2020-03-16
Carlo Sangalli: «Gli aiuti del governo? Solo un inizio»
Il presidente dei commercianti: «Servirà un anno per riprenderci dalla batosta della chiusura generale. Ora l'importante è permettere alle aziende di ripartire senza licenziare, e occorre una mano dall'Europa».«Dobbiamo risollevare il Paese, qualunque cosa serva». Un nuovo «bazooka», come quello sfoderato ai tempi da Mario Draghi. È l'arma economica richiesta oggi dal presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli. In prima linea, nella guerra di resistenza più dura degli ultimi decenni: «Tutto il commercio italiano farà la sua parte. La farà chi chiuderà. La farà chi continuerà ad assicurare la distribuzione dei prodotti alimentari e dei beni di prima necessità». Oltre al bollettino del contagio, quello diffuso quotidianamente dal capo della protezione civile, l'altro bollettino di guerra, quello di Confcommercio, racconta impietosamente l'impatto devastante del virus sul sistema Italia. Ci si aspetta un Pil in picchiata dell'1,9% a marzo. I malati gravi sono i settori del turismo (meno 13 miliardi di euro) e dei trasporti (meno 6 miliardi). La quarantena collettiva affonda il commercio, in particolare abbigliamento e tempo libero. «Immaginando un approfondimento della crisi ad aprile e una normalizzazione all'inizio di giugno, quest'anno rischiamo una perdita del consumi delle famiglie pari a oltre 18 miliardi di euro», prevede Sangalli. Presidente, i dati diffusi dalla sua associazione dipingono un quadro mai visto nella storia della Repubblica. Il commercio italiano ha chiuso la saracinesca. Come state affrontando il lockdown?«Con la responsabilità di chi, chiudendo, sa di contribuire a uno sforzo straordinario per contenere la diffusione dell'epidemia. Con la responsabilità di chi continuerà a restare aperto per assicurare la distribuzione dei generi alimentari e di quelli di prima necessità. E con la preoccupazione di chi ora chiude, ma non sa se e quando riaprirà».È doveroso «restare a casa». Ma per molte partite Iva questo significa la rovina?«Il punto è che restare a casa non può e non deve significare la rovina. Servono aiuti e risorse straordinarie. Ricorda il “qualunque cosa serva" di Mario Draghi che salvò l'euro?».Un po' quello che è stato annunciato dal ministro delle finanze tedesco Olaf Scholz: prestiti «illimitati», con una disponibilità almeno di 550 miliardi di euro in garanzie pubbliche, per aiutare le imprese tedesche ad affrontare i problemi di cassa dovuti all'epidemia di coronavirus. Serve dunque un «bazooka antivirus»?«Occorre dirlo di nuovo, in Italia e in Europa. Così come è servito ai tempi della crisi del debito, oggi abbiamo bisogno di uno strumento del genere per fronteggiare un'emergenza sanitaria che è divenuta economica e sociale».Avrebbe preferito un blocco esteso anche alle industrie? C'è chi parla di compromesso al ribasso…«Ci siamo dati una regola: agire secondo quanto stabilito in sede istituzionale sulla scorta delle valutazioni di un autorevole comitato tecnico scientifico. Per il resto, ci sarà tempo e modo per discutere».Insomma, adesso è il momento di marciare insieme. «Oggi è tempo di presentarsi come un Paese unito. Lo dobbiamo a chi è in prima linea: alle donne e agli uomini del nostro sistema sanitario. A loro, ancora una volta, dobbiamo dire grazie». Ha parlato di sistema Italia in ginocchio.«Vogliamo che nessuno sia lasciato solo. Dunque, sostegno alla liquidità delle imprese e al reddito di chi lavora. E che si tenga conto dei danni economici subiti per una caduta verticale dei fatturati».I dati sul tracollo del turismo sono impressionanti. «Tutta la filiera - dagli alberghi alle agenzie di viaggi fino alle guide turistiche, al turismo organizzato, eventi, meeting e naturalmente tutta la ristorazione - è pesantemente penalizzata. Secondo le ultime stime di Confturismo, tra il 1° marzo e fine maggio, avremo un crollo nelle strutture ricettive con una perdita di oltre 45 milioni di presenze di turisti italiani e stranieri nel nostro Paese e quasi 11 miliardi di euro di spesa. I ristoranti a fine anno avranno perso 8 miliardi di fatturato».Il governo stanzierebbe 3,8 miliardi per mutui, banche e piccole e medie imprese, stop alle cartelle fiscali, 4-5 miliardi per gli ammortizzatori sociali, sospensione dei contributi. Gli aiuti basteranno?