2020-04-06
Ennio Doris: «E se è necessario, nazionalizziamo...»
Il presidente di Banca Mediolanum: «La patrimoniale? Un errore clamoroso che farebbe crollare i consumi. Le nostre grandi aziende a rischio? Sì, abbiamo notato degli acquisti strani. Se occorre, intervenga lo Stato».Ennio Doris, Presidente di Banca Mediolanum, come sta vivendo il lockdown?«Lavorando. Diciamo che elargisco consigli in smartworking. La gente chiusa in casa non è preoccupata solo per la propria salute, ma anche per la sorte dei suoi risparmi. Fornire assistenza e tranquillizzare i clienti, per noi non è più un lavoro, ma un dovere morale». Confindustria chiede di riaprire qualche fabbrica già dopo Pasqua, sostenendo che le aziende sono più sicure dei supermercati. È un'ipotesi possibile? «Difficile capirlo. Confindustria giustamente si preoccupa di fare ripartire la produzione. Il rischio però è che la fretta ci faccia tornare indietro, a una condizione peggiore. Una seconda ondata di contagi sarebbe pericolosissima». Però il sistema economico sta già boccheggiando. «È certamente la crisi più grave dalla seconda guerra mondiale. Solitamente a soffrire, nei momenti di tempesta, sono le aziende più deboli, quelle che hanno commesso degli errori. Oggi invece stanno chiudendo anche le aziende sane, la tegola è caduta sulla testa di tutti. Per questo il dramma è più profondo».A chi pensa in particolare?«Alle medie e piccole imprese, la struttura portante del Paese. Uomini coraggiosi, che magari vivevano con un fatturato di 50.000 euro, e vedono svanire tutto in pochi giorni. Alcuni di loro versano in condizioni drammatiche: non hanno i soldi per comprare il latte. Non possiamo girare la testa dall'altra parte». Cosa propone? «Dobbiamo fare in modo che quando le nubi si saranno diradate, le strutture produttive siano rimaste intatte. Come avviene in guerra, è lo Stato che deve intervenire, con tutta la sua forza, per proteggere le imprese fino alla fine della crisi». Negli Stati Uniti il governo mobilita un pacchetto monstre da 2.000 miliardi di dollari, che prevede tra l'altro il cosiddetto helicopter money: un assegno da 1.200 dollari a ogni adulto e 500 per ciascun figlio. Si può immaginare anche da noi? «Diciamo che i 600 euro dell'Inps in qualche modo ricordano questo strumento. Il problema è riceverli davvero, averli in tempo, e averne un po' di più. 600 euro sono davvero pochi: metterei da parte le esitazioni e darei almeno mille euro a famiglia. Da un lato nessuno deve avere fame, dall'altro le imprese devono essere messe in condizione di ripartire. Se non lo facciamo adesso, saremo costretti a farlo dopo, ma con costi molto più alti». Il governo prepara un decreto da 20 miliardi a favore delle imprese. Basterà? «L'importo sufficiente è determinato dalla durata della crisi. E realisticamente credo che di miliardi ne serviranno davvero molti di più.». La sua linea ricalca quella espressa da Mario Draghi sul Financial Times. «Ciò che ha detto Draghi per me è Vangelo, concordo al 100%. Molto semplicemente, occorre fare tutto ciò che serve. È una scelta di buon senso». Si è schierato a favore della proposta del sindaco di Milano Beppe Sala, per una nuova fase costituente italiana. Dopo l'emergenza, pensa che proprio Draghi possa essere la guida giusta per gestire la ricostruzione del Paese? «Una nuova fase costituente può avere senso, come nel dopoguerra. Prima però mettiamoci alle spalle questo maledetto coronavirus. Ancora più urgente la semplificazione, ridurre ai minimi termini la burocrazia. Riguardo a Mario Draghi, ha tutte le carte in regola».Comunque sia, per l'Italia è difficile farcela da sola. Si aspettava più solidarietà? «Sa qual è stato nella storia il primo segno di civiltà? Un femore rotto, e poi guarito». Cioè?«Nella preistoria se ti rompevi una gamba eri condannato a morte, perché non potevi camminare e cacciare. Quando per la prima volta qualcuno ha curato la gamba di qualcun altro, lì è nata la civiltà. E l'Italia si sta dimostrando un paese incredibilmente civile».A chi sta pensando?