2022-02-14
Saverio Cinti: «Così ho scoperto il segreto del Covid»
Il professore che ha individuato l’origine delle polmoniti: «Gli alveoli vengono soffocati da cumuli di grassi. Ai malati vanno dati antinfiammatori prima ancora che sia effettuato il tampone. Inutile perdere tempo».Il professor Saverio Cinti, dell’Università Politecnica delle Marche, è fresco di una scoperta importante per la lotta al coronavirus: ha coordinato l’équipe che, con la collaborazione degli atenei di Milano e di Nizza, ha individuato il processo alla base delle polmoniti interstiziali bilateriali da Covid. I risultati dello studio sono stati pubblicati sull’International journal of obesity. Un passo in avanti - targato quasi interamente Italia - indispensabile non soltanto ai fini della comprensione della patologia che ha messo in ginocchio il mondo, ma altresì degli approcci terapeutici più indicati. Un aspetto che, in questi due anni, è stato spesso sottovalutato. Professore, avete trovato la causa delle temute polmoniti?«Alcuni suoi colleghi dei media hanno un po’ esagerato nelle titolazioni: più che la causa, abbiamo individuato aspetti istopatologici che suggeriscono un possibile meccanismo alla base di quelle polmoniti».Ci racconti tutto.«Già nel 2020, avevamo pubblicato una nostra osservazione: avevamo visto grossi vacuoli lipidici all’interno delle biopsie polmonari di due soggetti morti per Covid».Che interpretazione avevate dato?«Immediatamente avevamo pensato che fosse coinvolto il grasso viscerale».Cos’è il grasso viscerale?«Il grasso del ventre. La tipica pancetta dell’uomo».La «trippa».«Proprio così. Sapevamo che il grasso è affetto da un’infiammazione dovuta al fatto che le cellule adipose obese muoiono. Quando muoiono, arrivano i macrofagi, gli “spazzini” che devono togliere i residui di queste cellule morte dai tessuti. E ciò determina l’infiammazione. Allora, siamo passati a esaminare il grasso di 19 soggetti morti per Covid e 23 morti per altre cause, come gruppo di controllo».Con quai risultati?«Innanzitutto, abbiamo riscontrato che, a livello di indice di massa corporea, sia i soggetti morti per Covid, sia quelli morti per altre cause, erano paragonabili. Non è che i primi fossero più obesi degli altri. E anche la dimensione delle cellule adipose era simile». Però?«Nonostante questo, nel grasso dei soggetti Covid, il numero di macrofagi, quindi il grado d’infiammazione, era addirittura doppio. Questo faceva pensare che la morte degli adipociti, in quei soggetti, fosse molto più frequente. E in effetti, usando il microscopio elettronico, abbiamo verificato che c’erano molti residui di cellule adipose morte. Vacuoli lipidici, grasso isolato, che abbiamo trovato negli interstizi, a livello delle cellule endoteliali, addirittura all’interno dei capillari».E questo cosa significa?«Era il segnale che i vacuoli andavano a formare delle embolie lipidiche».Chiaro. «Non avendo potuto individuare il virus nel grasso dei soggetti Covid, credo per ragioni tecniche, abbiamo infettato cellule adipose umane in coltura, in collaborazione con l’Università di Nizza, dove sono superesperti di questo tipo di cellule in vitro».Riscontri?«La cellula adiposa, appunto, s’infettava, moriva prima di quella non infettata e, soprattutto si “delipidava”».Che significa?«Che buttava fuori i lipidi: un elemento coerente con il fatto che noi li vedevamo insinuarsi nei vasi fino dentro i sanguigni. A questo punto, siamo andati a studiare il polmone».Non ci dica: c’erano tracce di grasso.«C’erano grossi vacuoli lipidici a tutti i livelli polmonari: vasi sanguigni, alveoli, interstizio. Ciò confermava che si verificano embolie polmonari dovute al grasso. Ma c’è stata un’altra osservazione interessante: le membrane ialine erano positive per il colorante tipico del grasso».Oddio. Questo ce le deve spiegare in parole più semplici.«È già semplice, in realtà. Per essere sicuri della presenza di vacuoli lipidici, abbiamo usato una tecnica istochimica rinomata per evidenziarli in rosso: un reagente specifico che colora il grasso. Così, abbiamo visto che diventavano rosse anche le membrane ialine».Ma cosa sono le membrane ialine?