2022-02-21
Mario Arpino: «Nessuno vuole morire per l’Ucraina»
Il generale: «Gli Stati Uniti non verranno a combattere per il Donbass, Putin lo ha capito e si accontenterebbe di salvare la faccia. Joe Biden? È un presidente poco lungimirante. Oggi quando gli Usa parlano, tutti ridono».Sospesi, «tra gli scacchi e il poker». Per il generale Mario Arpino, già capo di Stato maggiore dell’Aeronautica e capo di Stato maggiore della Difesa, la partita ucraina è un affare a due: «Da un lato, un giocatore poco abile e scarsamente lungimirante, che però non ha alcuna intenzione di cedere; dall’altro, un attore poco incline ai colpi di testa, che ha deciso di alzare la posta nell’errata convinzione di risolvere tutto in poco tempo. La cosa è degenerata a tal punto che nessuno dei due sa esattamente cosa fare». Generale Arpino, in Ucraina è un susseguirsi di accuse reciproche, provocazioni, attacchi dati per imminenti e falsi incidenti. L’invasione russa ci sarà?«Credo che nessuno abbia una seria intenzione di attaccare. Anzi, probabilmente nessuno ha mai avuto voglia di farlo». Eppure, i bombardamenti non si fermano, le fonti dei servizi di emergenza descrivono le operazioni di evacuazione dei civili dalle zone più calde della crisi.«Piano piano, il gioco degli scacchi sta lasciando spazio al poker. Uno dei due giocatori sta provando ad assumersi dei rischi maggiori, con l’eventualità di ritrovarsi incagliato nella tela che lui stesso ha tessuto». Perché Vladimir Putin ha deciso di alzare la posta?«Fin dall’inizio, Putin ha capito che un democratico alla Casa Bianca può essere l’occasione per porsi al centro dell’attenzione». Viene considerato se minaccia, muove truppe e carri armati?«Questa sfilata di capi di Stato verso Mosca non ci sarebbe stata, altrimenti. Joe Biden sta erodendo la credibilità degli Stati Uniti, è una situazione pericolosa. Putin ha sfruttato l’occasione, con l’obiettivo di tornare a dialogare su posizioni forti. Ha pensato che il presidente statunitense, debole e ideologico, avrebbe ceduto, ma non è andata così». Un cul de sac, insomma. Come se ne esce, secondo lei?«In Ucraina c’è una situazione di stallo, totale e pericolosa. Ciascuno dei due rischia di fare qualcosa di non voluto, ma non lo farà. Nessuno ha intenzione di farlo. Provando ad azzardare un paragone, mi sembra una situazione simile a quella vissuta nel 1962, con la crisi dei missili a Cuba. Anche allora, siamo stati sull’orlo della guerra. A parti invertite, gli Stati Uniti non avevano alcuna intenzione di ritrovarsi i missili sovietici a poche miglia dalla Florida, i russi volevano dare una dimostrazione di forza per spingere gli americani a ritirare i Jupiter sul territorio europeo. Si è arrivati a un accordo palese e a uno parallelo, segreto». Secondo alcuni analisti, proprio la mancanza dei «canali nascosti» starebbe complicando la svolta diplomatica. «Nessuno intende perdere la faccia. Credo che si arriverà a un sistema di accordi per risolvere la crisi: magari attraverso una serie di finti incidenti, non così gravi da far scoppiare la guerra, ma sufficientemente preoccupanti da accelerare le decisioni». Pensa al danneggiamento di infrastrutture civili, come l’asilo bombardato nell’Ucraina dell’est?«Per esempio. Putin ha un grosso problema interno: una parte della popolazione, soprattutto quella affamata dalle sanzioni, gli si sta rivoltando contro. Molti guardano a occidente, esattamente come avevano fatto dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Il presidente russo non vuole tutto questo e sta forzando la mano: ha capito che dell’Ucraina non importa niente a nessuno». «Morire per il Donbass» non è un’opzione sul tavolo?«Gli americani non verranno mai a combattere per l’Ucraina. Putin lo ha capito e si accontenterebbe di salvare la faccia, in modo da portare avanti il suo potere. È pronto a correre il rischio di qualche scaramuccia, che gli lasci guadagnare qualcosa in più o legalizzare quel che ha già ottenuto. Putin mi spaventa, ma non è incline ai colpi di testa. Piuttosto, mi preoccupa l’atteggiamento di Biden, in termini storici».Che cosa intende? «Se analizziamo gli ultimi 100 anni, gran parte delle guerre sono scoppiate sotto una presidenza democratica degli Stati Uniti. Spero che Biden abbia intenzione di interrompere questa tendenza».A cosa si deve, secondo lei?