2020-03-31
Enrico Mentana: «L’informazione faccia il suo lavoro. Non può godere di crediti speciali»
Il direttore del Tg La7: «Chiedo a tutti noi il minimo sindacale per essere professionali. Dobbiamo rivedere il concetto di eroi. Lo sono medici e infermieri, non i giornalisti. Non si immaginino martiri».Buongiorno, Enrico, mi racconti come vedi l'informazione ai tempi del coronavirus?«Nel modo più semplice: completamente totalizzata dalla pandemia».Detto così può sembrare ovvio.«La constatazione è ovvia, molto meno scontata la conseguenza. Non è mai accaduto prima».Spiegalo.«È già successo che ci fossero periodi - penso al caso più clamoroso, l'11 settembre - in cui abbiamo avuto una informazione monopolizzata».Però?«C'è una differenza enorme, e sostanziale».Quale?«In passato la monopolizzazione esclusiva è durata solo per periodi circoscritti».Dammi una unità di misura.«Anche dopo le due torri abbiamo avuto un periodo di telegiornali totalmente dedicati, dal primo all'ultimo servizio a un solo tema. Ma...».Cosa?«Oggi ci sembra che sia stato per un tempo lunghissimo. Tuttavia, andando in archivio, scopriresti che già a fine settembre il monopolio si era rotto».Questo è il periodo più lungo di «monopolizzazione» esclusiva che hai vissuto?«Senza ombra di dubbio».Come mai?«Il paragone con le due torri ci aiuta a capire. Ecco l'unicità di quella stagione: 1) Parlavamo di un evento del tutto inaspettato, 2) fuori dalle capacità di comprensione dell'epoca, e 3) dominato da un nemico invisibile e incomprensibile».Finché sono durate queste tre condizioni il processo è stato simile a quello di oggi.«Riflettici. Non sapevamo chi fosse stato, cosa volesse, che faccia avesse e nemmeno come agisse».La stessa cosa accade con il corona.«Non sappiamo bene cos'è, non abbiamo la cura, e non sappiamo ancora come agisce. E poi c'è un altro elemento unico».Quale?«C'è quasi più paura nelle città non ancora colpite che in quelle più colpite».L'angoscia di quel che non conosci, la paura più antica.«Lodi e Bergamo sono la ground zero di questa guerra, la prima linea del fronte».E questo le rende diverse dagli altri.«In quei territori la guerra ha una sua fisicità più simile a quella della guerra tradizionale: un campo di battaglia, dei feriti, morti e bare»».Quindi l'informazione oggi viaggia su due voltaggi.«Esatto: l'angoscia dell'ignoto, lontano dal cratere, e il fragore della battaglia, in trincea. Io vedo questo racconto come una prima linea e una retrovia».Cioè servono due registri diversi.«Il lavoro nelle retrovie è importante come sulla prima linea. Ma è diverso. Pensa ad esempio alle enormi implicazioni di tipo psicologico».Continua. «Tanto per cominciare c'è la dimensione globale. L'11 settembre riguardò “solo" l'Occidente e i Paesi della guerra».Invece oggi il coinvolgimento non ha confini.«In questo esatto momento, metà del genere umano è a casa, come me e te, a parlare del virus. Non esiste più la selettività».Quale?«È brutto dirlo, ma le guerre che noi chiamiamo “mondiali" erano selettive: coinvolgevano soldati, quasi tutti uomini e giovani, e poi - come danno collaterale - settori di popolazione civile di alcuni Paesi».Questo confine oggi è caduto.«Sono colpiti tutti. E chi è colpito dall'effetto diciamo “collaterale" del virus, l'isolamento, lo è in modo totale e totalizzante».Parli con Enrico Mentana di informazione e pandemia, e hai una impressione: quella di scrivere un trattato in presa diretta. Un vademecum sull'informazione e i virus, ma non solo.Rispetto alle guerre di cui parlavi c'è anche il ribaltamento anagrafico delle vittime. «È uno degli aspetti più delicati e più interessanti. Noi siamo oggi in una catena di necessaria solidarietà generazionale».Perché tuteliamo i nostri anziani.«Quelli dalla mia età in su. Facciamo questo anche perché non possiamo concepire e rassegnarci, credo giustamente, ad accettare la ferocia della selezione».Non a caso questo è il lessico dell'Olocausto.«Io penso che in Italia ci sia anche un altro aspetto: nel nostro sistema sociale sono stati i nonni a costruire o a comprare le case dei figli e dei nipoti».Le case dove oggi si vive reclusi. Il bene rifugio.«In questo Paese i nonni sono l'àncora del sistema-famiglia. Sono le pensioni di un welfare privato».Stiamo difendendo tante cose insieme.«E su tutte la più importante: la memoria storica».Così come Liliana Segre è memoria dell'Olocausto, questi anziani sono la nostra memoria.«Proprio quando torna l'idea della guerra, questi anziani sono gli ultimi che hanno visto con i loro occhi la parte più belluina e feroce del Secolo breve».Tornano gli eroi.«Oggi l'eroismo è un concetto che va totalmente riscritto».Perché? Abbiamo tanti eroi in questa guerra.«Sì, ma proprio grazie a loro capisco quanto abbiamo sprecato questa parola».L'avevamo inflazionata?«In giorni non lontani, in cui si siano spinti a dire che eroe erano chi pagava le tasse!».Bene riscriviamo il codice.«Partiamo dal grado base: per me eroi sono i medici e gli infermieri che stanno in corsia dodici ore, con la certezza che prima o poi il loro lavoro li porterà a contagiarsi».Mai avevano vissuto una dimensione di massa di questo tipo.