2025-09-24
Il mito dell’Illuminismo ha generato l’odio dilagante per il cristianesimo
Il nostro credo, per cui ogni essere umano è uguale, è stato picconato dal dogma della «ragione». Il quale, basandosi su teorie pseudo scientifiche, ha rinvigorito il razzismo e l’idea di superiorità, comune al marxismo.Noi non dobbiamo niente a nessuno, non dobbiamo inginocchiarci davanti a nessuno. Noi siamo stati vittime di schiavismo: per lunghi atroci secoli i pirati saraceni hanno sottratto schiavi cristiani alle nostre coste e i tartari hanno sottratto schiavi cristiani all’Ucraina e ai Balcani. Il cristianesimo abolisce lo schiavismo sul suolo europeo prima, su suolo mondiale poi. Gli sconfitti militarmente nelle epoche antiche sono gli schiavi: i barbari sono gli schiavi durante l’Impero romano, i latini lo diventano dopo il suo crollo.Lo schiavo nel cristianesimo diviene servo della gleba: è legato alla terra, ma non può essere abusato sessualmente. Non è padrone del suo tempo, ma è padrone del suo corpo e del suo pensiero. Poi un altro passo. Il servo della gleba sarà affrancato e diventa il povero, che ha diritti ben diversi dal ricco, ma la strada ormai è presa e prima o poi, nel giro di pochi secoli (non è ironico), si arriva inevitabilmente alla parità dei diritti. Il gesto di San Martino che incontrando un mendicante divide con lui il suo mantello color porpora è, per quei tempi, straordinario. Non è solo un gesto di generosità. Ai poveri, siamo nel IV secolo, erano vietati i colori. I poveri di quel periodo sono assimilabili ai fuori casta indiani. Nel dividere con un povero il mantello color porpora da nobile, Martino viola la legge dell’epoca per riconoscerne l’umanità identica alla propria. Con le grandi scoperte geografiche si incontrano popolazioni diverse, tecnologicamente arretrate, salvo rare eccezioni prive di scrittura, quindi ancora ferme alla preistoria, in alcuni casi ancora all’età della pietra, come nel Nord America e in buona parte dell’Africa, e poi, successivamente, in Polinesia e in Australia. E rinasce la tentazione dello schiavismo, ma sotto il cristianesimo occuperà pochi secoli, sarà sempre messo in discussione e verrà abolito per azione della stessa civiltà che lo ha generato. Una volta picconato il cristianesimo, il razzismo compare come scelta ovvia: figlio primogenito della Dea Ragione. Trovandosi in mezzo a popolazioni con una tecnologia assai rozza e arretrata, molti europei hanno pensato che costoro avessero una struttura ereditaria più scadente, di qualità inferiore. Insisto: ci sono caduti in parecchi, da Voltaire a Marx, passando per Engels e Jack London. Si salva solo Melville, con i suoi straordinari «selvaggi antropofaghi» descritti in Moby Dick: Melville ha veramente fatto il baleniere, con quei «selvaggi» ha diviso le cuccette per tre anni, con loro ha lavorato gomito a gomito. Lui sapeva che erano persone. E poi Melville sapeva che loro come lui erano figli dello stesso Dio, fratelli. Nel cristianesimo, noi che crediamo in Cristo, tutti, siamo fratelli e figli dello stesso Dio. Tutti sono figli di Dio. Il racconto di Adamo ed Eva ci rende tutti parenti e se lo consideriamo come una metafora è una rappresentazione impeccabile di quello che ora la paleontologia ha ricostruito: un unico antenato comune. Un antenato comune vissuto nella Rift Valley, in Etiopia, dove l’umanità è nata per poi spostarsi nell’Egitto e in Mesopotamia, e da lì nel resto del pianeta, un passo alla volta e tutti con un patrimonio genetico simile, perché l’evoluzione umana è talmente recente che ci sono più geni in comune tra un europeo e un aborigeno australiano, i due tipi più distanti, che tra due lupi dello stesso branco. La teoria poligenica, invece, affermò che quello che sosteneva la Bibbia erano sciocche superstizioni: gli uomini si erano evoluti da razze diverse. Voltaire e un africano non potevano avere un antenato comune. La teoria poligenica evolverà poi in quello che è stato chiamato darwinismo sociale, la teoria delle razze, superiori e inferiori, la pseudoscienza che deformando la teoria di Darwin, creerà la «base scientifica» per il razzismo omicida del XX secolo. Il darwinismo sociale, base «scientifica» del razzismo, non è una scienza, ma una pseudoscienza, cioè è una costruzione mentale di cui non esiste dimostrazione. «I negri sono esseri inferiori, e se non possono essere schiavi meglio siano uccisi»: lo ha scritto Voltaire. Egli è un apostolo della più assoluta intolleranza. Écrasez l’infâme, schiacciate