2021-05-24
Bernardo Cervellera: «Cattolici in Cina? Va sempre peggio»
Il padre missionario sta per lasciare «Asianews» e critica l’accordo tra Pechino e il Vaticano: «Fidarsi del regime è stata una leggerezza: il Dragone non rispetta l’intesa e continua a imprigionare i vescovi»Padre Bernardo Cervellera, una vita spesa tra redazioni, università e opere missionarie, dopo 18 anni d’instancabile e preziosissimo lavoro d’informazione, lascerà la direzione editoriale di Asianews. Su quest’addio sono circolate diverse ipotesi: qualcuno sospetta che il Vaticano sia stato infastidito da certe prese di posizione di padre Cervellera sull’accordo tra la Santa Sede e la Cina. Ipotesi che a lui «non interessano». Così, dal prossimo agosto, tornerà a fare il missionario a Hong Kong, dove era già stato tra il 1990 e il 1997.Padre, che aria si respira nella città Stato, dopo la repressione delle proteste anticinesi?«Aria di repressione, appunto. Specialmente dopo l’introduzione della legge anti secessione, che di fatto coincide con una stretta sulla libertà d’espressione, ma anche di prospettive democratiche».Chi è più nemico della fede, lì? Il regime di Pechino o la cultura materialista di quello che è uno dei cuori pulsanti della finanza globale?«In realtà, non vedo molte differenze tra i motivi ispiratori delle due ideologie. Però le proteste anticinesi hanno dimostrato che i giovani di Hong Kong, lungi dal pensare solo ed esclusivamente all’arricchimento e al consumo, sono pronti a battersi anche per nobili ideali, come la libertà e la democrazia».Per quale motivo, a quasi tre anni dalla sua stipula, sono ancora segreti i dettagli sull’accordo sinovaticano?«Conosciamo soltanto la spiegazione fornita dal cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin: gli accordi sono riservati perché così ha chiesto la Cina e perché sono ancora provvisori».Dalla segretezza ci guadagna la Cina, allora.«Anche tutti i contratti siglati da Pechino per la Belt and road initiative, cioè la nuova Via della seta, sono segreti». Perché?«Probabilmente, perché questo permette alla Cina di non essere “ricattabile”».Lei ha più volte denunciato violazioni dell’accordo da parte delle autorità del Dragone. Quali sono i casi più eclatanti?«Gli episodi più dolorosi riguardano i vescovi riconosciuti dal Vaticano, che la Cina cerca di imprigionare. Ci sono vescovi agli arresti domiciliari, vescovi cui è impedito di svolgere il proprio lavoro pastorale, che vengono portati via dalle loro diocesi per le cosiddette “vacanze”, ma, in realtà, per togliere ai fedeli un punto di riferimento spirituale».Se però l’accordo è segreto, come si fa a stabilire se c’è stata una violazione?«Be’, l’intesa riguarda le nuove nomine dei vescovi, però dovrebbe lasciare impregiudicate tutte le nomine precedenti, quelle dei vescovi riconosciuti dalla Santa Sede ma non dalla Cina».Ed è questo secondo punto del trattato che il regime non sta rispettando?«Pechino sta ripulendo la sua aia, sbarazzandosi di tutte le comunità “non ufficiali”».Dalla stipula dell’accordo, in definitiva, la condizione dei cattolici è migliorata o è peggiorata?«Temo sia peggiorata. Soprattutto per quanto riguarda la comunità sotterranea, non riconosciuta dal governo, che sta incontrando molte più difficoltà».Di che tipo?«Ad esempio, chi partecipa a incontri in luoghi non registrati rischia di essere multato. Ma anche per la Chiesa ufficiale la situazione è tremenda: vengono molto limitate le sue possibilità di evangelizzazione».In che modo?«Ad esempio, si può evangelizzare solo all’interno del perimetro della parrocchia. Più in generale, i fedeli e i preti subiscono un’enorme pressione affinché seguano i dettami del partito e della sinicizzazione. Una pressione che li sfinisce».Cosa si può fare per salvare i cattolici cinesi?«Quello che ha suggerito Benedetto XVI».Cioè?«Nel 2008, propose la Giornata mondiale di preghiera per la Chiesa in Cina. Dunque, dobbiamo pregare perché i cristiani cinesi siano capaci di sopportare la persecuzione e siano messi nelle condizioni di offrire comunque un contributo alla società. E poi, in ogni occasione, dobbiamo esprimere la nostra solidarietà nei confronti di questa comunità».Non ci sono strumenti diplomatici e politici per agire?