«L'archetipo di queste figure è un medico, Carlo Urbani, che lavorò per diciassette giorni di seguito contro la Sars, in Estremo oriente, sapendo che sarebbe stato contagiato».È morto in questa missione.«Adesso l'eroe non è più un uomo solo, ma intere categorie di lavoratori che ci proteggono nel nostro confino».Non solo in ospedale ma a casa.«Ogni giorno dovemmo ricordarci che la telefonia, la connessione della rete internet, la rete elettrica, la rete dell'acqua, del gas, e della luce, ci sono garantite da questo lavoro apparentemente invisibile. Ogni volta che giri la manopola del gas dovresti pensare che non è magia. E che non è gratis».Non inserisci in questa mappatura il nostro lavoro?«L'informazione deve fare l'informazione: è fra le categorie che continuano a lavorare. Però non può godere di crediti speciali».Spiega bene cosa intendi.«Non faccio polemiche, ma chiedo a tutti noi, a partire da me, il minimo sindacale per essere professionali».Anche andando in uno studio si rischia il contagio.«Torna al parametro base: è molto facile esaltare l'infermiere che rischia il contagio, e pensare di essere un po' come loro. Ma non è così».Chi hai inviato a raccontare Codogno e Bergamo ha rischiato.«E questo vale per una categoria, gli inviati. Ma se io penso all'infermiere che non si dà malato, soprattutto quando è malato, quello è l'esempio su cui parametrarsi. Allora vai in saletta di montaggio, o in redazione, sapendo che è il tuo lavoro, senza immaginarti martire».Ogni giorno, per programma, il tuo tg parte dai numeri. E quindi dai morti.«Certo. A costo di passare per beccamorti, non si deve indorare la pillola».Ti faccio la domanda perfida: «Perché Enrico non dici quanti sono i guariti?»«Dico dal primo giorno che per fortuna pochi muoiono. Ma i morti sono la dimensione del dramma».Anche questo è un codice antico dell'informazione.«Se c'un attentato in una stazione parti da chi si è salvato o da chi è caduto?».Quindi quando arriva il bollettino della Protezione civile...«Se ci sono stati 800 morti lo dici, perché il telespettatore non è un bambino. Io lo dico sempre anche ai miei».Questi morti pesano per il ragionamento che hai fatto all'inizio: ci ricordano che siano tutti vulnerabili.«Vero, ma è così. Quante dirette infinite abbiamo fatto per venti, dieci, o anche una o due vittime?».Alfredino Rampi. I terremoti, o minatori cileni...«Non direi mai: “Oggi 800 morti ma la tendenza è positiva". È una presa per i fondelli».Nel vuoto pneumatico dove il giornalista perde il contatto fisico con il potere, il rischio delle verità ufficiali aumenta?«Non lo accetterò mai. Proprio perché li ritengo importanti, io quei numeri li discuterò sempre».Vuoi dire anche contestare se serve?«Certo. Il bollettino della Protezione civile non sono le estrazioni del Lotto, le temperature della notte, o i risultati di una giornata di campionato».Questa è una frecciata.«In generale in questa fase ripudio ogni polemica».Dobbiamo parlare della politica.«Matteo Salvini ha perfettamente ragione quando dice polemico: “Grazie Cina". Pechino ha sicuramente nascosto la gravità della situazione».Lo dici perché pensi che in altri momenti sbagli?«Di sicuro quando critica chi dice: “Abbraccio i cinesi". Hai notizia di uno solo che abbia diffuso contagio?».Il senno del poi è un gioco impietoso.«Quando Salvini diceva: “Riapriamo tutto" era in perfetta buona fede. Quando Beppe Sala diceva “Milano riparte", lo sperava. Giuseppe Conte critica i medici degli ospedali lombardi, ma oggi non lo rifarebbe. Per non parlare di Luca Zaia e dei cinesi mangiatopi».Tutti hanno sbandato?«Perché ciò che stiamo vivendo è del tutto inedito».Parliamo del «medagliere degli orrori»: la notizia principe. L'indice del contagio globale. Si discute anche della nostra posizione.«Secondo me sbagliando. L'Italia sta prima in classifica perché le democrazie non possono nascondere i morti».E la Cina?«Gioca un altro campionato. Ai familiari delle vittime, in Occidente, non puoi dire: “Sai è morto ma non si può dire"».È saltata anche l'ultima mappatura tradizionale, quella tra sovranisti e europeisti.«Quelli come me che erano europeisti, adesso non possono che esserlo disperatamente».Perché?«La cosa più bella in proposito l'ha detta Lucrezia Reichlin: questa Europa è programmata solo per il bel tempo».E invece noi siamo nella tempesta. Come si risolverà secondo te il braccio di ferro nell'eurogruppo sui bond?«Io penso che le posizioni filotedesche soccomberanno».Sulla base di cosa?«Di tutto quel che abbiamo detto. Ci sono due fattori che in dieci giorni deflagreranno».Quali?«Migliaia di morti. E la verità».Sei apodittico.«Ma ti ricordi dove eravamo solo dieci giorni fa, nel racconto? Donald Trump diceva che era influenza e Boris Johnson parlava ancora di immunità di gregge».Il fatto che sia la decisione giusta non significa che prevalga.«Lo so bene. Infatti: o sarà piegata l'Europa del rigore o non ci sarà più l'Europa».