«Ai medici e agli infermieri, i veri eroi. Al miracolo della Fiera di Milano, un ospedale fatto e finito, costruito solo sulla generosità. All'ospedale di Bergamo, tirato su dagli alpini. Gli italiani sono capaci di gesti strabilianti, e questa genialità nessun virus ce la porterà via». Se la civiltà è solidarietà, l'Europa non pare molto civile, ultimamente. «Sul versante monetario alcune cose le hanno fatte. La Bce, seppure in ritardo, ha messo in campo 1.200 miliardi di liquidità. Senza quest'arma, i tassi dei nostri titoli decennali non sarebbero certo all'1,5%, ma chissà dove. Però c'è bisogno di una mano in più».I Paesi nordici sembrano resistere a qualsiasi condivisione del debito. «I tedeschi si chiedono: perché dobbiamo pagare per i debiti degli italiani? Il nostro errore in passato è stato quello di usare la flessibilità per risolvere il disagio sociale anziché per stimolare l'economia. Non abbiamo capito che il più grande disagio sociale è la mancanza di lavoro. E il lavoro lo creano le imprese». Se la Germania oggi è quella che è, lo deve al dimezzamento del debito di guerra firmato anche dall'Italia di De Gasperi, negli anni Cinquanta. «E fu la scelta giusta, un principio valido anche oggi: le colpe dei padri non possono ricadere sui figli. Non puoi condannare qualcuno in eterno, perché ha fatto un errore. Andiamo a vedere la storia: dopo la prima guerra mondiale ognuno ragionava per sé, ed è stato un disastro. In seguito, è stato grazie a gesti di civiltà, come il Piano Marshall, che è potuto decollare lo sviluppo economico in tutto il mondo. Solo nel 1990 le persone che vivevano sotto la soglia di povertà erano 2,2 miliardi. Oggi sono 700 milioni». Quindi è bene che i partner europei guardino al passato, per gestire il presente? «Sì, nell'interesse di tutti: non solo di chi riceve aiuto ma anche di chi lo concede. Poi intendiamoci: non stiamo chiedendo di ricevere denaro a fondo perduto». E allora qual è lo strumento giusto? Il ricorso al Mes ci farebbe infilare la testa nel cappio dell'austerità? «È bene ricevere denaro in prestito, ma a due condizioni: che abbia un tasso di interesse bassissimo, e che ci venga dato il tempo di ripagarlo nel lunghissimo termine. Così facendo, sicuramente saremmo in grado di restituire questo aiuto, tranquillizzando i mercati». La Verità porta avanti la proposta di un «bond patriottico»: un'emissione straordinaria di titoli di stato rivolta alle famiglie italiane, facendo leva sulla grande massa di risparmio privato del Paese. Potrebbe funzionare? «Può essere una buona idea. L'importante è che questa proposta garantisca a chi la sottoscrive la sicurezza di un reddito. Magari si può immaginare un prodotto esentasse, e che sia comunque facilmente liquidabile. Ricordiamoci sempre che, per molti, il risparmio coincide con la pensione». In ogni caso, sarebbe comunque meglio di un prelievo forzoso. «Una patrimoniale? Sarebbe un errore clamoroso, perché la gente prenderebbe ancor più spavento. I consumi crollerebbero in maniera drammatica. Queste idee resistono solo nella testa di chi pensa che le tasse servano solo a redistribuire ricchezza». Intanto il Copasir teme arrembaggi stranieri sulle aziende italiane, con i crolli di borsa di questi giorni. Siamo nel mirino?«Il rischio c'è, per tutte le imprese quotate che vedono scendere il loro valore. Per quanto grave sia la crisi ci sono sempre entità che possiedono denaro: fondi pensione, assicurazioni, grandi aziende. Negli ultimi giorni, per esempio, abbiamo notato grandi acquisti su Eni e Pirelli».Per difenderci, dovremmo nazionalizzare colossi industriali? «Sì, se necessario, come hanno fatto intendere Germania e Francia. D'altronde il divieto sugli aiuti di Stato è caduto per tutti, perché le regole pensate in tempi di pace non possono valere oggi. Pensiamo alla crisi di Lehman Brothers, quando il governo americano è entrato con 250 miliardi di dollari nel capitale delle banche, anche contro la loro volontà». L'Italia dovrebbe prendere esempio? «È un modo per trasmettere fiducia ai risparmiatori. E la fiducia, ricordiamocelo, è il primo patrimonio di un'impresa. Poi, a crisi finita, lo Stato può rivendere le sue quote sui mercati e persino guadagnarci». Insomma, ce la faremo?«Sono in contatto con tanti imprenditori: molti si sono convertiti alla fabbricazione di mascherine e respiratori, ma non vedono l'ora di ripartire. Noi italiani siamo così: diffidiamo dell'autorità, soffriamo di sudditanza nei confronti dello straniero, soffochiamo nella burocrazia: ma queste sfide ci hanno dato quella creatività che ci consentirà di uscirne. Quindi sì, ce la faremo. Supereremo il picco, come Fausto Coppi nel '53».