi dell’accordo con Edi Rama sui centri dei migranti in Albania, il capo del Governo, Giorgia Meloni ha risposto: «Sapete quali soldi avrei voluto mettere sulla sanità? I 17 miliardi di euro andati nelle truffe del superbonus, soldi tolti ai malati per darli ai truffatori: sono stati spesi non per risolvere problemi ma gettati dalla finestra». L’infondatezza della critica sulla carenza di fondi per dare ali ai nuovi provvedimenti si evidenzia anche solo da un dato paradossale della Corte dei conti che certifica come «non spesi», dalle Regioni, 152 milioni di euro stanziati proprio per le liste d’attesa. «Questo dato», osserva Tonino Aceti, esperto di politica sanitaria e presidente di Salutequità, mostra l’esistenza di ostacoli di «vario tipo» che non sono solo di natura economica, ma innanzitutto di «inefficienza organizzativa» e gestionale. Per questo, secondo Aceti, «va attivato un flusso continuo che produca dati e quei dati vanno sistematizzati e certificati così da intervenire per superare le criticità. Oggi tutto questo non esiste». Assurdo: non abbiamo i dati, ma per il Pd mancano i soldi. Come spiega l’esperto, «nel Nuovo Sistema di garanzia dei Lea», i livelli essenziali di assistenza, quindi le prestazioni che vengono pagate dal Servizio sanitario, «compare solo un indicatore “core” relativo alle liste d’attesa», che è «del tutto inadeguato perché relativo al codice di priorità D, cioè “differibile”, e calcolato in modo inappropriato perché riferito a pochissime prestazioni, all’interno di settimane indice». Proprio per colmare questo gap, secondo la misura appena approvata, è prevista la piattaforma di Agenas. Tornando alla questione economica, per il presidente di Salutequità è prioritario «rivedere le modalità di erogazione dei fondi alle Regioni: basta con il dare soldi a prescindere dal raggiungimento dell’obiettivo di recupero o di abbattimento delle liste», dice, «serve un meccanismo di responsabilizzazione», che è stato introdotto nelle direttive. Sostiene la necessità di «strumenti nuovi» più che di generiche coperture a pioggia, anche Giovanni Migliore, presidente Fiaso, la Federazione italiana delle Aziende sanitarie e ospedaliere. «Ormai da tantissimi anni ci confrontiamo col tema delle liste d’attesa», ha dichiarato a SkyTg24, «io faccio il direttore generale da 12 anni e da 12 anni» c’è «questo problema. Abbiamo rincorso la prestazione, ma in realtà dobbiamo capire bene che cosa serve ai nostri cittadini, dobbiamo assicurare a ciascuno quello di cui ha veramente bisogno nei tempi in cui merita di essere assistito». Per questo, secondo Migliore, « è necessario un nuovo sistema di monitoraggio e sono necessari strumenti che ci mettano nelle condizioni di capire realmente dove investire le nostre risorse. Sono indispensabili strumenti nuovi. Noi dobbiamo, attraverso questo sistema, capire qual è la capacità produttiva massima del Ssn. Se però ci rendiamo conto che, sulla base del monitoraggio, questa capacità produttiva che siamo riusciti a raggiungere o che raggiungeremo non è sufficiente per la tutela della salute dei nostri cittadini, dobbiamo intervenire», anche «organizzando meglio il lavoro» e «valorizzando di più i nostri professionisti». Le liste d’attesa «sono importanti», pure per Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri che ieri, su Il Foglio, spiegava che in sanità, «non si migliora limitandosi a chiedere più soldi, e nemmeno concentrandosi sull’ossessione delle liste d’attesa. Per intervenire su questo terreno occorre fare scelte improntate all’efficienza, e occorre governare la domanda stabilendo delle priorità, adeguandosi cioè all’evoluzione delle conoscenze», prima di pensare alle coperture che, se non governate sono, per assurdo destinate a crescere. «L’ossessione generica delle liste d’attesa induce il sistema sanitario ad alimentare prestazioni inutili», avverte Remuzzi, «a non ragionare sulla base di ciò che serve e di ciò che non serve, e a far aumentare la spesa sanitaria a danno di chi è davvero malato». E a conferma, c’è «un lavoro pubblicato tempo fa su Nature» che dimostra come «se si mettono a disposizione più specialisti, le liste d’attesa al momento si riducono, poi però il sistema si riorganizza su un nuovo livello di domanda e», conclude «siamo da capo».