«Sono una struttura membranosa appiattita, che si dispone sulla superficie degli alveoli. Era ben noto che nel polmone dei soggetti Covid si formassero le membrane ialine: sono le responsabili delle difficoltà respiratorie di quei pazienti».Come se si applicasse una busta di plastica per «soffocare» l’alveolo?«È così: non passa l’ossigeno e non si respira più».Perché l’alveolo è responsabile dello scambio gassoso con il sangue, giusto?«Esatto. Dentro l’alveolo c’è l’ossigeno, nel setto alveolare passano i vasi, che quindi prendono l’ossigeno dall’alveolo. Se si forma sulla superficie dell’alveolo questa membrana, s’interrompe il passaggio».Sta qui la novità della vostra ricerca?«Il ruolo delle membrane ialine, come le dicevo, era già noto; solo che tutti si chiedevano da dove venissero. Il fatto che noi abbiamo evidenziato che queste membrane siano positive al colorante per il grasso - e che, di grasso, abbiamo riscontrato la presenza con il microscopio elettronico - offre una spiegazione: le membrane potrebbero derivare dalle embolie lipidiche. E c’è anche un altro indizio».Quale?«Il sangue venoso che viene dal grasso addominale passa attraverso il fegato, prima di entrare nella circolazione generale».E quindi? «Abbiamo osservato anche il fegato e abbiamo riscontrato pure lì embolie lipidiche. Insomma, tutto concorre a far pensare che il meccanismo patogenetico sia questo: la cellula muore, il residuo adiposo va nel sangue, passa attraverso il fegato e infine arriva ai polmoni».Bisogna dedurne che gli obesi sono più a rischio?«Certamente, perché hanno già un’infiammazione, cui si sovrappone un’infiammazione ulteriore, dimostrata dal raddoppio delle cellule “spazzino”, i macrofagi. E, dunque, da una maggiore quantità di cellule morte, che sono la sorgente dei vacuoli lipidici, che passano nel sangue e vanno a finire nel polmone».Il meccanismo patogenetico cambia in base alle varianti? Ad esempio, ora che domina Omicron, che comunque pare meno capace di aggredire i polmoni?«Il meccanismo non dovrebbe cambiare a seconda delle varianti, ma questo va verificato sul campo. Noi, ovviamente, abbiamo studiato soggetti infettati nel 2020».Avete trattato campioni di pazienti deceduti. Soprattutto nella prima fase dell’emergenza Covid, era sorta una polemica sul divieto di svolgere autopsie. Sono importanti?«Sempre, sempre, sempre. Ce lo insegnò già nel Settecento il grande Giovanni Battista Morgagni: se si vuol capire una malattia, bisogna fare l’autopsia e stabilire quale organo è ammalato».Perché, allora, non si facevano le autopsie?«Ipotizzo: per il timore di eventuali contagi. Ma non ho elementi per risponderle con certezza».Dal suo studio, quali indicazioni terapeutiche si possono trarre?«La causa di tutto sembra essere l’infiammazione del grasso addominale. Quindi, è necessario trattare il paziente con antinfiammatori liposolubili, che preferenzialmente vanno a finire nel grasso. E vanno somministrati precocemente, immediatamente».Cosa intende, con «immediatamente»?«Se un paziente ha la febbre ed è un po’ sovrappeso, andrebbero somministrati il giorno stesso in cui si manifestano i sintomi».Quindi, prima del tampone?«Sì: potrebbe passare qualche giorno prima del risultato. Perché aspettare, se ho sintomi da Covid? Non costa niente prendere una pasticca di antinfiammatorio lipofilo».Autonomamente?«Il fai da te, mai: si contatta il medico. E poi bisogna evitare terapie generalizzate: ogni paziente va valutato singolarmente: ci sono farmaci altamente lipofili, che però sono controindicati in soggetti che, ad esempio, soffrono di gastrite».A livello nazionale, però, esiste un protocollo, tutt’altro che individualizzato.«Non è un protocollo, è un suggerimento».Lasciamo stare la vigile attesa. Il paracetamolo è utile?«Non è tra i farmaci più lipofili. Io ne prenderei altri».Perché in Italia abbiamo tanti morti? Li contiamo male, o li curiamo male?«È una bella domanda. Ma su questo, so solo quello che sento in tv».Si può affermare che, se non si cura un paziente precocemente, si aumenta il rischio di un esito fatale della malattia?«Assolutamente sì. La terapia precoce è fondamentale e, in questo, ha un ruolo essenziale il medico di famiglia. Adesso, conoscere meglio i meccanismi patogenetici ci aiuta a capire come intervenire più efficacemente».
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