«Sono un punto di partenza. Difficile fare conti precisi in questo momento. Ipotizzando che l'emergenza rientri ai primi di giugno, stimiamo che la crisi abbia un impatto recessivo intorno a 1 punto di Pil. Altri stimano che contrastare la caduta richiederebbe misure di bilancio espansive intorno ai 36 miliardi di euro, in pratica 2 punti di Pil». Quello del rinvio delle tasse è uno dei nodi più difficili. Pare che la sospensione dei tributi avverrà solo per le filiere più colpite, come turismo e ristorazione, oppure per quelle imprese che potranno dimostrare di aver subito un calo del fatturato. È sufficiente?«Bene i primi provvedimenti ma occorre fare di più. Perché tantissime imprese si sono comunque trovate a dover fronteggiare crolli di domanda e di fatturato seguiti dal blocco delle attività». Quindi che cosa proponete?«Abbiamo presentato cinque richieste: estensione della cassa integrazione alle imprese del commercio, estensione del fondo di indennità salariale alle imprese sotto i 15 dipendenti, una indennità per i lavoratori autonomi e la sospensione delle rate dei mutui come il rinvio delle scadenze fiscali che, ribadisco, è fondamentale». Qual è la priorità assoluta?«L'obiettivo primario è quello di permettere alle aziende di ripartire mantenendo i livelli occupazionali. Un obiettivo che può essere raggiunto solo con un intervento più robusto dell'Unione europea». Come pensa ci si debba rapportare con l'Unione europea in questi giorni? Dopo l'affronto sullo spread del governatore Bce Christine Lagarde, adesso, di fatto, il patto di stabilità è saltato. «Il presidente Sergio Mattarella ha avuto parole chiare: l'Italia merita solidarietà, non ostacoli. Ecco servono davvero sostegni concreti. Perché ora è davvero necessaria un'Europa che sia “Unione". Bene, dunque, quanto detto in questi giorni dalla presidente von der Leyen: siamo tutti italiani».Intanto sale la protesta di chi resta aperto. Operai, farmacisti, medici, commessi dei supermercati. Chiedono più sicurezza sul luogo di lavoro. Che ne pensa del protocollo siglato da sindacati e industriali dopo 18 ore di trattativa? «È giusto che si lavori in sicurezza. Tutti: lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi. Da parte di chi resta aperto c'è su questo punto il massimo impegno. Impegno testimoniato dall'accordo tra le parti sociali in materia di sicurezza dei luoghi di lavoro».In tanti lamentano la scarsa chiarezza delle norme di comportamento per individui e aziende. La comunicazione governativa non ha funzionato?«Indubbiamente ci sono esigenze di chiarimento e di coordinamento. Del resto, tra l'8 e l'11 marzo si sono succeduti tre decreti del presidente del Consiglio. E poi i modi di fare impresa non sono sempre facilmente classificabili secondo gli schemi dei decreti».Dopo diversi richiami da parte dell'Organizzazione mondiale della sanità, adesso anche gli altri Paesi, seppur in ritardo, sembrano correre ai ripari. Donald Trump dichiara lo stato d'emergenza nazionale, Angela Merkel ed Emmanuel Macron chiudono le scuole e preparano altri provvedimenti simili ai nostri. Ci dobbiamo aspettare un blocco totale anche oltreconfine? «Non sono un esperto e altri dovrebbero rispondere a questi interrogativi. Ovviamente mi auguro che gli altri Paesi europei facciano tesoro della dolorosa esperienza italiana. Soprattutto mi sembra necessario un solido coordinamento europeo per la risposta all'emergenza sanitaria».Con tutte le incognite del caso, cerchiamo di fare una previsione: quanto tempo occorrerà all'Italia per rimettersi in piedi? «Davvero arduo fare previsioni visto che non siamo ancora certi della durata di un'epidemia che è ormai ufficialmente pandemia. Studiando la storia degli effetti economici di queste emergenze, gli addetti ai lavori dicono che nel medio periodo, all'incirca in un anno o poco più, l'economia recupera. Oggi, il punto è però quello di attutire l'impatto economico e sociale dell'emergenza: risarcire i danni e supportare la liquidità delle imprese e il reddito di chi lavora. Al contempo, bisogna preparare le condizioni per ripartire con mirate operazioni di sostegno della domanda e mettendo in moto buoni investimenti pubblici. Anche a livello europeo».
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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Chi ha inventato il sistema di posizionamento globale GPS? D’accordo la Difesa Usa, ma quanto a persone, chi è stato il genio inventore?