
La Germania dà a Rheinmetall un appalto da 390 milioni per laser anti droni. E il fondo per la Difesa tedesco favorirà ditte autoctone. Solo l’8% dei contratti con fornitori americani. Ultimo chiodo sulla bara del mercato unico, che in teoria Bruxelles dovrebbe tutelare.È noto che la libera concorrenza sia il totem della Ue. Inviolabile, da proteggere dalle grinfie di oligopolisti e monopolisti, assetati di profitti e di rendite di posizione, magari all’ombra del committente statale.Questa è la propaganda. Poi c’è la realtà, diametralmente opposta, che offre un mercato segmentato, con barriere all’entrate insormontabili e con gli Stati membri sempre con un occhio di riguardo verso i fornitori nazionali. In Germania è il gigante Rheinmetall a farla da padrone.Che si tratti di terra, acqua, aria o spazio, Rheinmetall c’è sempre. Così come le commesse milionarie del governo tedesco che affluiscono copiose. Invece, l’italiana Fincantieri da anni cerca invano una maggiore integrazione con la divisione sottomarini di Thyssenkrupp, ottenendo finora solo accordi di collaborazione commerciale. I tedeschi hanno fatto muro e ora, con la quotazione prevista per fine anno, sarà molto probabilmente un’altra azienda tedesca la prescelta per unire le forze, creando un campione nazionale tedesco.Rheinmetall occupa di fatto la posizione di sostanziale monopolista del settore, almeno quando il compratore è il governo federale di Berlino. Un’ulteriore conferma è arrivata domenica dal quotidiano Die Welt. Questa volta si tratta dello sviluppo di un sistema laser in dotazione alle navi per difendersi da droni e missili. Le informazioni raccolte da Die Welt riferiscono di un contratto ad affidamento diretto - quindi senza appalto pubblico e procedura competitiva - per 390 milioni relativo alla fornitura entro il 2029 di tre prototipi alle forze armate tedesche. Si tratta dell’ultima frontiera della tecnologia per contrastare droni, aerei o missili. Die Welt riporta che alcuni sistemi già disponibili oggi possono abbattere da 20 a 30 droni al minuto grazie alla ricarica continua delle batterie, con un costo per abbattimento stimato nell’ordine di poche decine di euro. Al contrario, abbattere un drone con un missile comporta un costo di circa 400.000 euro per un drone che vale poche migliaia di euro.Le regole prevedono, in linea di principio, una gara aperta e competitiva tra i potenziali fornitori con sede nella Ue. Invece, in questo caso, nulla di tutto ciò, perché si è scelta la strada dell’affidamento diretto, possibile solo quando, tra altre motivazioni, ci siano esigenze di sicurezza nazionale.Il caso è esploso quando l’esponente dei Verdi Sebastian Schäfer ha denunciato la scarsa trasparenza di questo affidamento e il sostanziale aggiramento della concorrenza, favorito dal governo. «Se il governo decidesse di creare un campione nazionale, dovrebbe farlo in modo trasparente e non aggirare la concorrenza aperta sfruttando le possibilità offerte dalle normative sugli appalti», è stato il suo caustico commento.Ciò che rende la vicenda ancora più grave è l’effettiva esistenza di un concorrente potenziale che avrebbe potuto ingaggiare con Rheinmetall una gara al massimo ribasso. Si tratta dell’australiana Eos che già offre sistemi comparabili con performance superiori e costi pari alla metà.Ma qui entra in gioco la componente della sicurezza nazionale. Pur avendo gli australiani delle filiali in Germania, c’è il timore che si crei una dipendenza da un fornitore estero per beni così strategicamente rilevanti e quindi la scelta è caduta sul fornitore nazionale. Argomento che però non regge nel caso specifico, perché Eos ha trasferito i brevetti in Germania, rendendo il sistema laser un sistema tedesco a tutti gli effetti.Il gruppo guidato dal ceo Armin Papperger - secondo quanto denuncia Schäfer - si è aggiudicato la gran parte del fondo speciale attivato dal governo tedesco per la Difesa, fatta eccezione per la quota destinata a fornitori Usa. Che però non sono più in cima alle preferenze di Berlino.Infatti il piano di acquisti di armi del governo federale per i prossimi 12 mesi - all’esame della commissione Bilancio del Bundestag e reso noto da Politico.Eu - vede i fornitori Usa aggiudicarsi solo l’8% del budget pari a 83 miliardi. Nell’elenco, che contiene tutti i contratti di importo superiore a 25 milioni, i produttori Usa bisogna trovarli col lanternino e invece primeggiano i gruppi europei. In testa a tutti, il gruppo tedesco Thyssenkrupp con un programma di 26 miliardi per lo sviluppo di navi da guerra. Con buona pace delle promesse di ingenti acquisti di armi Usa fatte da Ursula von der Leyen a Donald Trump in Scozia.Die Welt spiega che dal febbraio 2022 Papperger ha smesso di implorare commesse ai politici che ora bussano alla sua porta. Il risultato è che il valore in Borsa del suo gruppo è cresciuto di quasi 20 volte e l’azienda vende al governo federale tutta la sua ormai vastissima gamma di sistemi d’arma. Anche quelli che non ha, come nel caso dei sistemi laser.Ricordiamo che da anni la Commissione dispensa poco credibili sermoni su pagliuzze come la concorrenza e la contendibilità delle aree demaniali destinate a spiagge. Oppure non possiamo dimenticare che nel 2014 fu impedita la ricapitalizzazione di una irrilevante banca locale come l’abruzzese Tercas da parte del Fondo interbancario perché sarebbe stata distorsiva della concorrenza. Con ciò determinando una catena di dissesti nel settore bancario italiano da cui ci siamo ripresi solo pochi anni fa.Nessuna parola invece sulla trave costituita dalla concorrenza, ormai lettera morta da quando è partita la corsa agli armamenti. Ognuno per sé e del mercato unico è rimasto solo uno sbiadito ricordo.
