2021-04-19
«Fa rabbia questa Europa incapace»
Lo scrittore Edoardo Nesi: «Invidio gli inglesi, se manca l'aiuto comunitario ogni Stato deve fare per sé. Basta con la vita da regime che pone una limitazione estrema della libertà, dobbiamo tornare presto a fare quello che ci pare».Puoi parlare di lui come scrittore, altroché: pubblica libri dal 1995 e uno dei più famosi è Storia della mia gente, premio Strega nel 2011. Puoi presentarlo come ex imprenditore, visto che a Prato ha diretto per 15 anni l'azienda tessile di famiglia, che ha venduto non senza dolore nel 2004, causa crisi. O anche come ex deputato: una legislatura all'attivo con Mario Monti. Più dei suoi mestieri, o forse per quelli, sono però due righe della sua fatica più recente - Economia sentimentale (La Nave di Teseo) - a raccontare meglio Edoardo Nesi: «Io sono questo. Questa sconfitta, questa rabbia e questo destino». Anche se quando lo raggiungiamo al telefono racconta di una sua vittoria: dopo molte peripezie è riuscito a far vaccinare la madre, 85 anni. «In Toscana - una cosa assolutamente incomprensibile - avevano deciso in sostanza che magistrati e avvocati avevano priorità».Sua madre ne aveva maggior diritto. «Sì, ma qui si vaccinavano anche i praticanti avvocati di 25 anni prima di lei. Le dosi in Italia arrivano con il contagocce, la considero una mia piccola impresa, esserci riuscito. Mi ha dato una certa soddisfazione, alla fine: mi è sembrato di aver fatto qualcosa di importante per mia mamma. L'ho vissuta come una corsa contro il tempo. Mi sono pure arrabbiato parecchio, però».Se l'è presa anche con il governatore Eugenio Giani?«Se sei presidente della Regione, le decisioni che si prendono sono le tue. Giani l'ho votato per non far vincere la Lega. E non ho mai amato il suo predecessore Rossi - un vero comunista nell'animo - ma certi privilegi lui non li avrebbe mai concessi».Deluso dalla politica?«In realtà un caso come il mio ti fa accorgere, con dolore, che il problema è quel che è stato fatto in Europa. Un amico italiano che vive a Londra mi racconta dell'euforia degli inglesi: la Brexit, per cui tanto li abbiamo presi in giro, con i vaccini si è rivelata un grandissimo vantaggio. Dalla politica e dal Covid purtroppo ho imparato una cosa: le certezze fanno presto a sciogliersi, come un gelato al sole. Difficile fare previsioni, se quel che è vero oggi domani potrebbe essere una cazzata». Sta per dire che sarebbe meglio uscire pure noi?«Di certo no. Però fa rabbia che dall'Europa non sia venuta la risposta che mi sarei aspettato. Ogni Stato dovrà pur pensare per sé, se manca l'aiuto comunitario».Come si vive oggi a Prato?«Siamo stati zona rossa fino all'altro ieri. Come gli uomini primitivi sono uscito solo per approvvigionamenti. Qualche camminata in campagna, per schiarirmi la mente. Mi manca la vita sociale, moltissimo. Ci si incontra per caso, mentre si va dal macellaio. Sarà tutto da ricostruire, ci vorrà del tempo per superare quello che anche per me è diventato automatico, i no alle strette di mano, persino agli abbracci in famiglia».La restrizione che più le pesa?«Il coprifuoco, la prima che ci è stata imposta. È fortemente innaturale: le giornate finiscono per tutti, da mesi, quando tramonta il sole. È come se fossimo depredati di una porzione importante di tempo della nostra giornata. Non credo che la popolazione italiana abbia ancora capito davvero cosa è successo».Vorrebbe una cena al ristorante con gli amici?«Sono combattuto, non sono per aprire tutto. Mi rendo conto che siano necessarie le restrizioni. Ma è difficilissimo, veramente. Vorrei anche poter tornare a guardare alle forze dell'ordine come un aiuto, una risorsa. Oggi se si incontra la polizia ci si chiede se si è in regola, se si è portata l'autocertificazione, se sia giusto essere fuori casa in quel momento. Ci domandiamo se siamo onesti o no. È pericoloso, non crede?».Perché?«Si vive sostanzialmente in un regime, è una sottrazione di libertà. È una situazione che viviamo per via della pandemia, ma è bene chiamarla per come è: una limitazione estrema della libertà. Bisogna che sia di breve durata, che si possa tornare a far quello che ci pare. Perché è una delle grandi gioie della vita».Cosa le raccontano di questi tempi gli amici imprenditori?«Qui a Prato si fanno i semilavorati che poi arrivano nei negozi, che sono chiusi o lo sono stati in tutta Europa. È complicato riuscire a immaginare come chi fa impresa nel tessile ha vissuto e vive questo tempo. Si sta verificando un'incredibile separazione dei destini: aziende che stanno una accanto all'altra, con i capannoni vicini, una cresce e l'altra è bloccata a seconda del settore. Oggi finisce di esistere l'industria italiana come idea complessiva, occorre fare distinzioni importanti».Per alcuni suonano campane a morto?