l’infame, è il suo grido di battaglia; l’ultima frase da lui pronunciata sul letto di morte è: «Odio l’umanità»; di Gesù Cristo scrive: «Odio quell’uomo». Odiare qualcuno che è morto con un supplizio atroce, senza avere mai fatto male a nessuno, è già una prova di una mancanza di etica strutturale. La famosa frase «non approvo quello che dici, ma sono disposto a morire perché tu possa continuare a dirlo», Voltaire non l’ha mai detta, né scritta, né avrebbe potuto: il suo urlo è schiacciate l’infame, e gli infami sono tutti coloro che non la pensano come lui. Gli è attribuita perché di Voltaire si è costruito un santino, una versione apocrifa e idealizzata: spesso le versioni attuali del Dizionario filosofico sono amputate delle parti più razziste e antisemite per non fargli fare brutta figura. Pur di schiacciare gli infami, lo stesso Voltaire raccomanda la menzogna quando utile per screditare gli avversari. Sui nostri libri di storia «scientifici e oggettivi» le colpe dell’Illuminismo scompaiono, quelle del cristianesimo o, meglio, delle sue chiese, giganteggiano esasperate fino al parossismo. Voltaire è un campione dell’odio, e coloro che odia più di tutti sono gli ebrei. Li odia per la loro fede millenaria, e, come Hitler, per essere la «causa» del cristianesimo. Léon Poliakov, nella Storia dell’antisemitismo, ci parla del suo odio folle per gli ebrei, che è totale, strutturale, senza speranza, condiviso anche da Immanuel Kant, da Hegel, da Montesquieu, e di come i semi della catastrofe finale siano tutti lì. «È giusto che una specie così perversa (gli ebrei) divori sé stessa e che la terra venga purificata da questa razza», Voltaire. Chiedete e vi sarà dato: tempo meno di due secoli arriverà un caporale austriaco a mettere in atto il progetto. E il mondo si riempirà di orchi, fin oltre l’orizzonte, più atroci e terribili di come Tolkien li ha descritti. Nemmeno le zanne di Alien e lo sguardo vuoto di Terminator riusciranno a imitarne l’orrore. L’Illuminismo è un parricidio e comincia il pensiero woke. L’Illuminismo rinnega la storia precedente a sé stesso, tutto quello che lo ha preceduto, come barbarie assoluta e ingiustificata stupidità. Alla base di questo tipo di pensiero, del tutto irrazionale, c’è il piacere che il nostro cervello prova nel sentirsi superiore a qualcuno. La stessa superiorità millantata dal marxista, dal nazista, dal sessantottino, dal tizio/a con capelli viola/verdi che ci informa con quali pronomi vuole essere chiamato/a. Il cristianesimo era la nostra potenza, ci ha reso invincibili. Stiamo morendo per suicidio, e il suicidio è cominciato con l’Illuminismo, con il disprezzo per il cristianesimo, con la volontà di un branco di anatroccoli del pensiero di sentirsi superiori al cristianesimo. L’orgoglio è la follia che spinge l’uomo alla follia.
Ecco #DimmiLaVerità del 24 settembre 2025. Il nostro Fabio Amendolara commenta la condanna di Ciro Grillo e dei suoi amici e la proposta del Pd sulla violenza sessuale.
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Dagli arresti in Turchia agli attacchi in Africa, fino ai rischi per l’Europa: l’Isis mostra di essere ancora una minaccia globale. Nonostante le perdite, il gruppo resta attivo grazie a propaganda online e reti locali resilienti.
Gli arresti di settembre in Turchia — 161 sospetti legati allo Stato Islamico fermati in quasi metà delle province del Paese — hanno riacceso i riflettori su una minaccia che molti, troppo in fretta, avevano creduto ridimensionata. Lo ha annunciato il ministro degli Interni Ali Yerlikaya, sottolineando come gli indagati fornissero appoggio economico e logistico alla rete jihadista. La stretta di Ankara coincide con l’allarme delle Nazioni Unite: l’Isis sta vivendo una nuova fase, con attività crescenti in Africa occidentale, nel Sahel, ma anche nelle sue roccaforti originarie di Siria e Iraq. Secondo le stime, solo negli ultimi tre mesi oltre 200 persone sono state uccise da cellule jihadiste, in gran parte nell’Africa subsahariana.
Nato più di dieci anni fa da una scissione con al-Qaeda, lo Stato Islamico si è distinto fin dall’inizio per l’uso moderno dei social media e la capacità di trasformare il jihadismo in un progetto statuale. Tra il 2014 e il 2017 il Califfato controllava un terzo di Siria e Iraq, colpendo con attentati anche in Europa, da Parigi a Bruxelles, da Berlino a Londra. La caduta di Mosul e Raqqa, la morte di Abu Bakr al-Baghdadi e la resa a Baghouz nel 2019 ne avevano segnato la disfatta territoriale.
