2022-06-06
Raffaello Lupi: «La riforma fiscale è solo apparenza»
Il tributarista: «Tutta una farsa per far vedere all’Europa che fai qualcosa. L’Agenzia delle entrate non vuole combattere davvero l’evasione, colpiscono la grande azienda ma non vanno a scovare chi non è conosciuto».Diciannove milioni di evasori candidati, non lo dice espressamente, ma lo fa intendere, dal direttore dell’Agenzia dell’entrate Ernesto Maria Ruffini ai «lavori forzati» per ripagare il loro debito con la collettività. C’è aria di patrimoniale. La chiedono da Maurizio Landini (Cgil) per mettere più soldi in tasca ai lavoratori, all’Europa che insiste perché l’Italia, magari via riforma del catasto, si dia una mossa per ripagare i debiti. Strano Paese il nostro, che s’indigna evadendo contro gli evasori, ma ha avuto come primo presidente della Repubblica Luigi Einaudi che sosteneva nelle sue non casualmente intitolate Prediche inutili: «La frode fiscale non potrà essere davvero considerata alla stregua degli altri reati finché le leggi tributarie rimarranno, quali sono, vessatorie e pesantissime e finché le sottili arti della frode rimarranno l’unica arma di difesa del contribuente contro le esorbitanze del fisco». C’è bisogno di capirci qualcosa e allora andiamo alla fonte: Raffaello Lupi, ordinario di diritto tributario all’università di Tor Vergata, uno che dà del «te» (le sue utilissime prediche sono in romanesco) ai numeri e al diritto e ha idee eretiche sulle tasse. Le ha messe giù in due recenti libri di eccelso spessore intellettuale: Manuale di evasione fiscale (Castelvecchi) e La funzione amministrativa dell’imposizione (Lgs editore).Allora, tra Einaudi e Ruffini chi ha ragione?«Forse più Einaudi di Ruffini: in Italia le leggi tributarie sono troppe e fatte male. Quanto all’Agenzia delle entrate non fa proprio nulla, lo sanno anche loro, e poi fanno i proclami sull’evasione, ma sono parole al vento».Come non fa nulla?«I famosi 110 miliardi evasi sono probabilmente molti di più. Ma loro non vanno a colpire l’evasione di massa: non è proficuo. Una gran parte di questa evasione è fatta da chi lavora in nero, da quelli che a Roma si chiamano i bangladini (gestori dei piccoli empori di quartiere quasi tutti bangladesi o pakistani ndr), dai fisioterapisti in nero, dalle badanti, dagli ambulanti che neanche prendono la partita Iva, dai cassintegrati che arrotondando, da quelli con il reddito di cittadinanza che fanno qualche ora qua e là. Presi singolarmente evadono poco, ma se moltiplichi 2.000 o 3.000 euro all’anno tra Iva non versata, Irpef che non è neanche la voce più rilevante di evasione, tasse comunali e imposte regionali, fai presto a fare i miliardi. E poi c’è un’altra evasione più sofisticata. Il professionista che dichiara 100.000 euro, mica vorrai andare a chiedergli altro? Ecco quello magari ne fa altrettanti in nero».E allora da chi vanno?«Da chi ha un domicilio visibile, da chi già conoscono. Vanno dal pasticcere, gli fanno i conti e gli dicono: mica ci vorrai far credere che lavori per questa miseria? Scatta l’accertamento e quello paga. Non lo puoi fare con l’idraulico che non ha il domicilio fisso. Quello contratta direttamente con la casalinga, la partita Iva manco ce l’ha. Quando fa il lavoro grosso - vedi il 110% - s’affida a un altro che può fatturare. Ma si può pretendere che una signora che cambia un rubinetto diventi sostituto d’imposta?».È questo che ci obbliga ad avere il commercialista?«Perché hanno lavorato sul concetto di esportazione della ragioneria. È come l’esportazione della democrazia: ci vogliono far diventare virtuosi per legge. Ci sono attività che non avrebbero nessun bisogno della contabilità, basterebbe che gli uffici pubblici lavorassero. Ma imponi una tassa occulta che è la parcella del commercialista perché così lui è costretto a diventare sostituto d’imposta. Le tasse lo stato le riscuote delegando ad altri. Si affida alle organizzazioni complesse e per questo preferisce i dipendenti. Le grandi aziende hanno una loro contabilità e loro gestiscono le imposte per contro dello Stato. Difficilissimo che facciano il nero. Questo modello lo applicano anche al piccolo artigiano che si sente perciò vessato». Per esempio?«La follia assoluta è il cashback. Hanno la fissa della tracciabilità e buttano via miliardi. Sono pieni d’informazioni, s’inventano il grande fratello fiscale, ma hanno risolto con la tassazione attraverso le aziende. Vanno da Netflix scomodando addirittura il procuratore della Repubblica per fare azioni dimostrative e recuperano un po’ di quattrini. Ma nessuno che controlli come fa il titolare di un’azienda che ha 100.000 euro di compenso amministratore, perfettamente dichiarati, a ripianare la società versando dal suo conto 4 o 5 milioni. Dove li ha presi?».Così il fisco perde quasi tutti i ricorsi. Per voi tributaristi è una pacchia…«Macché pacchia! I soldi si facevano con le elusioni interpretative, oggi con gli incroci e le fatture elettroniche c’è poco lavoro. I contenziosi sono al 70% sotto i 5.000 euro. E quelli il fisco li perde tutti. Quelli grossi invece li vince. Ma la statistica falsata come quella sulle dichiarazioni dei redditi dice che l’erario perde metà delle cause».Che statistica è quella delle dichiarazioni dei redditi?