2020-08-04
L’Inter migliore dai tempi del Triplete messa in crisi dalla caccia alla talpa
Antonio Conte e proprietà sono ai ferri corti nonostante numeri che si vedevano solo con Josè Mourinho. Il tecnico nega di volersene andare, ma i nodi sono tanti: troppi spifferi dallo spogliatoio, screzi con Piero Ausilio e l'ombra Lionel Messi.Sente il rumore dei nemici ma non è Josè Mourinho. Ed è il primo a disconoscere l'imperativo d'inizio stagione, quel «mai più pazza Inter» che era costato l'archiviazione in soffitta del vinile della colonna sonora del triplete. Giorni difficili ad Appiano Gentile trasformato in Fort Apache da Antonio Conte; storie tese anche senza Elio, in continuità con la follia di un prestigioso club che non vince niente da dieci anni e riesce a farsi male appena è possibile, rovinando un secondo posto meritato e numeri che su quella sponda del Naviglio non si vedevano proprio dal 2010.Ieri avrebbe dovuto esserci un incontro chiarificatore con Beppe Marotta, dopo la visita individuale e i tamponi sanitari imposti dalle procedure Uefa, ma l'allenatore e il general manager si sono appena sfiorati. Il primo impegnato a compattare ancora di più la squadra, stretta attorno a lui e a Gabriele Oriali in vista della decisiva trasferta di Genselkirchen in Europa League (domani alle 21 dentro o fuori con i rocciosi spagnoli del Getafe). Il secondo deciso a tenersi a distanza dal tecnico travolto da sindrome di accerchiamento, con la ferma intenzione di rimandare a dopo la partita il faccia a faccia decisivo.I fatti sono granitici, ancora una volta sgretolati da un'emotività che mai ha abbandonato la maglia nerazzurra. I fatti dicono che l'Inter è arrivata seconda in campionato a un punto dalla corazzata Juventus (che ha vinto gli ultimi nove scudetti), mai così vicina ai rivali, con la miglior difesa del torneo, il secondo miglior attacco, il maggior numero di vittorie in trasferta e un appeal internazionale tornato a ottimi livelli grazie all'opera di Suning, di Marotta e alla credibilità dello stesso Conte. Se così non fosse, non si capirebbe perché fuoriclasse del calibro di Romelu Lukaku e Achraf Hakimi, prospetti di prima fila come Sandro Tonali e Marash Kumbulla abbiano detto preventivamente sì al mondo nerazzurro (anche se le ultime due trattative non solo concluse). Al tempo di Eric Thohir o del primo anno della presidenza Zhang sarebbe stato impensabile anche solo affiancare il nome di Leo Messi alla maglia dell'Inter. È innegabile che sia stato fatto un lavoro impegnativo e importante, perché passare da Zdravko Kuzmanovic a Nicolò Barella (che tutti volevano) e da Gabriel Barbosa a Lautaro Martinez non è un mezzo miracolo ma un salto di qualità che giova a tutto il calcio italiano. E inseguire, come fa la Juventus, parametri zero dal profilo di Christian Eriksen invece che similbrocchi come Geoffrey Kondogbia o Joao Mario è un segnale di ritrovata competitività non solo finanziaria (costò di più il pachidermico pennellone francese) ma anche tecnica e di prospettiva.Eppure si enfatizza il caos, si prefigura un clamoroso arrivo di Max Allegri (guardacaso il tecnico più indigesto per Conte). Ieri Repubblica.it ha spiegato che l'allenatore dell'Inter avrebbe contattato giocatori della Juventus per sapere «quando cacciano Sarri», autocandidandosi all'epocale ritorno. Questa la risposta di Conte, che smentisce e minaccia querele: «Ho sposato il progetto triennale con l'Inter e come ho sempre fatto nella mia vita lavorerò duramente e mi batterò con tutte le mie forze affinché sia un progetto vincente». Lui non piace perché allena calciatori e non giornalisti. Eppure la vena autodistruttiva «bauscia» domina la scena. E perfino una parte dei tifosi che da un decennio guardavano la targa della Juventus da una media di 25 punti di distacco comincia a credere che sfasciare tutto non sia così sbagliato. Come cantava Enzo Jannacci, «per vedere l'effetto che fa». Autolesionismo puro.Sente il rumore dei nemici ma non è Mourinho; per questo oggi Conte è all'angolo, colpevole di avere detto (senza lo charme del portoghese) due verità: la squadra è in balia di ogni spiffero e il club non fa nulla per impedirlo. Una vecchia storia, i famosi muri di cartone degli spogliatoi della Pinetina. Lo faceva intuire lo stesso Josè, lo sussurrava con furbesca diplomazia Roberto Mancini, lo denunciò Andrea Stramaccioni («Ciò che succede nello spogliatoio è sacro, chi lo spiffera è disonesto»), lo ribadì Luciano Spalletti parlando della fantomatica «talpa», lo ha toccato con mano Conte. Che sarà antipatico e piangina ma non è un pirla.L'allarme di Conte è perfino banale, liberarsi del circo Wanda non è stato sufficiente. Tra l'altro lui non era abituato a gossip, sgambetti, insinuazioni; strutture giustamente impenetrabili come la Juventus o la Nazionale non avrebbero mai permesso venticelli velenosi come la birretta di Marcelo Brozovic, i malumori di Diego Godin e Milan Skriniar (veri o presunti), il circo attorno a Lautaro sulla via di Barcellona, feroci stroncature a freddo. Una vicenda come quella di Jozip Ilicic è illuminate: un delicato problema personale attorno al quale l'Atalanta ha giustamente fatto muro, a Torino sarebbe stato derubricato a pubalgia (e tutti zitti). Ma a Milano in mezza giornata si sarebbe trasformato in un immondo carnaio. Oggi si vince e si perde anche così. Ci sono due dettagli in più. Il primo è il ruolo di Piero Ausilio, direttore sportivo per tutte le stagioni, famoso per comprare a dieci e vendere a tre, che il tecnico avrebbe voluto allontanare. E il secondo è il timore che davvero, dopo Eriksen, gli venga apparecchiato a sorpresa Messi. Sembra paradossale, ma l'ex ct della Nazionale preferirebbe tre rinforzi di ottimo livello alla rockstar numero uno, certamente più difficile da gestire in un contesto da Grande Fratello vip come quello nerazzurro.Ora le possibilità sono tre. O se ne va rinunciando a 24 milioni (molto difficile) oppure viene licenziato dalla famiglia Zhang in cambio di 44 milioni fra stipendi e penali (impensabile). O infine resta e ottiene che il club protegga lo spogliatoio con muri fatti di cemento armato e non di fogli di giornale. «Per il prestigio del club va cacciato», è il commento ciclostile del giornalista collettivo. Il sistema mediatico italiano, per il quale l'Inter è uno spasso solo se ha il ruolo del nobile zimbello, ha già scelto il finale.