2020-05-11
Marco Tarchi: «La politica ha scelto lo scaricabarile»
Il politologo: «Dopo la sudditanza agli economisti è arrivata quella ai medici. Giuseppe Conte? Dura finché a qualcuno fa comodo servirsene. Sono deluso dagli italiani: chiusi in esorcismi inutili e privi di coscienza democratica».Marco Tarchi, politologo e professore ordinario all'Università di Firenze, non crede che il virus cambierà davvero il mondo. Soprattutto, non invertirà di segno la globalizzazione: «Me ne dolgo», sospira, «ma sono realista».Professore, abbiamo scoperto che in Italia si possono limitare le libertà fondamentali con un atto amministrativo, come i Dpcm, senza che le istituzioni di garanzia intervengano e senza che i cittadini protestino. Questo la preoccupa?«Sì, anche se non vedo svolte autoritarie all'orizzonte. Mi preoccupa soprattutto la passività di molti di fronte a queste decisioni».Da che dipende?«Il vecchio detto “la paura fa novanta" resta più che mai d'attualità. E quando si profila un pericolo, è diffusa la tendenza a schierarsi attorno a chi comanda, qualunque cosa dica o faccia. Dov'è finita la tanto sbandierata maturità democratica di questo Paese?».Ecco: dov'è finita?«Walter Veltroni ha scritto che quello italiano si è mostrato “un popolo fiero"». Non condivide?«A me è sembrato intimorito e irrazionale, rinchiuso negli esorcismi inutili dell'“andrà tutto bene" e dei canti sul balcone».Qualcuno, commentando il ruolo dei virologi, ha parlato di «dittatura sanitaria».«I virologi devono fare il loro mestiere: capire il virus e cercare mezzi adeguati per combatterlo e, in prospettiva, debellarlo».E allora?«Beh, se il loro contributo fondamentale diventa il “tutti a casa!", siamo tornati ai tempi della peste nera».Che intende?«Anche allora si isolavano i paesi e si aprivano i lazzaretti. Gli esperti devono servire da consulenti, non tracciare pronostici sul futuro o delineare scenari che esulano del tutto dalle loro competenze».Si sono fatti prendere la mano dalla passerella mediatica?«Qualcuno esagera, nel lasciarsi andare allo sfruttamento del quarto d'ora - e più - di popolarità e nel dar vita a diatribe con colleghi di altra opinione, offrendo uno spettacolo non edificante».Gli errori commessi dagli esperti fiaccheranno la già erosa fiducia dei cittadini nella scienza?«La mia impressione, non da oggi, è che agli esperti, i medici in testa, si dia fiducia nel momento in cui se ne sente il bisogno, non prima. Salvo poi criticarli o maledirli se i risultati che si sperava di ottenere grazie al loro intervento non sono arrivati». Quest'alternanza tra aspettative messianiche e delusioni spiega il proliferare delle bufale scientifiche?«Oggi, con il flagello di Internet e dei social network, chiunque pensa di saperla più lunga degli altri in questo o quel campo e la diffidenza verso le “verità ufficiali" - che in sé potrebbe essere benefica, se la si usasse con discernimento - provoca la proliferazione dei ciarlatani e degli esaltati». Su questo scenario, come influirà la pandemia?«Non credo che il Covid-19 influirà granché. Diffidenti o creduloni si nasce, o quantomeno lo si diventa presto e lo si rimane a lungo».E la politica? Ha di nuovo abdicato in favore della tecnica? Se lasci un vuoto di potere, quel vuoto magari lo riempie Bill Gates, che a Giuseppe Conte ha addirittura dettato l'agenda del prossimo G20.«Il primo compito dei politici, in circostanze come le attuali, dovrebbe consistere nello stabilire dove si colloca l'interesse generale di una collettività e nel decidere quali costi si possono affrontare per tutelarlo». Invece?«Non mi sembra che, in Italia e in altri Paesi, questo sia stato fatto. Si è scelta la via della delega, ovvero dello scaricabarile. Si è passati, temporaneamente, dalla sudditanza all'economia a quella alla medicina. Triste scenario». Come vede il futuro di Conte?«Conte si è trovato in una situazione del tutto imprevista, ha proceduto a vista, ma ha capito di poter utilizzare le circostanze per rafforzare il suo ruolo e sfuggire alla gabbia in cui lo rinchiudeva il profilo di mediatore che gli era stato assegnato già nel 2018». Certi sondaggi gli attribuiscono un plebiscito. All'establishment però pare cominci a stare stretto, anche se i quirinalisti ci assicurano che Sergio Mattarella non è disposto a congedarlo adesso…«Attualmente gode del classico effetto “non disturbate il manovratore", che premia sempre chi è al timone mentre la nave è scossa dalle onde. Anche François Hollande schizzò ad altissimi livelli di approvazione dopo i massacri di Charlie Hebdo e del Bataclan. Poi si è visto che fine ha fatto». Conte corre lo stesso rischio?