«La storia che solo il 4% di contribuenti supera i 100.000 euro. Se conti tutte le dichiarazioni - sono 40 milioni - escono quelle percentuali, ma metà sono a zero imposte. Sei costretto a fare la dichiarazione anche per un campo abbandonato che non ti rende nulla».La patrimoniale scatterà o no?«In Italia la patrimoniale c’è già. L’Imu cuba 20 miliardi. Non devi tassare i patrimoni, ma la rendita che dal patrimonio si ricava. Questo però significherebbe tassare anche le rendite finanziare generate dallo Stato con i Bot. Hanno introdotto la follia della dual tax per cui i redditi da patrimonio pagano meno dei redditi da lavoro…».Dunque la riforma fiscale è sbagliata?«È la montagna che partorisce il topolino, è uguale a quella del 2014, è una farsa per far vedere che fai qualcosa. Tutta la politica sarebbe contentissima di lasciare le cose come stanno anche perché sanno che nel Paese c’è un malessere fiscale. E allora fanno delle aggiustatine: la flat tax, le aliquote. Qui va corretta la progressività e la tassazione sul lavoro. Detassano gli straordinari per metterci una pezza; è lo Stato che legalizza il lavoro nero». Le tasse in Italia non sono troppo?«Non sono le aliquote troppo alte: è che gli italiani non se le possono più permettere. Irpef, Imu, contributi sono percepiti come imposizione: se incassa 80.000 euro, gliene restano 40.000 e a denunciarli fa anche un figurone. Abbiamo un’economia a bassa intensità di valore aggiunto e applichiamo ancora la riforma fiscale del ’73 quando avevamo un’economia chiusa. La globalizzazione ci ha impoverito e questo sistema fiscale ora è troppo gravoso».Il che giustifica l’evasione di sopravvivenza?«Spesso nell’evasione di sopravvivenza c’è anche la Porsche, o il mese a Cortina». Però c’è stato chi ha fatto i manifesti: ora anche i ricchi piangono…«La sinistra ha sostituito la lotta di classe con la lotta agli evasori e c’è sicuramente un pregiudizio verso gli autonomi e le partite Iva. Gli 80 euro di Matteo Renzi sono una manifestazione di questo pregiudizio. Ho intitolato uno dei capitoli del mio libretto: il razzismo sociale delle spiegazioni moralistico-pedagogiche. C’è l’immagine dei “contribuenti disonesti”, degli “evasori congeniti”, una specie di nemici del popolo. Quest’idea lombrosiana di evasore per tendenza è ispirata anche a strumentalizzazioni politiche, dove il non dipendente, il piccolo commerciante, l’artigiano o imprenditore che sia, per lunghi anni è stato visto come un deviante, almeno potenziale, rispetto al modello operaio-impiegatizio. La cultura che colpevolizzava i datori di lavoro in quanto “sfruttatori” si ripresenta con la diversa colpevolizzazione in quanto “evasori”». Ma è vero che gran parte dell’evasione sta al Sud?«Nel Meridione mancano le grandi fabbriche, le grandi organizzazioni attraverso le quali lo Stato si fa pagare e c’è un’economia che gira attorno al nero. Bisogna però chiedersi cosa succederebbe gravando su questa economia». Con i bonus e il reddito di cittadinanza si è cercato di cogliere questa esigenza di sussistenza?«I bonus sono tossici. Alla fine produrranno un inasprimento fiscale. Dovrebbero essere selettivi. Siccome la politica pensa al consenso immediato, crea il cashback e il 110%. Ma quel 110% se ne va in materiali prodotti in Cina e in stipendi dei manovali rumeni. Alla fine a noi non resta nulla. È un Pil drogato quello che emerge». Allora avrebbe senso il federalismo fiscale?«Se intendiamo un’autonomia differenziata con forte capacità impositiva attribuita alle Regioni con possibilità di accertamento, sicuramente sì. Ne avrebbero vantaggio soprattutto le regioni del Sud a condizione di mantenere comunque una solidarietà fiscale nazionale».In ultimo si dovrebbe arrivare al fisco amico?«Dovremmo fare più controlli valutativi e meno accertamenti. Sarei per l’abolizione del processo tributario perché una stima più calzante dell’evasione dovrebbe basarsi sul confronto settoriale, associando natura e dimensioni delle attività economiche con il gettito che se ne ritrae, sui consumi, sui redditi dei dipendenti, dei titolari e delle stesse imprese. Così si fa un fisco moderno. Non importa che sia amico, importa che sia equo».
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