«All’inclinazione ideologica dei democratici, che vedono in maniera poetica, quasi mitica, la grandezza degli Stati Uniti. Basti pensare a tutte le situazioni generate dall’indecisione di Barack Obama in varie parti del mondo: la Libia e la Siria, soprattutto. Operazioni iniziate e poi abbandonate, con i presupposti di disordine che puntualmente si sono verificati. L’idea di esportare la democrazia era molto radicata in Obama e lo è anche in Biden: un giocatore poco lungimirante, circondato da consiglieri che fanno leva sul discorso anti-sovietico. Donald Trump non avrebbe mai fatto una guerra per tutto questo».Da militare, come giudica l’annuncio statunitense di un imminente attacco russo, previsto per il 16 febbraio e che poi non si è verificato? La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ci ha ironizzato su: «Svergognati e annientati senza sparare un colpo».«Ho sempre pensato che non sarebbe successo alcunché mercoledì 16 febbraio. Mi veniva da ridere di fronte alla risolutezza americana, sbandierata dappertutto ed esportata in seno alla Nato, i cui gestori nordici hanno ripetuto quasi a pappagallo le posizioni di Washington. Sarebbe meglio avvicendare i vertici dell’Alleanza atlantica». Per quale motivo?«I nordici vedono solo guerra fredda, e basta. Durante il periodo a Riga, quando ero osservatore delle elezioni nei Paesi baltici, ho visto cose da pazzi. In Lettonia, non avevano la minima idea di cosa fosse il resto d’Europa: il loro unico problema era il rapporto di confine con l’ex Unione Sovietica. Sarebbe bene che il prossimo Segretario Generale guardi anche a sud». A proposito di Nato, come valuta l’azione dell’Alleanza? La polifonia di voci interne la indebolisce?«L’Alleanza è nata in un certo modo, inutile pretendere qualcosa di diverso». E l’Europa? Qualcuno è tornato a parlare di un esercito europeo, un sogno mai avverato. «Quando parliamo di difesa, lo facciamo sempre in termini di razionalizzazione dell’industria, di soldi. Mai in termini strategici. Oltre a essere un fattore di forza, gli eserciti sono strumenti di politica. Ma se non esiste una politica estera comune, è inutile mettere il carro davanti ai buoi. Il manifesto di Ventotene, di Altieri Spinelli, resta un documento fantastico». In senso utopico?«Non parlerei di utopia, credo all’idea degli Stati Uniti d’Europa. Tuttavia, i tempi saranno lunghissimi: l’Europa è una macchina che procede lentamente, che macina a piccoli passi e, a volte, torna indietro. Occorre pazienza, serve una maggiore integrazione e una migliore spesa per favorire una concezione strategica dell’industria militare». Secondo il Centro studi dell’Unione Europea, i 27 Paesi dell’Unione sostengono una spesa militare doppia rispetto a quella russa, eppure hanno una limitata capacità di deterrenza. Come se lo spiega?«La limitata capacità di deterrenza deriva dai doppioni che sono stati creati in questi anni e dalla mancanza di una volontà politica comune. Non intendiamo fare deterrenza, siamo bravi ad aumentare i tassi e ad imporre sanzioni. Tutte misure che spingono gli avversari verso una direzione opposta». L’avvicinamento tra Russia e Cina, con l’ipotesi di un futuro «asse degli autoritarismi», è uno dei più grandi errori degli Stati Uniti? «Gli Stati Uniti faranno una fatica enorme a ritrovare credibilità. Un tempo, tutti obbedivano quando gli americani dicevano qualcosa. Oggi, tutti ridono: sanno che non faranno nulla. Dovremmo lavorare per un decoupling della Russia con la Cina, non aiutare gli americani a spingere i russi in braccio a Pechino». Come si arriva a questa separazione?«Sarà un processo lungo, nella direzione del quale, tuttavia, non stiamo marciando. Dovremmo portare la Russia verso di noi: San Pietroburgo è occidente, Putin è nato a San Pietroburgo e sa benissimo dove comincia e dove finisce l’occidente». Come giudica l’azione diplomatica del governo italiano? Mario Draghi conta di mettere allo stesso tavolo Putin e il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky: riuscirà dove gli altri leader europei hanno fallito?«Non sono fiducioso, temo che neanche noi riusciremo nell’intento. Stiamo assecondando un gioco a somma zero, che al massimo porterà qualcuno a salvare la faccia. L’Europa resterà tra coloro che son sospesi: ostacolando la Russia in seno alla Nato, ma trescando nei rapporti commerciali. Siamo dei bravi mediatori, se ci danno retta. Con l’attuale presidenza del Consiglio, che ha più voce in capitolo in Europa, stiamo facendo meglio rispetto al passato, ma pur sempre nell’ambito di un gioco un po’ ambiguo, che rientra nella logica dell’utilitarismo economico».