L’istituto di statistica ricalcola sia il Pil sia il deficit in conseguenza dei bonus fiscali per la casa. Disavanzo aumentato all’8%. Sono gli effetti del 110 per cento e dello sconto in fattura realizzato grazie alla cessione del credito. Arretra anche la crescita.Alla fine, è l’Istat a presentare il conto, ed è salato. L’istituto nazionale di statistica ha ricalcolato sia il Pil che il deficit in conseguenza dei bonus fiscali per la casa, e il risultato è un 8 per cento di disavanzo in più rispetto a quello calcolato negli anni 2020-2022. Per capire il disastro contabile realizzato da 5 stelle e Pd, basta dire che nel 2018, ai tempi del governo giallo-verde, Palazzo Chigi e Bruxelles si accapigliarono per questioni di decimali. Infatti, si trattava di stabilire se per rispettare il Patto di stabilità i conti pubblici dovessero fermarsi a un 2,5 per cento di deficit o potessero sforare fino al 3. Finì ovviamente che la Ue impose la linea del rigore e dei tagli di spesa, costringendo l’esecutivo a rifare i calcoli e tirare la cinghia. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti, perché l’alleanza tra Lega e 5 stelle è stata sostituita fino al 2021 da quella tra grillini e compagni. Ufficialmente Giuseppe Conte, Matteo Renzi e Nicola Zingaretti si intestarono la difesa della legislatura con il compito di preservare i conti pubblici, impedendo un aumento della tassazione e un eccesso di spesa. Con quali risultati ora si sa. Nel 2020, a seguito dell’epidemia di Covid, e nel 2021 e 2022, in conseguenza dei vari ecobonus con la cessione del credito fiscale, il governo giallorosso, invece di salvare i conti dello Stato li ha affossati.Lo dimostra l’Istat, che ha ritoccato al ribasso tutte le cifre. Ancora un mese fa, le stime sull’andamento del 2022 erano ottimistiche, ma una volta tirate le somme, l’istituto di statistica corregge il tiro. E non di poco. Invece di una crescita che sfiorava il 3 per cento, siamo al 2,7, con addirittura alcuni settori, tra questi l’agricoltura, che arretrano, calando su base annua dell’1,8. Ma più del Pil è il ricalcolo del deficit a pesare. Infatti, a differenza delle stime contenute nella nota di aggiornamento del documento di economia e finanza (vale a dire il bilancio di previsione dello Stato), il deficit del 2022 si attesta in rapporto al Pil all’8 per cento, contro il 5,6 previsto. Tutto merito del superbonus, che se fosse stato spesato quest’anno, cioè con il governo Meloni, avrebbe costretto l’esecutivo ad annullare qualsiasi misura a carico del bilancio dello Stato, per evitare di far scattare gli allarmi di Bruxelles e i provvedimenti conseguenti. Infatti, con un deficit all’8 per cento si rischia una stangata. A essere ricalcolato non è solo il deficit dello scorso anno, ma pure quello dei precedenti. Infatti, sempre per effetto del superbonus, il disavanzo è stato rivisto al rialzo, di uno 0,2 nel 2020, dell’1,8 nel 2021, quando si sono cominciati a toccare con mano i primi effetti del 110 per cento e dello sconto in fattura realizzato grazie alla cessione del credito. Risultato, rispetto al 7,2 per cento stimato, il deficit di due anni prima sale al 9 per cento. A leggere queste cifre, tornano in mente le parole di Giuseppe Conte, il quale, per raccattare qualche voto nella scorsa campagna elettorale, ha battuto le piazze dicendo che grazie a lui e ai grillini gli italiani potevano ristrutturare le case «gratuitamente». Una sera, a Zona bianca, il programma condotto su Rete 4 da Giuseppe Brindisi, è andato in onda un servizio che metteva insieme tutte le volte che l’ex presidente del Consiglio e attuale capo dei grillini, a proposito del super bonus aveva pronunciato la parola «gratuitamente». Come sa qualsiasi persona con un minimo di esperienza, trattandosi di soldi pubblici, niente poteva essere gratuito, perché ciò che lo Stato spende è finanziato con il denaro delle tasse, cioè dei contribuenti.La misura voluta dai 5 Stelle è costata agli italiani 120 miliardi di euro di crediti fiscali che, come ha spiegato Giacomo Ricotti, il capo del servizio fiscale della Banca d’Italia, solo in parte sono stati sostenuti da un aumento del Pil e di conseguenza delle imposte incassate dallo Stato. Alcune decine di miliardi (si parla di 35-40) sono il buco generato nei conti pubblici. L’Italia è stata messa davanti a un bivio dall’agenzia statistica europea (ossia quella che certifica i bilanci dello Stato e sulla base dei quali Bruxelles prende le decisioni e avvia le sanzioni). O iscrivere i 120 miliardi di crediti nei conti degli anni in cui sono stati generati, oppure calcolarli in quello del 2023 e nei successivi. Una cosa era certa: per la Ue, la cessione di un titolo «pagabile», anche se sotto forma di credito, non poteva non essere iscritta nella contabilità dello Stato. Risultato, il gioco delle tre tavolette con cui i grillini sono riusciti a conservare una parte del consenso guadagnato nel 2018, è stato svelato per quel che era: un trucco. Al pari del Reddito di cittadinanza, il 110 per cento e lo sconto in fattura non sono gratis. Alla fine, c’è sempre qualcuno che paga. E questi sono gli italiani onesti che versano le tasse e non sono a caccia di furbizie.
