2019-04-19
La pagina Web di dialogo con i cittadini travolta da domande spesso confuse sul reddito di cittadinanza. La replica è l'insulto.Se non blasti il populista, o anche semplicemente il popolo, non sei nessuno. Ai «bacioni» mandati a destra e a manca da Matteo Salvini, i competenti o presunti tali, indignati da tanta trivialità, hanno da tempo deciso di rispondere mandando a quel paese più persone possibili a mezzo social, salvo poi aprire il dibattito sul perché l'elettorato volti loro le spalle. La pratica, il cui nome tecnico è un calco cacofonico del verbo inglese to blast (distruggere, far esplodere, sfondare), ha già i suoi campioni indiscussi: Enrico Mentana, Carlo Calenda, Roberto Burioni. In queste ore, però, una nuova promessa della disciplina si sta facendo largo: parliamo del social media manager della pagina «Inps per la famiglia». Da due giorni, infatti, l'account, messo a disposizione dall'istituto per dialogare con i cittadini, è subissato di richieste. Galeotto fu il reddito di cittadinanza. Come si fa a richiederlo? A quanto si ha diritto? Quando arriveranno i soldi? La pagina è stata presa d'assalto da centinaia di richieste di questo tipo, spesso confuse, mal formulate e petulanti, ma come del resto sempre accade a qualsiasi funzionario che si relazioni con il pubblico. Anziché armarsi di santa pazienza e cercare di mantenere un linguaggio professionale, tuttavia, nella pagina «Inps per la famiglia» è accaduto qualcosa di inedito: un account ufficiale di un ente pubblico ha cominciato a insultare la gente. A una signora che richiedeva insistentemente un Pin, per esempio, è stato chiesto se non fosse «troppo impegnata a farsi selfie con le orecchie da coniglio». Di commenti del genere ce ne sono una marea, tutti improntati alla sufficienza o al fastidio: «Glielo abbiamo già detto mille volte!», «Secondo lei qui ci piace perdere tempo?», e così via. Altre volte, le risposte tradivano un certo scetticismo sul reddito di cittadinanza in sé, invitando gli utenti a rivolgersi ai politici per certe questioni. Il che la dice lunga sulla fede politica del tizio. Il gestore della pagina era probabilmente nervoso per essersi dovuto sobbarcare la fatica di Sisifo di spiegare mille volte che gli utenti non dovevano interagire tra loro, fare commenti politici o rispondere loro alle domande al posto di Inps. Paletti assurdi, nella dimensione liquida dei social. Il che dimostra quanto sia contraddittorio voler fare i «giovani», dialogando con gli utenti su Facebook, magari insultarli pure quando non capiscono, e poi pretendere però che le domande vengano poste con ordine e disciplina. E infatti la cosa è finita malissimo, con gli screenshot degli scambi di insulti divenuti virali e un timido accenno di scuse: «Cogliamo l'occasione per scusarci con quanti possano essersi sentiti toccati od offesi da alcune nostre risposte». Un po' poco, per una pagina ufficiale, gestita dal personale di un ente pubblico (nella descrizione si legge: «Post e risposte nei commenti sono a cura dei funzionari della direzione relazioni esterne che si avvalgono, in caso di questioni più complesse, della professionalità di esperti della materia della direzione centrale prestazioni a sostegno del reddito»). Nel frattempo, del resto, l'anonimo social media manager della pagina era già diventato l'idolo di twittatori semicolti, nemici del suffragio universale e pasdaran del burionismo. E non poteva essere altrimenti, per una pagina che aveva cominciato a ridicolizzare gli avventori del reddito di cittadinanza. Dai social, riserva di caccia dei populisti, è insomma arrivata la vendetta tanto attesa nei confronti delle masse incolte abbindolate dalle promesse degli incompetenti. È il protocollo Marco Lavia (il vicedirettore di Democratica, l'house organ del Pd, che irrise le «sembianze orrende» dei cittadini di Torre Maura) assurto a linea ufficiale della burocrazia pubblica. Perché se ti fai i selfie con le orecchie da coniglio, sfortunatamente non possono ancora toglierti il diritto di voto, ma almeno ti mettono alla gogna, ché la cosa fa almeno sentire meglio l'Herrenvolk sinceramente democratico, quello che il reddito di cittadinanza lo schifa e i rom li accoglierebbe a braccia aperte (nei quartieri degli altri, però). Qualche laureato in Scienze della comunicazione – non ne mancano, nelle schiere semicolte – dovrebbe tuttavia spiegare loro che la libido humiliandi dei blastatori a mezzo social è solo un altro modo per farsi i selfie con le orecchie da coniglio. Alla base, c'è lo stesso esibizionismo, la stessa vacua vanagloria, lo stesso narcisismo digitale. Si blasta per avere like, per far girare gli screenshot, per essere acclamati (i «grazie direttore» di mentaniana memoria). Così come un albero che cade nella foresta non fa rumore, se nessuno sta lì a sentirlo, allo stesso modo non ha senso blastare qualcuno in privato, senza una platea che assista alla messa in ridicolo del poveraccio di turno. È uno spettacolino messo in piedi per gli aficionados, come le comitive di bulletti che fanno gruppo prendendosela con il più debole nei paraggi. È un meccanismo che funziona. Almeno fino a che quei poveracci messi alla berlina non vanno a votare.
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