2019-09-09
Giampaolo Rossi: «Ora i giallorossi non occupino la Rai»
Il consigliere d'amministrazione: «Sono i cittadini i veri editori della tv di Stato: il governo deve ricordarselo Il destino di Foa? Per eleggerlo rispettate tutte le regole. Cacciare Sangiuliano sarebbe una mossa suicida».Giampaolo Rossi è consigliere d'amministrazione della Rai e intellettuale di area sovranista. Mentre, a governo giallorosso appena insediato, si discute già di repulisti anti sovranista, Rossi difende l'operato del cda e il piano industriale presentato dall'ad, Fabrizio Salini.Consigliere Rossi, che fine farà la Rai sovranista? Comincia lo spoils system dei giallorossi?«Io contesterei innanzitutto la definizione di “Rai sovranista"».In che senso?«Durante quest'anno il cda non ha lavorato per una Rai sovranista. Ha lavorato a un piano industriale per il rilancio del servizio pubblico radiotelevisivo. Il resto sono le solite polemiche ideologiche».Però è passata la vulgata della Rai sovranista.«A sinistra dicono che la Rai è diventata sovranista. A destra dicono che è rimasta di sinistra. È il gioco delle parti di chi parla di quest'azienda senza capirci nulla».Il destino del presidente Marcello Foa quale sarà? Già si discute dei modi per silurarlo. «Marcello Foa non è presidente per grazia ricevuta; è stato nominato dal cda e confermato dalla commissione di Vigilanza, come prevede la legge. Cosa fare lo deciderà il nuovo governo, ma forse dovrebbero essere altre le priorità».Quali?«Il futuro del piano industriale, ad esempio; è lì che si gioca pure la partita politica, perché quel piano è fondamentale per il rilancio della Rai non solo come servizio pubblico, ma anche come unica vera media company del Paese».Che ne è del piano industriale?«È fermo al Mise da mesi».Perché è così importante?«Perché il piano ridisegna l'intera filiera produttiva della Rai, valorizzando i contenuti di genere e crossmediali, in linea con i modelli broadcaster più evoluti».Che vuol dire?«Oggi tutto il sistema subisce la concorrenza spietata dei produttori di contenuti globali, delle piattaforme Ott, da Netflix ad Amazon». Non ci piove. Allora?«L'attuale organizzazione per reti è incentrata sui palinsesti, su una differenziazione antica dei target ricettivi e dei modelli di fruizione. Negli anni ciò ha portato la Rai a esternalizzare troppo la produzione di contenuti. Oggi noi siamo tra i servizi pubblici con la più bassa percentuale di produzione in house e la più alta in acquisti. Questo piano industriale consente di pensare il contenuto per il mercato dinamico dei nuovi utenti, ridando alla Rai la centralità nella produzione».In parole povere, è la strategia per resistere all'assalto dei colossi mediatici globali?«Sì. Altrimenti non c'è futuro per l'azienda».Sui giornali si parla proprio di una bocciatura del piano come di uno dei mezzi per arrivare alla cacciata di Foa. L'altro sarebbe impugnare gli atti della seconda votazione con cui fu eletto presidente.«Una bocciatura del piano industriale non va nemmeno presa in considerazione, sarebbe un danno enorme per l'azienda in termini di pubblicità, di acquisizione di quote di mercato, di pluralismo».E i ricorsi sull'elezione di Foa?«Ripeto, io credo che il nuovo governo dovrebbe avere altre priorità. Un mese fa il M5s ha proposto l'abolizione del canone Rai - tra i più bassi in Europa - e oggi propone per la Rai un modello Bbc - che ha il canone il doppio del nostro perché senza pubblicità. Come dire: la Terra è una sfera piatta. Magari avere un'idea chiara di quale servizio pubblico volere può essere una priorità maggiore, no?». L'editore della Rai è il governo. Come si fa a scindere l'attività del cda dai desiderata dei politici?«Innanzitutto l'editore della Rai sono i cittadini italiani; e questo il governo se lo dovrebbe ricordare. E poi il cda della Rai non è un consiglio comunale. Gli equilibri non sono quelli di una maggioranza e di un'opposizione. O almeno, la cosa non è così automatica».Quindi cosa dice delle voci su un ribaltone nel cda? Se Foa lasciasse la presidenza restando consigliere, lei, che finora ha sempre votato in linea con l'ad Salini, potrebbe diventare l'ago della bilancia. Come si comporterà?«Ogni consigliere in cda è ago della bilancia. Torniamo al punto di prima».Ovvero?«Che le maggioranze in cda non devono rispecchiare automaticamente le maggioranze politiche. Altrimenti la Rai perde la sua autonomia. Tra l'altro, in tutte queste polemiche c'è un paradosso».Che paradosso?«I richiami agli schemi politici arrivano proprio da quegli ambienti che ogni volta rivendicano la politica fuori dalla Rai…».È vero che anche nell'era del governo gialloblù, chi comandava davvero in Rai erano i renziani?(Sorride) «I renziani sono una delle tante specie biologiche esistenti in Rai; ma la questione è un po' più complessa».Ce la spieghi.