2019-06-24
Carlo Galli: «Sovranismo? Macché fascismo: è Dc».
Il filosofo ed ex deputato di Articolo 1: «La globalizzazione ha distrutto le classi medie, che chiedono protezione. Gli italiani non sono nazionalisti, rivogliono solo il benessere della prima Repubblica. Perciò votano Salvini».Sono decenni che il professor Carlo Galli «scandalizza» la sua sinistra: fu uno dei primi a riportare in auge in Italia il pensiero di Carl Schmitt, il giurista del Terzo Reich. Per Galli, tra i fondatori della rivista Filosofia politica, c'è stata anche una parentesi parlamentare: nel 2013 fu eletto deputato con il Pd, che poi lasciò per entrare in Articolo 1. Alle politiche del 2018 non si è ricandidato. Ma ora è tornato nelle librerie con Sovranità (Il Mulino), un saggio che darà di nuovo fastidio alla sinistra antisovranista, cui Galli riserva giudizi severissimi.Professore, lei scrive che chi parla di sovranità viene compatito come chi «cercasse di telefonare da cabine pubbliche con gettoni». A differenza delle cabine a gettoni, la sovranità è ancora di moda?«Non è questione di moda. È che la sovranità è la spina dorsale di ogni soggetto politico capace di agire. Diciamo piuttosto che viviamo in un Paese che fatica a ragionare in termini di sovranità, che tanti altri Paesi invece conservano».Lei spiega che la globalizzazione produce destabilizzazione sia sul piano economico, sia sul piano psicologico: l'immagine delle orde di migranti che atterriscono noi stanziali. Il sovranismo nasce come domanda di protezione da queste minacce?«Anche. E la sottovalutazione dell'impatto delle migrazioni è stato uno degli errori che ha distrutto quasi tutta la sinistra europea».Cosa ha fatto la sinistra europea?«Si è rivolta a una base elettorale relativamente benestante, che non è disturbata dalle migrazioni né dal collasso del ceto medio e operaio, derivante dal capitalismo neoliberista».La sinistra è diventata nemica del ceto medio?«Indifferente, semmai. E per ceto medio bisogna intendere una categoria che va dai piccoli professionisti agli operai qualificati. Questa realtà sociologica è stata il sostegno dell'ordine liberaldemocratico. Ed è stata portata al collasso dal nuovo paradigma del capitalismo».Che paradigma?«Un capitalismo che esige una società destrutturata, quella che gli apologeti chiamano “società liquida", ma che per chi ci vive dentro è una società della paura».Paura di cosa?«Di finir male».Cioè?«Di non avere più nessuna delle certezze sulle quali si erano fondate la vita e le speranze di quel ceto medio».Torniamo alle migrazioni.«Le migrazioni sono un elemento destrutturante, accanto a quello economico ed esistenziale. Sono l'impatto, su una realtà statica, quella degli Stati, di una realtà resa nomadica - perché non è che i migranti siano nomadi. Vengono resi nomadi».La paura delle persone dinanzi ai flussi migratori viene spesso dipinta come irrazionale xenofobia. «Vi saranno pure sacche di xenofobia. Ma il fenomeno dei migranti sarebbe stato sopportabile in un contesto di benessere economico e di sicurezza esistenziale».Che intende per «sicurezza esistenziale»?«Non tremare perché si può essere licenziati dall'oggi al domani, non essere in ansia perché i figli non trovano lavoro, o perché il definanziamento dello Stato sociale ci priva della sanità».Chi sostiene che siamo di fronte al ritorno dei fascismi ha torto?«Guardi, Matteo Salvini non è fascista. È semplicemente di destra, come lo era la stragrande maggioranza delle persone che votava Dc, e poi Silvio Berlusconi».Salvini è l'erede della Dc?«La differenza è che la Dc raccoglieva anche voti di sinistra, tenendoli insieme agli altri perché era capace di governare. La Lega somiglia piuttosto a una Dc alla Mario Scelba: una Dc che non ha la propensione a guardare a sinistra».Si può almeno definire Salvini un nazionalista?«Ma va'. Il nazionalismo non è nella nostra tradizione. Anche la prima Repubblica era costruita su una legittimazione diversa. I cittadini oggi non chiedono più potenza per la nazione italiana». Cosa chiedono?«Chiedono più protezione per sé e per la propria famiglia. E naturalmente s'incavolano se si vedono scavalcati, nella graduatoria delle case popolari, da chi non ha mai pagato le tasse in Italia…».Gli italiani hanno nostalgia della prima Repubblica?«Quelli che se la ricordano nei suoi decenni centrali, sì! Quel paradigma keynesiano era orientato all'intervento pubblico, per combattere la disoccupazione. Il paradigma ordoliberista e neoliberista, invece, è rivolto contro l'inflazione».Perché la sinistra ha maturato l'ossessione per i migranti?«Ormai è estranea al mondo del lavoro: non ci sono in pratica circoli o sezioni del Partito democratico e degli altri partiti di sinistra nei luoghi di lavoro. E, lontana dai diritti sociali, la sinistra s'è riversata sui diritti civili».Lei è contrario ai diritti civili?