«La fine non arriva, il punto è questo: la fine è già arrivata perché l'idea di distretto pratese dal 2000 non esiste più. Rimane chi ha un certo successo, ma ne resteranno pochissime. Era il sistema, a contare. Non mi interessa se qualcuno riesce a guadagnare tanto, se il prezzo è la morte del distretto. Occorre che le persone vadano a lavorare, che ci sia lavoro».E dove occorrerebbe puntare lo sguardo?«L'unica arma di vendita che è rimasta è la sostenibilità ecologica. Il cliente vuole i prodotti sostenibili. Il “green", per dirla male».Ben venga il ministero della Transizione ecologica del M5s, allora?«I grillini da sempre si sono appropriati di parole d'ordine globali, declinandole poi in modo miserando. No, guardi, il punto è puramente commerciale: anche se non ci credessi, lo dovresti fare. Altrimenti non vendi e fallisci». La questione del fallimento è da sempre al centro della sua scrittura. Sua moglie, ha raccontato, si arrabbiava un po' per questo. Lo fa ancora?«Sì (ride), mi dice che scrivo di miserie e tragedie. È che io credo noi italiani si stia vivendo un'era di decadenza spaventosa, della quale non vediamo abbastanza bene i contorni perché ci siamo dentro. Questo è quel che penso, e viene fuori nei miei romanzi. Cerco io stesso di mediare: non mi piace fare il profeta della decadenza, tantomeno la Cassandra, ma il problema c'è. Una nazione che si basava prima sulla manifattura non tecnologicamente elevata ha perso un pezzo. Al Nord chi si è evoluto con la tecnologia va avanti. Ma scarpe, mobili, tessile… hanno esaurito la spinta».E cosa accade? Lei scrive che l'economia è sentimento: sogni, speranze, sconfitte.«In questo Paese non puoi più parlare di borghesia come se ne parlava un tempo, ma di gente che è riuscita ad arricchirsi mentre altri non ce l'hanno fatta. Il “ceto medio" è un'espressione che non mi è mai piaciuta, perché imprecisa, ma era la grande forza dell'Italia. Un peccato che il grande cinema e la grande letteratura se ne siano fatti beffa: era invece l'ancoraggio della società, questo metto nei miei libri».Qual è il rischio, se c'è?«Per rispondere bisogna partire dalle differenze, ancora: è difficile spiegare a un impiegato statale che siamo nella decadenza, se ha continuato a prendere i soldi di prima anche durante la pandemia, se nessuno gli ha torto un capello. Niente gli ha fatto presagire che ci possa essere un futuro drammatico. Queste persone il tipo di sofferenza di cui racconto non ce l'hanno. E nemmeno i dipendenti delle grandi aziende che fatturano bene».Il problema è dei piccoli. «Artigiani, commercianti: le stesse persone che vennero attaccate dalla globalizzazione e che oggi vivono gli effetti peggiori della pandemia. Ho sempre scritto di loro, perché mi stanno a cuore e perché anche io sono uno di loro. Una gran parte della società del futuro si troverà di fronte a problemi che un'altra parte non avrà. Ci troveremo ad avere almeno due società, sarà difficile tenerle insieme».Con Mario Draghi l'economia determina la politica, così almeno negli intenti. Una benedizione o una maledizione?«Sul Recovery si gioca tutto, per la sostenibilità e per la creazione di lavoro che potrà portare. Siamo così storditi da questa pandemia che ci dimentichiamo che siamo sul punto di poter far compiere all'Italia un gran passo in avanti. Bisogna riuscire a cucire la sofferenza di oggi con la rinascita di domani. Per afferrarla. Perché ci sarà. Sono convinto che sia un governo che deve funzionare e che possa farlo. Grazie ai tecnici, soprattutto, che sono stati messi nei posti chiave».Da tecnico fece anche lei una scommessa sulla politica. Si candidò con Monti. «Da quell'esperienza ho capito una cosa del tutto personale: che la politica non è il mio mestiere. Sono stato onorato di aver svolto un ruolo per il Paese, l'ho vissuto con grande responsabilità, al di fuori dai partiti, ma la seconda cosa che ho compreso a Roma è che le persone capaci rischiano di non riuscire a incidere perché la politica ha le sue leggi. Forse potevo fare meglio io stesso, non posso certo attribuire solo ad altri una colpa». A Roma sono tornate le manifestazioni. «A scendere in piazza sono i piccolissimi, ristoratori, negozianti e i loro dipendenti. Vanno sostenuti. Probabilmente, e lo dico con ironia, servono ristori più adeguati a quanto hanno perso. Bisognerà pure che qualcuno lo ammetta, che non lo sono. Occorreva far meglio. A volte basta poco: l'alternativa è un fallimento, o che un imprenditore cada nella depressione e nella disperazione».
Attività all'aria aperta in Val di Fassa (Gaia Panozzo)
Gabriele D'Annunzio (Getty Images)
Lo spettacolo Gabriele d’Annunzio, una vita inimitabile, con Edoardo Sylos Labini e le musiche di Sergio Colicchio, ha debuttato su RaiPlay il 10 settembre e approda su RaiTre il 12, ripercorrendo le tappe della vita del Vate, tra arte, politica e passioni.
Il ministro dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida (Ansa)