2020-01-06
Vincenzo Santo: «Iran e Libia, l’Italia si deve muovere»
Il generale di corpo d'armata: «Teheran prepara attacchi terroristici. Nel Nordafrica bisogna contrastare l'imperialismo di Erdogan che si pone come riferimento dei sunniti. Gravissimo errore non sostenere Haftar».Vincenzo Santo è generale di corpo d'armata e nella sua lunga e prestigiosa carriera è stato tra l'altro capo di stato maggiore del comando Nato (Isaf e Rs) a Kabul. La Verità lo ha intervistato per ragionare sugli sviluppi della situazione in Libia, sui concreti scenari che possono determinarsi, e sulle immediate conseguenze per l'Italia. E il generale Santo ha risposto indicando in modo puntuale soluzioni da mettere immediatamente in campo. Abbiamo letto molte macroanalisi geopolitiche, ma forse è il momento di «mettere a terra» il dibattito. Non ha l'impressione che la discussione sia stata un po' teorica e astratta?«Purtroppo, non è una novità per noi italiani. Ci si affida troppo spesso a “grida d'aiuto" verso l'Europa o verso altri, ma manca la parte del “che fare", quella che Riccardo Ruggeri definirebbe l'“execution". Ovviamente l'analisi geopolitica, e l'esame dei fattori geografici, storici e strategici, sono cose importantissime. Ma a patto di arrivare a una sintesi finale». Allora cominciamo con quello che bisognerebbe non fare.«Per esempio, finire di dire frasi vuote, dichiarazioni irrealistiche e stupidaggini del tipo che la soluzione non può che essere politica (cioè diplomatica e non militare) o idealizzare un processo di stabilizzazione inclusivo, inter-libico e così via».Lei è stato il primo a parlare di interdizione marittima, cioè qualcosa di più ampio e strutturato di un blocco navale. È il momento di attuare questa strategia? «Bisogna rendersi conto di cosa vuole fare Erdogan, che è già diventato pericoloso per i nostri interessi nazionali nel Mediterraneo. Se avessimo fatto per tempo l'interdizione marittima, oggi sarebbe più agevole passare al blocco navale. Ma è quello che va fatto: so che il blocco è un atto forte, mi rendo conto dei rischi. Ma è più rischioso non far nulla e stare a guardare».Esaminiamo gli scenari possibili. Ricordiamo che dietro Al Serraj c'è la Turchia di Erdogan e dietro il generale Haftar una realtà composita: Russia, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Egitto. Che succede se prevale Erdogan?«Non penso che l'appoggio turco ad Al Serraj porterà alla risoluzione del conflitto a favore di quel fronte. L'altro blocco ha probabilmente maggiori risorse e, tramite l'Egitto, può anche operare per linee interne. Ma, ove accadesse, ove cioè Erdogan prevalesse, non c'è dubbio che l'Italia sarebbe fuori dalla Libia. Per Erdogan la Libia è una sorta di ultima spiaggia per porsi come riferimento del mondo sunnita: ci aveva già provato durante le cosiddette primavere arabe, in Tunisia, in Egitto e nella stessa Libia».Si ha la sensazione di una strategia neo-ottomana di Erdogan: premere sull'Europa, forte presenza nei Balcani, e ora un immenso protagonismo nel Mediterraneo e in Nord Africa. Com'è possibile che gli sia stato lasciato così tanto spazio e che l'Europa si sia fatta ricattare e accerchiare così?«La politica estera europea non esiste. La stupidità sta proprio nel fatto che molti invochino un'Europa che non ha una sua linea comune né potrà averla in ragione dei diversi interessi nazionali».Erdogan ha deciso l'invio di truppe. Realisticamente, saranno mercenari jihadisti o qualcosa del genere. Non è molto rassicurante, mi sbaglio?«Ci saranno anche truppe regolari, ma è immaginabile che ci sia anche una forte componente di quel tipo. E la cosa sarebbe un altro punto a favore di Haftar, che potrebbe dire: “Dobbiamo cacciare i terroristi"».Ulteriore scenario. Immaginiamo che, nel tradizionale saliscendi dei rapporti tra Turchia e Russia, Putin e Erdogan si accordino, trovino una specie di pax. È possibile che gli Usa di Trump, non potendo o non volendo occuparsi di tutto, favoriscano questo tipo di supercondominio in una logica di stabilizzazione? Ciò creerebbe stabilità, ma tutti gli altri non toccherebbero più palla.«Questo “condominio" lo vedo complesso. Non vedo rose e fiori tra Turchia e Usa, e nemmeno un grande afflato - in questo momento - tra Erdogan e Putin. Tra loro, visto che entrambi hanno interesse al Mediterraneo, vedo più conflittualità che possibilità di intesa. E ritengo ora Putin più vicino a noi che non Erdogan».E se prevale Haftar?