Ucciso Omar Abdul Qader uno leader dell’Isis
Eppure, l’offensiva internazionale non ha cancellato del tutto la minaccia. L’esercito statunitense ha annunciato di recente che le forze del Comando centrale (CENTCOM) hanno condotto un raid in Siria, eliminando Omar Abdul Qader, descritto come «un membro dell’ISIS che cercava attivamente di attaccare gli Stati Uniti». Secondo il CENTCOM, la sua morte compromette la capacità del gruppo di pianificare operazioni contro obiettivi americani e alleati. Commentando l’operazione, l’ammiraglio Brad Cooper ha ribadito che Washington «non cederà nella caccia ai terroristi» e ha lodato i suoi uomini per l’efficacia della missione. Negli ultimi anni, le operazioni mirate hanno eliminato numerosi leader e finanziatori del gruppo, ma le cellule locali continuano a resistere, soprattutto nelle aree desertiche tra Siria e Iraq, mantenendo un potenziale destabilizzante nonostante le perdite.
Il problema è che l’Isis ha smesso da tempo di essere solo una milizia da contrastare sul terreno: oggi è una sigla, un marchio, una narrativa che trova nuova linfa nelle periferie globali e nelle zone grigie degli Stati fragili. Non più solo moschee o circoli clandestini: il motore principale della propaganda è online. Dalle nasheed ai video violenti, i contenuti digitali sostituiscono il reclutamento diretto, rendendo più difficile la prevenzione. A Smirne, in Turchia, un ragazzo di 16 anni ha ucciso due poliziotti dopo essersi immerso in materiale jihadista sul web. La promessa è sempre la stessa: appartenenza, riscatto e gloria eterna, indirizzata a giovani emarginati e vulnerabili.
In Africa le azioni piu’ cruente
Se in Medio Oriente lo Stato Islamico è ridotto ad azioni di guerriglia, l’Africa è ormai il suo laboratorio. In Nigeria, i gruppi affiliati hanno attaccato fedeli in preghiera e interi villaggi. In Mozambico, la filiale locale ha intensificato le incursioni a Cabo Delgado: ad agosto oltre 60 civili sono stati massacrati e centinaia di abitazioni bruciate. I jihadisti hanno istituito posti di blocco per sequestrare viaggiatori e imporre tasse ai cristiani. Dal 2017, più di mezzo milione di persone sono fuggite dal nord del Mozambico. All’inizio di agosto, nella Repubblica Democratica del Congo, i miliziani affiliati allo Stato Islamico hanno massacrato almeno 60 persone durante un funerale nel Nord Kivu.Questi scenari mostrano come l’Isis si sia trasformato in una rete diffusa e resiliente, capace di sfruttare la fragilità degli Stati africani e l’assenza di controllo delle periferie. Mentre i governi centrali si dimostrano incapaci di proteggere i propri cittadini, i jihadisti si presentano come alternativa di potere, imponendo tasse, regole e tribunali improvvisati. Una logica di proto-Stato che ricalca, in scala ridotta, l’esperienza del Califfato in Medio Oriente.
L’Europa in allerta
Il pericolo non si ferma in Africa. I servizi di intelligence europei avvertono che la propaganda online potrebbe risvegliare cellule dormienti o spingere singoli radicalizzati a colpire, come negli anni delle stragi di Parigi e Bruxelles. Il rischio è duplice: da un lato i foreign fighters di ritorno, difficili da monitorare; dall’altro giovani europei radicalizzati sul web. Le rotte migratorie dall’Africa, inoltre, potrebbero essere sfruttate come canali di infiltrazione. La riduzione della presenza occidentale e l’intervento russo, salutato dai regimi golpisti locali come garanzia di stabilità, hanno peggiorato la situazione. I mercenari inviati da Mosca non hanno sconfitto i jihadisti: al contrario, le violenze sono aumentate e intere aree restano fuori controllo. L’instabilità del Sahel rischia così di trasformarsi in una miccia pronta a incendiare l’intero continente africano e, con esso, a minacciare direttamente l’Europa. In questo contesto, il Marocco appare l’unico Paese in grado di proporre un modello credibile di contenimento. Rabat dispone di un apparato di intelligence riconosciuto a livello internazionale, di una diplomazia religiosa che diffonde un islam moderato e di infrastrutture economiche come Tanger Med che la proiettano come potenza regionale. Non a caso, diversi analisti sottolineano che solo una strategia basata sul sostegno al modello marocchino può impedire che il Sahel esploda, aprendo la strada a una destabilizzazione dagli effetti globali.
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Giuseppe Pignatone (Ansa)