2022-02-10
«L’incendiaria» torna al cinema. Ma quanti fiaschi nelle sale nel nome di Stephen King
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Le due locandine di «Firestarter»: edizione 1984 e 2022 (Upi-Istock)
Il rapporto tra il genio dell'horror e il cinema non fu sempre idilliaco. Il film cult «Shining» di Stanley Kubrick deluse l'autore, mentre apprezzò «Carrie» di Brian De Palma. E se come regista in prima persona fu un disastro, talvolta il nome di King fu persino abusato per produzioni di dubbio gusto.L'incendiaria torna al cinema. Firestarter, il romanzo pubblicato nel 1980 da Stephen King e già portato sul grande schermo nel 1984 da Mark L. Lester, con una giovanissima Drew Barrymore nei panni della protagonista (in Italia fu tradotto come Fenomeni paranormali incontrollabili), ispirerà una seconda pellicola. Stavolta il regista è Keith Thomas, mentre il cast Zac Efron e Sydney Lemmon nei panni dei genitori della piccola dotata di poteri pirocinetici, a sua volta interpretata da Ryan Kiera Armstrong. Come in ogni adattamento di un'opera di Stephen King, per i fan del «re dell'horror» si tratta di un'attesa agrodolce: da una parte domina la curiosità, dall'altra il timore. King ha infatti, da anni, un rapporto a dir poco controverso con il cinema.Non solo molti capolavori dello scrittore, una volta trasposti sul pellicola, hanno dato luogo a risultati mediocri, ma lo stesso King ha più volte avallato le operazioni più discutibili, salvo criticare i pochi film veramente meritevoli ispirati ai suoi romanzi. Il caso di scuola, in questo senso, è Shining, il romanzo del 1977 portato sul grande schermo da Stanley Kubrick nel 1980 in quello che è considerato uno dei film più iconici della storia del cinema. Eppure, King ne rimase estremamente deluso: definì la pellicola «fredda e distaccata», trovò il personaggio del protagonista, interpretato da Jack Nicholson, «completamente pazzo fin dalla prima scena» e criticò l'interpretazione di Shelley Duvall, dicendo che «si trova lì solo per strillare ed essere stupida». Tale fu l'insoddisfazione, che nel 1997 King fece girare una miniserie televisiva sotto la sua diretta supervisione, al fine di rendere giustizia al romanzo. Inutile dire che il risultato fu grottesco, non tanto e non solo per lo scarso valore dell'opera in sé, quanto perché il confronto con un film entrato così potentemente nell'immaginario fu tanto inevitabile quanto impietoso. Un esito diverso ebbe Carrie, il primo romanzo di King, portato al cinema da Brian De Palma nel 1976 (ci sono poi stati un sequel nel 1999, Carrie 2 - La furia e due remake: Carrie, del 2002, e Lo sguardo di Satana – Carrie, del 2013). In questo caso, King fu addirittura disposto ad ammettere che la pellicola era forse migliore del romanzo: «L’approccio di De Palma alla storia fu più delicato e più abile del mio, e ben più artistico».Va detto che, quando King si mette dietro la macchina da presa o si aggira nei suoi paraggi, il fiasco è assicurato, in totale antitesi con quanto accade quando si mette dietro la macchina da scrivere. Da regista, nel 1986, produsse il dimenticabilissimo Brivido, tratto dal suo racconto Camion, in cui veicoli e strumenti elettrici prendono vita autonoma. Il film fu una pietra miliare del trash. Da sceneggiatore o collaboratore, King ha messo il suo zampino in Creepshow (1982), L'occhio del gatto (1985), Unico indizio: la luna piena (1985), Cimitero vivente (1989), I sonnambuli (1992), Cell (2016). Si capisce subito come i migliori di questi film arrivino appena alla sufficienza.Ma anche con le opere portate sullo schermo da altri, molto spesso il risultato è stato deludente. Ci si è chiesti più volte il motivo di tale difficoltà. Una ragione potrebbe risiedere nel lavoro molto peculiare che King svolge sull'immaginario. Lo scrittore è bravissimo a trasformare paure ancestrali, incubi ricorrenti, timori anche banali in materiale letterario. Ma, senza il suo talento descrittivo e con un mezzo diverso, questi riferimenti tornano a essere... banali. Due casi piuttosto tipici: il finale di It, con il pagliaccio malefico che rivela la sua vera forma, quella di una sorta di ragno gigante, e le siepi a forma di animali di Shining che a un certo punto prendono vita (assenti nel film di Kubrick e sfortunatamente presenti nella miniserie). In entrambi i casi si tratta di trovate che, trasportate sullo schermo, sono a fortissimo rischio di sconfinare nel trash.Ci sono poi dei casi in cui il passaggio infelice dalla carta alla celluloide non porta la responsabilità di King. Anzi, in alcuni casi lo scrittore è stato usato come specchietto per le allodole con campagne che hanno rasentato l'illegalità. Il caso esemplare, in questo senso, è Il tagliaerbe, film del 1992 diretto da Brett Leonard e interpretato da Jeff Fahey e Pierce Brosnan, che sui manifesti e nel trailer riportava in bella mostra il nome dello scrittore. Nella raccolta A volte ritornano, in effetti, King aveva pubblicato un racconto intitolato La falciatrice. Ma questa era praticamente l'unica attinenza con il film, che parlava semmai della realtà virtuale e di come essa potesse incrementare le potenzialità cognitive dell'uomo, nel caso specifico di un povero derelitto che sbarcava il lunario falciando i prati. King apprese dell'operazione vedendo i manifesti del film in un cinema della sua città. Il suo giudizio fu lapidario: «È la più grossa truffa che si possa immaginare dal momento che non ho niente a che farci. La cosa mi rende furioso... Il mio nome non dovrebbe comparire». King citò in giudizio la casa produttrice, pretendendo e ottenendo tutti i profitti derivanti dall'uso del suo nome.
Manifestazione a Roma di Ultima Generazione (Ansa)