«Saremmo in affanno anche in questo caso. Purtroppo, non lo abbiamo mai appoggiato. Mi sfugge come, dopo le mosse di Erdogan pro Al Serraj, non si sia fatto nulla, a parte vuote condanne verbali».È stata una follia farci trascinare (soprattutto da Parigi) nell'avventura del 2011. Nessun rimpianto per il dittatore Gheddafi, ma quello che è venuto dopo è stato un caos fuori controllo.«Non c'è alcun dubbio al riguardo». Dopo l'operazione con cui gli Usa hanno fatto fuori il mastermind dei pasdaran iraniani Soleimani, lo scenario cambia? Teme un'ondata di attentati, sequestri di navi, azioni mirate come vendetta iraniana?«Occorre chiedersi che cosa interessi davvero all'Iran. A mio avviso, a Teheran interessa perseguire il proprio status nucleare, e si concentreranno su questo, strategicamente. Hanno una diversa valutazione del fattore tempo, e non credo abbiano interesse a intraprendere un conflitto regionale su larga scala, le cui evoluzioni sarebbero poi imprevedibili. Naturalmente, però, nell'immediato c'è da temere attacchi mirati secondo uno spettro terroristico: contro petroliere, o contro impianti di raffinazione. C'è in particolare da tenere sotto osservazione lo Stretto di Hormuz. E gli attacchi potrebbero anche arrivare con componenti di tipo “proxy", quindi ad esempio tramite Hezbollah. Ampia scelta nel settore…». Che cosa suggerisce a proposito dei militari italiani in Iraq, Libano, Libia? Chiaramente ora le missioni si faranno ancora più delicate.«Questo è il lavoro di noi militari. Ma più che parlare solo dei contingenti militari, occorre tenere presente gli interessi complessivi del sistema nazione».Torniamo alla Libia. Se lei dovesse dare un consiglio ai decisori, in una specie di report sintetico per il governo sulle cose da fare ora (nonostante gli errori e le mancanze del passato), che cosa scriverebbe? «Intanto ci manca uno strumento fondamentale, di cui si è dotato pure l'Afghanistan: un National security council con un suo advisor, che esamini le situazioni per tempo. Prevedere è potere». Sacrosanto. Veniamo all'immediato.«Sul piano politico e diplomatico, occorre denunciare l'impiego di estremisti islamici da parte di Al Serraj per il tramite turco. E accusare Al Serraj di aver infranto le regole internazionali (avendo trattato con Erdogan l'estensione delle loro due Zone economiche esclusive), significando quindi che ha perso il supporto internazionale. La finestra diplomatica è quindi al momento chiusa: e l'ha fatto Erdogan, la cui fretta sta anche nel rendere vano l'incontro di Berlino a metà gennaio. Nelle relazioni internazionali ci si può anche arrabbiare, che diamine!».Subito dopo?«Ritirare urgentemente il personale (il resto se lo tengano pure) della delegazione diplomatica di Tripoli e della Missione bilaterale di assistenza e supporto in Libia».Quindi rimpatrio immediato dei nostri 400 uomini.«Non si fa politica estera con gli ospedali da campo o guardando le dighe».Passiamo alla parte «offensiva».«Occorre passare decisamente ad appoggiare Haftar e fornirgli armi e mezzi in abbondanza. Schierare urgentemente un blocco navale al largo delle coste tripoline anche a difesa delle installazioni offshore dell'Eni, nonché disporre la sicurezza militare agli assetti della stessa Eni al largo di Cipro».Quindi blocco navale e messa in sicurezza degli impianti Eni?«Non solo. Attuare una “no fly zone" nell'area di Tripoli. Schierare urgentemente almeno una brigata “rinforzata" (o di più) a difesa delle installazioni onshore sempre dell'Eni, passando anche per la Tunisia e per l'Algeria se serve, e qui sta l'azione diplomatica».Se capisco bene, il suo messaggio all'Eni è di non affidarsi ai contractor per la sicurezza.«Esatto». Blocco navale, «no fly zone», messa in sicurezza degli impianti Eni. Finalmente sentiamo cose concrete nel dibattito di queste settimane.«Ma abbiamo costruito tutto un sistema aeronavale per fare cosa, altrimenti? Per accogliere gli immigrati?».La sua è una strategia coraggiosa.«Ci vorrebbe coraggio, certo, ma il rischio di perdere la nostra “naturale" proiezione geopolitica nel Mediterraneo comporta - appunto - molto coraggio, e naturalmente alti potranno essere i costi. Del resto, se davvero vogliamo pensare di chiudere quel conflitto, dobbiamo abbandonare Al Serraj e fare in modo che Haftar chiuda la partita in fretta e, allo stesso tempo, dare un decisivo segnale a Erdogan e alla sua insolenza che sulla nostra sponda meridionale non deve entrare. Anche a costo di “farci del male a vicenda"».