«Sono una cosa molto bella, ma non devono essere usati come moneta di scambio».In che senso?«Gli omosessuali devono avere il diritto di sposarsi, ma se il giorno dopo li licenziano…».Lei, nel libro, sostiene che anche i sovranisti di destra siano funzionali al mantenimento dell'ordine neoliberale. Perché?«Perché Salvini è Donald Trump».Che vuol dire?«L'interpretazione euforica del capitalismo, blairiana e clintoniana, prevalente fino alla crisi del 2008, è tramontata con lo scoppio delle bolle speculative. Perciò ora servono nuove narrazioni. Narrazioni difensive».Difensive?«Sì. E la difesa dalle migrazioni viene presentata come la più importante».Il capitalismo non viene mai messo veramente in discussione?«No. Ci sono due vie. Una è quella dell'ordoliberalismo tedesco: la crisi è colpa vostra, pagate ed espiate. Noi, con l'euro, siamo dentro questa via».E l'altra via?«Sono le politiche parakeynesiane per rilanciare crescita e consumi interni, ma non con intervento diretto dello Stato nel ciclo economico, quanto piuttosto con manovre monetarie o con aiuti alle imprese. O anche attraverso l'imposizione di dazi. Così il capitalismo viene reinterpretato in modo più rassicurante per i cittadini. Non è roba da comunisti. È Trump».Lui e Salvini sembrano piacere alla gente.«Almeno mostrano un'attenzione alla dimensione politica dell'economia. Invece il mainstream è “l'economia è il primum, ci dobbiamo sottomettere ai diktat di Bruxelles perché abbiamo firmato i trattati". Ma non si può far accettare a 60 milioni di italiani l'idea che debbano chinare il capo perché se no faranno la fine della Grecia». L'Europa ha consentito alla Germania di realizzare un progetto egemonico sul continente, nel Dna delle sue classi dirigenti?«Di fatto, il risultato è questo. Ma con un caveat».Quale?«È un risultato limitato alla dimensione economica. I tedeschi sono stati vaccinati duramente contro pretese egemoniche politiche in Europa».E l'euro?«L'ironia è che è stato pensato dai francesi per imbrigliare la Germania riunificata ed evitare una sua eccessiva autonomia».E invece com'è andata?«Che i tedeschi l'hanno accettato. Ma a condizione che l'euro venisse strutturato come il marco, sulla logica dell'ordoliberalismo. E gli altri Paesi hanno intravisto un'opportunità di servirsi di questo strumento deflativo per blindare a loro volta le proprie società, tagliando i ponti con partiti e sindacati estremisti. Ma non hanno fatto i conti con il fatto che siano i singoli Stati a dover fronteggiare in prima persona le conseguenze sociali della cessione di sovranità monetaria».Perché le classi dirigenti italiane si sono consegnate allegramente al «vincolo esterno»?(Sorriso d'intesa) «Lei fa le domande giuste…».Ne sono lieto…«C'è un video che sta circolando sui social, con Giuliano Amato che spiega come il vincolo esterno fosse stato concepito per incatenare l'Italia e impedire all'Europa di intervenire».E Amato aveva ragione?«È andata così. C'era un gruppo dirigente profondamente deluso dalle capacità sociopolitiche e socioeconomiche dell'Italia, che aveva in testa un modello astratto di Paese - nordico, protestante, ordinato, laborioso, privo di conflitti - e una cultura non italiana, ma nordeuropea». E quest'élite che ha combinato?«Vedeva dilagare i sindacati estremisti. Concepiva il Pci come un partito volenteroso, ma incapace di essere spina dorsale del Paese. Era angosciata dalla stagione del terrorismo. E iniziò a pensare che bisognava salvare l'Italia da sé stessa».Una sorta di complesso d'inferiorità?«Sì. Per salvare l'Italia da sé stessa le hanno messo una camicia di forza, l'euro, che presentava come vantaggio la stabilità monetaria e come svantaggio la svalutazione del lavoro, la destrutturazione della società e l'amplificazione dei nostri problemi storici».Facciamo i nomi?«Ma i nomi sono noti. Sono quelli che hanno gestito l'ingresso dell'Italia nello Sme e poi nell'euro, con tutte le manovre di bilancio connesse».E non è finita bene.«No. È stato il fallimento delle élite europeiste italiane».Dopo le ultime elezioni, comunque, gli euroentusiasti hanno festeggiato: l'ondata sovranista non c'è stata.«Contenti loro... Ma la verità è che in Europa sono tutti sovranisti».Tutti?«Scusi, Emmanuel Macron e Angela Merkel non sono sovranisti? Sono lì per adoperare le strutture di Bruxelles nell'interesse dei loro Stati».Tutti tranne l'Italia, allora…«Secondo certi nostri partiti, sembra che si debba fare politica salvaguardando l'Ue e le sue regole, interpretate secondo le esigenze del momento, più che gli interessi strategici del nostro Paese…».