Ambrogio Cartosio (Imagoeconomica). Nel riquadro, Anna Gallucci
La pm nella delibera del 24 aprile 2024: «Al procuratore Ambrogio Cartosio non piacque l’intercettazione a carico del primo cittadino di Mezzojuso», sciolto per infiltrazione mafiosa. Il «Fatto» la denigra: «Sconosciuta».
Dopo il comunicato del senatore del Movimento 5 stelle Roberto Scarpinato contro la pm Anna Gallucci era inevitabile che il suo ufficio stampa (il Fatto quotidiano) tirasse fuori dai cassetti le presunte valutazioni negative sulla toga che ha osato mettere in dubbio l’onorabilità del politico grillino. Ma il quotidiano pentastellato non ha letto tutto o l’ha letto male.
Federico Cafiero De Raho (Ansa)
L’ex capo della Dna inviò atti d’impulso sul partito di Salvini. Ora si giustifica, ma scorda che aveva già messo nel mirino Armando Siri.
Agli atti dell’inchiesta sulle spiate nelle banche dati investigative ai danni di esponenti del mondo della politica, delle istituzioni e non solo, che ha prodotto 56 capi d’imputazione per le 23 persone indagate, ci sono due documenti che ricostruiscono una faccenda tutta interna alla Procura nazionale antimafia sulla quale l’ex capo della Dna, Federico Cafiero De Raho, oggi parlamentare pentastellato, rischia di scivolare. Due firme, in particolare, apposte da De Raho su due comunicazioni di trasmissione di «atti d’impulso» preparati dal gruppo Sos, quello che si occupava delle segnalazioni di operazione sospette e che era guidato dal tenente della Guardia di finanza Pasquale Striano (l’uomo attorno al quale ruota l’inchiesta), dimostrano una certa attenzione per il Carroccio. La Guardia di finanza, delegata dalla Procura di Roma, dove è approdato il fascicolo già costruito a Perugia da Raffaele Cantone, classifica così quei due dossier: «Nota […] del 22 novembre 2019 dal titolo “Flussi finanziari anomali riconducibili al partito politico Lega Nord”» e «nota […] dell’11 giugno 2019 intitolata “Segnalazioni bancarie sospette. Armando Siri“ (senatore leghista e sottosegretario fino al maggio 2019, ndr)». Due atti d’impulso, diretti, in un caso alle Procure distrettuali, nell’altro alla Dia e ad altri uffici investigativi, costruiti dal Gruppo Sos e poi trasmessi «per il tramite» del procuratore nazionale antimafia.
Donald Trump e Sanae Takaichi (Ansa)
Il leader Usa apre all’espulsione di chi non si integra. E la premier giapponese preferisce una nazione vecchia a una invasa. L’Inps conferma: non ci pagheranno loro le pensioni.
A voler far caso a certi messaggi ed ai loro ritorni, all’allineamento degli agenti di validazione che li emanano e ai media che li ripetono, sembrerebbe quasi esista una sorta di coordinamento, un’«agenda» nella quale sono scritte le cadenze delle ripetizioni in modo tale che il pubblico non solo non dimentichi ma si consolidi nella propria convinzione che certi principi non sono discutibili e che ciò che è fuori dal menù non si può proprio ordinare. Uno dei messaggi più classici, che viene emanato sia in occasione di eventi che ne evocano la ripetizione, sia più in generale in maniera ciclica come certe prediche dei parroci di una volta, consiste nella conferma dell’idea di immigrazione come necessaria, utile ed inevitabile.
Adolfo Urso (Imagoeconomica)
Il titolare del Mimit: «La lettera di Merz è un buon segno, dimostra che la nostra linea ha fatto breccia. La presenza dell’Italia emerge in tutte le istituzioni europee. Ora via i diktat verdi o diventeremo un museo. Chi frena è Madrid, Parigi si sta ravvedendo».
Giorni decisivi per il futuro del Green Deal europeo ma soprattutto di imprese e lavoratori, già massacrati da regole asfissianti e concorrenza extra Ue sempre più sofisticata. A partire dall’auto, dossier sul quale il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha dedicato centinaia di riunioni.