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/liste-attesa-sanita-2668464254.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="i-numeri-smentiscono-la-sinistra-in-calo-gli-utili-degli-operatori-privati" data-post-id="2668464254" data-published-at="1717619692" data-use-pagination="False"> I numeri smentiscono la sinistra: in calo gli utili degli operatori privati La sanità pubblica se la passa male ma anche quella privata non sta benissimo vista l’esiguità dei margini. A emettere questo verdetto è un arbitro al di sopra di ogni sospetto come l’Area studi di Mediobanca. Il risultato della ricerca fa giustizia di tutte le chiacchiere di questi giorni su presunti benefici di cui godono le cliniche private rispetto gli ospedali pubblici. La realtà che emerge dai numeri è ben altra: il sistema sanitario italiano ha un problema enorme di efficienza. Tuttavia sostenere come fanno in queste ore i maggiori esponenti della sinistra che esiste una torsione a favore degli operatori privati è semplicemente un falso. In realtà il dualismo fra servizio pubblico e le cliniche accreditate assomiglia molto alla lite fra i capponi di Renzo, nei Promessi Sposi. E valga il vero. Nel 2022 i 31 operatori sanitari privati esaminati da Mediobanca (fatturato oltre 100 milioni) hanno totalizzato ricavi per 10,6 miliardi in rialzo del 2,7% sul 2021 e dell’8,7% sul 2019. La crescita del giro d’affari, però, non si è riflessa sugli utili. La redditività complessiva, ancora inferiore ai livelli pre-pandemici, ha subìto un’ulteriore battuta d’arresto nel 2022, risentendo dell’inflazione: il margine operativo netto si è contratto del 60,4% sul 2019 e del 49,7% sul 2021. Rispetto al fatturato è sceso all’1,8% dal 3,8% del 2021 e, soprattutto, dal 5,3% del 2019. Insomma il sistema privato muove grandi volumi ma alla fine quello che resta nelle casse sono spiccioli. Sempre di meno considerando che, come abbiamo visto, i margini si sono sostanzialmente dimezzati fra il 2019 e il 2022. Con riferimento alle singole specialità, l’assistenza ospedaliera e la riabilitazione hanno chiuso il 2022 con risultato negativo, in misura più marcata per la seconda (-6% contro il -0,3%). La diagnostica, pur condividendo la contrazione degli utili, ha realizzato il maggior margine operativo netto (11,1%). Su questo settore gravano tuttavia le conseguenze del decreto del ministero della Salute del giugno 2023 che disciplina la nuova nomenclatura per l’assistenza specialistica ambulatoriale con tagli medi previsti sulle tariffe delle principali prestazioni attorno al 30%. L’entrata in vigore del decreto, inizialmente fissata nell’aprile 2024, è stata posticipata al gennaio 2025. L’ultima riga di conto economico aggregato dei 31 operatori è negativa per 38 milioni, portando a due il numero gli esercizi in rosso nel quadriennio (dopo i -53,9 milioni del 2020). Sono 14 i gruppi che hanno chiuso in perdita il 2022 (erano cinque nel 2021). Il margine sul capitale investito, già in riduzione dal 5,9% del 2019 al 4,1% del 2021, cala ulteriormente al -0,8% nel 2022. La migliore redditività netta è registrata da: Centro di medicina (22,2%), Humanitas (13,4%), Eurosanità (9,5%) e Ghc (8,3%) nell’assistenza ospedaliera, Synlab (39,2%) nella diagnostica e San Raffaele di Roma (36,3%) nella riabilitazione. Che ci sia un problema di efficienza complessiva del sistema è confermato dall’ultima parte dello studio. L’Italia spende meno degli altri grandi Paesi europei per la sua sanità pubblica in rapporto al suo prodotto interno lordo. Nel 2022, evidenzia Mediobanca, il nostro Paese ha speso il 6,8% del Pil, alle spalle di Spagna (7,3%), Regno Unito (9,3%), Francia (10,3%) e Germania (10,9%). Nel 2023, prosegue l’analisi, l’Italia si è attestata al 6,3% con la previsione di portarsi al 6,4% nel 2024. In valore assoluto la spesa si è attestata a 131,7 miliardi nel 2022 e, secondo i dati previsionali, scenderà a 131,1 miliardi nel 2023. Nel 2022 il 79% circa del valore complessivo è originato dalle strutture pubbliche e il 21% da quelle accreditate.
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