«Ci sono criteri Onu sulla libertà religiosa che bisogna continuamente chiedere di attuare. L’Onu è da decenni che intima alla Cina di eliminare la separazione tra comunità non ufficiali e comunità ufficiale. Ma la Cina ha sempre fatto finta di niente».Di recente, sul Corriere, Massimo Franco ha ricordato che, proprio sulla questione dell’accordo con Pechino, ci sono stati screzi tra lei e la Segreteria di Stato vaticana. Il suo addio ad Asianews ha a che fare con questi attriti?«No, guardi, a questo genere di domande non rispondo».Ci può dire se, a suo avviso, ci sono stati errori o ingenuità, da parte del Vaticano, nei negoziati per la stipula dell’intesa con i cinesi?«Non so se sia possibile definirli “errori”. Sicuramente, la Santa Sede ha corso un rischio, fidandosi del suo interlocutore».Un rischio prevedibile?«Dal punto di vista storico, sembra che la Cina non abbia mai rispettato alcun trattato internazionale. Quindi, prima di aprire il dialogo, bisognava avere più garanzie. Da questo punto di vista, c’è stata una qualche leggerezza. Però…». Però?«Erano decenni che il Vaticano cercava un rapporto con la Cina, per cui, quando ha intuito che si stava aprendo una linea di confronto, sia pur sottile come un capello, ha cercato di afferrarla».In questi anni è stato fatto abbastanza per difendere le minoranze religiose?«Sicuramente, quello della libertà religiosa è diventato un importante tema internazionale. Ma più che i governi, è la società civile a interessarsene autenticamente».In che senso?«I governi spesso usano la libertà religiosa come un pretesto per raggiungere obiettivi politici o economici. Pensi a quello che si sta facendo per gli uiguri».L’etnia turcofona, di religione islamica, perseguitata in Cina?«Ecco. A volte mi viene il sospetto che, dietro la “bandiera” della difesa degli uiguri, ci siano altri interessi».Le persecuzioni antireligiose sono un’esclusiva di Africa, Medio Oriente e Asia? In Francia, per dirne una, è diventata un’emergenza il rogo delle chiese.«Non solo il rogo delle chiese. Ci sono anche le profanazioni dei cimiteri ebraici o dei luoghi di culto musulmani. Purtroppo, anche in Occidente esiste una persecuzione: non manifesta, diretta, violenta, come in Asia, ma certamente di tipo ideologico, che conduce a emarginazione e disprezzo. Tanto che, spesso, le voci cattoliche, o comunque quelle discordanti rispetto al pensiero dominante, finiscono silenziate».A cosa sta pensando, in particolare?«Mi stupiscono sempre l’odio e le offese indirizzate alle persone, cattoliche o musulmane, che considerano un peccato l’aborto, perché la vita ha una dignità già nel grembo materno. Dunque, sì, anche in Occidente esiste una persecuzione, perpetrata nel nome del relativismo. Che non s’interessa delle religioni, perché vuole che tutte scompaiano dall’arena pubblica».Intravede queste derive anche nel ddl Zan?«Non ho lavorato a fondo sulla questione, ma mi pare davvero esagerato punire chi non condivide l’ideologia gender. Pensarla diversamente non costituisce di per sé un’offesa agli omosessuali».Intanto, l’eterno conflitto tra Israele e Palestina sta registrando una nuova escalation. È possibile tracciare un bilancio equilibrato delle ragioni degli uni e degli altri?«La penso come alcuni degli osservatori che abbiamo intervistato su Asianews. Credo abbiano perso tutti: sia i palestinesi, sia gli israeliani».Si spieghi.«La situazione è diventata estremamente precaria e insicura. Credo che Benjamin Netanyahu abbia provato a sgomitare per assicurarsi più potere, in vista di eventuali nuove elezioni. E la stessa strada ha intrapreso Hamas. In entrambi i casi, a spese della popolazione».Quale sarebbe la soluzione?«Quella da sempre indicata dalla comunità internazionale e caldeggiata anche dal Vaticano: due popoli, due Stati. Ma nessuna delle leadership in causa ascolta».