Il tocco è il copricapo che viene indossato insieme alla toga (Imagoeconomica)
La nuova legge sulla violenza sessuale poggia su presupposti inquietanti: anziché dimostrare gli abusi, sarà l’imputato in aula a dover certificare di aver ricevuto il consenso al rapporto. Muove tutto da un pregiudizio grave: ogni uomo è un molestatore.
Una legge non è mai tanto cattiva da non poter essere peggiorata in via interpretativa. Questo sembra essere il destino al quale, stando a taluni, autorevoli commenti comparsi sulla stampa, appare destinata la legge attualmente in discussione alla Camera dei deputati, recante quella che dovrebbe diventare la nuova formulazione del reato di violenza sessuale, previsto dall’articolo 609 bis del codice penale. Come già illustrato nel precedente articolo comparso sulla Verità del 18 novembre scorso, essa si differenzia dalla precedente formulazione essenzialmente per il fatto che viene ad essere definita e punita come violenza sessuale non più soltanto quella di chi, a fini sessuali, adoperi violenza, minaccia, inganno, o abusi della sua autorità o delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa (come stabilito dall’articolo 609 bis nel testo attualmente vigente), ma anche, ed in primo luogo, quella che consista soltanto nel compimento di atti sessuali «senza il consenso libero e attuale» del partner.
Tampone Covid (iStock)
Stefano Merler in commissione confessa di aver ricevuto dati sul Covid a dicembre del 2019: forse, ammette, serrando prima la Bergamasca avremmo evitato il lockdown nazionale. E incalzato da Claudio Borghi sulle previsioni errate dice: «Le mie erano stime, colpa della stampa».
Zero tituli. Forse proprio zero no, visto il «curriculum ragguardevole» evocato (per carità di patria) dall’onorevole Alberto Bagnai della Lega; ma uno dei piccoli-grandi dettagli usciti dall’audizione di Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler in commissione Covid è che questo custode dei big data, colui che in pandemia ha fornito ai governi di Giuseppe Conte e Mario Draghi le cosiddette «pezze d’appoggio» per poter chiudere il Paese e imporre le misure più draconiane di tutto l’emisfero occidentale, non era un clinico né un epidemiologo, né un accademico di ruolo.
La Marina colombiana ha cominciato il recupero del contenuto della stiva del galeone spagnolo «San José», affondato dagli inglesi nel 1708. Il tesoro sul fondo del mare è stimato in svariati miliardi di dollari, che il governo di Bogotà rivendica. Il video delle operazioni subacquee e la storia della nave.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Manifestazione ex Ilva (Ansa)
Ok del cdm al decreto che autorizza la società siderurgica a usare i fondi del prestito: 108 milioni per la continuità degli impianti. Altri 20 a sostegno dei 1.550 che evitano la Cig. Lavoratori in protesta: blocchi e occupazioni. Il 28 novembre Adolfo Urso vede i sindacati.
Proteste, manifestazioni, occupazioni di fabbriche, blocchi stradali, annunci di scioperi. La questione ex Ilva surriscalda il primo freddo invernale. Da Genova a Taranto i sindacati dei metalmeccanici hanno organizzato sit-in per chiedere che il governo faccia qualcosa per evitare la chiusura della società. E il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al nuovo decreto sull’acciaieria più martoriata d’Italia, che autorizza l’utilizzo dei 108 milioni di euro residui dall’ultimo prestito ponte e stanzia 20 milioni per il 2025 e il 2026.