«La partita vera la giocherà nei prossimi mesi, in pieno disastro economico e sociale».Ritiene che si brucerà, o troverà uno spazio politico tutto suo?«Senza sponsor autorevoli non può arrivare da nessuna parte. Non è un politico di professione e non vedo segnali che inducano a pensare che lo diventerà. Bisognerà vedere se a qualcuno farà ancora comodo servirsene».Il Movimento 5 stelle completerà il processo di normalizzazione, o prevede una sanguinosa implosione?«L'occupazione di posti di potere e, in genere, di cariche pubbliche è un deterrente formidabile per tutti i movimentisti che si inseriscono in nell'establishment che tanto detestavano. E il M5s ha già ampiamente dimostrato di preferire la permanenza al governo a qualunque battaglia ideale».A destra che situazione vede? La sensazione è che le lusinghe a Luca Zaia, le continue rilevazioni sulla crescita di Giorgia Meloni e le pressioni su Forza Italia per un Nazareno bis rispondano al solito obiettivo: demolire Matteo Salvini.«A me pare che Salvini si sia fatto già abbastanza male da solo, con un andamento ondivago come quello di tutta la classe politica, spostandosi dagli iniziali appelli alla serrata generale all'attuale invocazione delle aperture immediate».Non vede in atto manovre per dividerlo dagli alleati?«È ovvio che ha in Fratelli d'Italia un concorrente diretto e in Forza Italia un avversario sotto mentite spoglie. E se continuerà a non rendersene conto ne pagherà un conto salato. La formula del centrodestra non ha più senso da un pezzo e per la Lega è una palla al piede».Cosa ha sbagliato Salvini?«In una situazione come questa avrebbe dovuto modulare, se non moderare, i toni, invece di tenerli come di consueto sopra le righe, scontentando, come dimostrano i sondaggi, una parte del suo potenziale elettorato. È uno stile che gli tornerà utile nel prosieguo della crisi, ma adesso non funziona».Il sistema politico italiano uscirà indebolito o rafforzato da quest'emergenza?«Nell'insieme, resterà come prima». Dice?«Chi ne era deluso, continuerà a esserlo; semmai rafforzerà la diffidenza verso la classe dirigente. Chi tende a voler conservare le speranze sempre e comunque, non mollerà proprio ora». Che ne sarà degli appelli alla collaborazione?«Passati i richiami retorici e spesso ipocriti all'unità nazionale, le opposte tifoserie continueranno a guardarsi in cagnesco».Debolezza degli strumenti anticrisi messi in campo, Recovery fund rinviato alle calende greche, sentenza di Karlsruhe… Il virus rischia di uccidere anche l'Europa?«L'Unione europea non ne uscirà bene. Non mi stupisce che cantanti, attori, registi e intellettuali di vario genere si proclamino oggi più che mai cittadini del mondo e innalzino lodi alle istituzioni internazionali, ma il discorso è del tutto diverso fra la gente comune, alla quale, almeno per ora, non è stato tolto il diritto di voto». L'europeismo è la religione delle élite?«Be', resta il fatto che, di fronte alla minaccia, la massa della popolazione si è stretta più di prima intorno ai simboli e ai volti degli Stati nazionali e non ha certamente deplorato la chiusura delle frontiere. L'egoismo nazionale è scattato ancora una volta».Questo è un problema?«Può dispiacere, soprattutto a chi si riempie la bocca di utopie universaliste e, del tutto irresponsabilmente, reclama l'abolizione dei confini e la libertà incontrollata di circolazione fra un continente e l'altro». Però?«La logica degli interessi nazionali è una componente strutturale della politica, che in situazioni di emergenza fa piazza pulita delle illusioni cosmopolite».Quindi, siamo al tramonto della globalizzazione?«Va di moda dirlo ma io sono più cauto e non concedo spazio agli slogan, come piace ad altri. Così come non credo che il mondo di domani sarà molto diverso da quello di ieri». No? Nessuna marcia indietro rispetto al mercatismo globale?«I processi sociali e culturali di queste dimensioni non si lasciano fermare da una pur grave epidemia». Niente, neppure un rallentamento?«Qualche ripensamento e aggiustamento ci sarà, ma la logica mercantile nella nostra epoca pare inarrestabile e non so se si arriverà a rilocalizzare le produzioni». Ed è un bene o un male?«Io me ne dolgo, ma sono realista».