«La cultura politica che negli anni si è stratificata in Rai indubbiamente pende a sinistra. Ciò dipende da vari fattori, in particolare dalla capacità delle élite liberal di occupare gli spazi simbolici di costruzione dell'immaginario - e l'incapacità del mondo di destra di proporre modelli alternativi».Un anno di governo sovranista non è bastato?«Premesso che non mi pare l'Italia abbia avuto un governo sovranista, ma non è questo il punto; io penso che la Rai di oggi sia molto più plurale di quella di due o tre anni fa. È riuscita a fare cose prima impensabili».Ad esempio?«Trasmettere, in prima serata su Rai 3, Red Land, il film sulle foibe che era stato rifiutato da tante sale cinematografiche, registrando quasi 1 milione di telespettatori, mentre su Rai 1 c'era Sanremo. Questo è vero servizio pubblico».Per riequilibrare quell'impostazione culturale di sinistra si poteva fare di più? Puntare in misura maggiore sull'informazione e meno su presentatori e showgirl?«È stato fatto: penso al Tg2 di Gennaro Sangiuliano, a un talk di approfondimento verticale come Povera patria, o alle linee narrative di un format come Linea verde, oggi indirizzate sul rapporto tra territorio e identità nazionale; ma credo che si dia eccessiva importanza all'influenza di un telegiornale o di un format sulla formazione dell'opinione pubblica». Cosa intende?«Viviamo in un'epoca di frammentazione dell'immaginario e la creazione di consenso si genera in maniera diversa rispetto al passato - pensiamo allo spazio reale dei social. Anche la tv ne risente» Quindi?«Scatenare guerre sante perché Rai 1 ha fatto condurre un format a Lorella Cuccarini, straordinaria professionista televisiva ma rea di avere posizioni politiche di destra, è ridicolo e umiliante. Di nuovo: l'importante è che si garantisca il pluralismo».Se i giallorossi tentassero l'assalto al Tg2 di Gennaro Sangiuliano, lei dunque si opporrebbe?«Il Tg2 è un ottimo telegiornale, con risultati eccellenti. Sangiuliano è tra i giornalisti professionalmente più preparati che abbiamo in Rai. Il suo tg affronta tematiche d'informazione che il mainstream elude e trasmette approfondimenti culturali di qualità. Pensare di intervenire sul Tg2 per motivi politici sarebbe un suicidio per la Rai».Con la mossa di Palazzo che ha portato insieme Pd e 5 stelle, l'establishment globalista è passato al contrattacco anti sovranista?«Diciamo che la mossa gli è stata servita su un piatto d'argento. La crisi del governo gialloblù non è stata il prodotto di un complotto internazionale, come fu nel 2011 con l'ultimo governo Berlusconi. Dopodiché, è chiaro che il governo giallorosso è un'anomalia. Però…».Però?«Anche il governo gialloblù lo era. In campagna elettorale, Lega e 5 stelle se n'erano dette di tutti i colori. Entrambi gli esecutivi sono figli della disarticolazione del bipolarismo italiano, che ha complicato i modelli di governabilità. Questo ci rende più vulnerabili agli interventi dei poteri forti internazionali».Che idea s'è fatto del M5s? «È un partito Zelig che prende la forma del contesto in cui si inserisce. Loro parlano di un principio “a-ideologico", ma in realtà si tratta di un'anomalia funzionale all'indebolimento della governabilità del Paese, a vantaggio di chi ci vuole controllare da fuori. Ecco perché alla politica servono identità chiare, di destra o di sinistra».Se i grillini, alle regionali, si alleassero con i dem, non è proprio al bipolarismo che torneremmo? Destra a trazione sovranista e sinistra a trazione pentastellata?«Sì, a patto che il M5s sveli la sua natura di sinistra, che è stata celata in virtù di quella pretesa “a-ideologica". Non si può essere oggi anti Ue e domani europeisti. Prima o poi i grillini dovranno scegliere con chi stare - e mi pare che la visione liberal, legata alle élite tecnocratiche, li affascini particolarmente».Matteo Salvini se l'è cercata?«Di sicuro da parte sua c'è stata leggerezza, non si gioca d'azzardo sulla pelle del Paese. Ha aperto una crisi al buio, in pieno agosto, senza tenere conto dei fattori internazionali e delle esigenze di equilibrio degli interessi nazionali».Gli schiaffi a Boris Johnson sulla Brexit, Alternative für Deutschland che non sfonda mai, Jair Bolsonaro contestato dai leader di mezzo mondo… È la morte prematura del sovranismo?«Ma no. Anzi, quella tra sovranisti e globalisti resterà la linea di conflitto almeno nei prossimi 30 anni. Il sovranismo è un fenomeno recente che si sta sempre più radicando in Occidente, anche nei casi in cui si finge che non sia così».Quali sono questi casi?«Ad esempio, quello tedesco. Nessuno ha notato che Afd, nella Germania orientale, ha la netta maggioranza nelle fasce d'età dai 25 ai 40 anni, mentre i partiti europeisti sono stati votati dagli ultrasessantenni; è un cambio totale della geografia sociale tedesca».Il contrario di quello che era successo al referendum per la Brexit.«In parte perché lì ha influito anche la contrapposizione tra la Gran Bretagna rurale e produttiva - antieuropeista - e i centri urbani - globalisti. Gli scenari sono eterogenei. E per capirli, bisogna esaminarli uno per uno. Il sovranismo non è morto… Sta semplicemente nascendo».