2018-12-16
L’hanno ucciso gli islamisti, non i sovranisti
La vita di Antonio Megalizzi l'ha spezzata un colpo di pistola in testa, sparato da un terrorista che ha gridato «Allah è grande». È l'ennesimo caduto nella guerra che ci hanno dichiarato i jihadisti. Chi parla di martire dell'Europa strumentalizza un assassinio.Era un ragazzo di 29 anni che sognava di fare il giornalista e di girare il mondo, come quasi tutti i giovani che vogliono fare i giornalisti. In testa aveva tante aspirazioni e mille speranze, insieme con una voglia di vivere che a vent'anni ti fa pensare di poter fare tutto e di poter cambiare ogni cosa. Il lavoro lo aveva trovato a Strasburgo, nella radio che trasmette dal Parlamento, e di certo sognava di poterlo fare raccontando i segreti dell'Europa. La sua vita, invece, si è spenta a dieci giorni dal Natale, mentre passeggiava tra le bancarelle delle feste. Un colpo in testa, sparato da un terrorista che ha gridato «Allah è grande» e ha ucciso convinto di combattere una guerra santa in nome e per conto del suo dio.Antonio Megalizzi aveva una vita davanti, ma cinque giorni fa, a Strasburgo, si è trovato davanti un assassino mandato da una banda di assassini, e dopo tre giorni di coma è deceduto. Lui come altre tre persone e come, prima di lui, altri giovani italiani, uccisi nella stessa folle guerra. Una lista di morti che anno dopo anno si allunga e alla quale assistiamo impotenti dopo aver recitato le solite formule di rito. Le frasi ormai sono scontate: il terrorismo non vincerà; la paura non ci farà cambiare il nostro modo di vivere; la democrazia è più forte. Chiacchiere.Il modo migliore per ricordare Antonio e quelli che sono venuti prima di Antonio è impedire che quanto è successo a lui e agli altri si ripeta, sgominando le bande criminali e colpendo, oltre ai killer, i predicatori d'odio. Il solo modo di ricordare le vittime, infatti, non è organizzare veglie o manifestazioni e neppure deporre una rosa o fermare il parlamento per un minuto o per un'ora di silenzio. L'unico modo è combattere una guerra che non abbiamo dichiarato, ma che è in atto e che, mentre noi ci consoliamo con la solidità della nostra democrazia e della nostra superiorità culturale, continua a fare vittime.Ho letto molti commenti sulla morte del giovane trentino. C'è chi lo ha definito un eroe mentre altri, oltre alla sua passione per il giornalismo, hanno raccontato che sognava un'Europa unita e un mondo senza guerra. Ossia sognava ciò che sogna chiunque, in particolare un giovane. Tuttavia, ciò che mi ha colpito è che si sia dedicato più spazio a tutto ciò, cioè alle idee del giovane assassinato che a quelle del suo assassino. Antonio non è morto per la mancanza di un'Europa unita, né sono stati i missili di qualche Paese occidentale a ucciderlo. Non sono state le polemiche fra gli Stati dell'Ue ad ammazzarlo, né le armi usate a scopo di difesa in Siria, in Libia o in Iraq. A sparargli un colpo alla testa è stato un giovane marocchino radicalizzato, che la Francia aveva accolto insieme ai suoi genitori. Chérif Chekatt era un fondamentalista, uno che sulla fronte aveva il segno della zebida, ossia il callo lasciato dalla prostrazione cinque volte al giorno sul tappeto delle preghiere. E invece, a leggere le cronache dei giornali e le testimonianze, questo dettaglio che riguarda il killer sembra sfumare. Chekatt era uno sbandato, uno che aveva una collezione di condanne, schedato come pericoloso e controllato dalla polizia perché nel corso degli anni si era imbottito la testa con il fondamentalismo religioso. Ma questo è secondario. Ciò che conta è l'Europa, anzi il sogno spezzato di Antonio.Il risultato è che leggendo certi editoriali sembra che ad assassinare il giovane collega non sia stato un terrorista islamico, che ha gridato «Allah è grande», ma un sovranista, uno che non crede nell'Europa unita, equa e solidale. Negli articoli di commento la drammatica fine di Antonio Megalizzi è raccontata come quella di un eroe moderno che a Strasburgo combatteva una lotta intensa per consentire che non ci fossero più le piccole patrie o le nazioni, ma una sola grande patria, ossia quella riunita sotto la bandiera blu e le sue 12 stelle. Sì, forse il giovane di Trento combatteva la sua lotta per l'Europa, ma non è di quella che è morto. È stato ucciso da un terrorista islamico, cioè da uno a cui dell'Europa unita non importava nulla, ma che voleva solo la sottomissione dell'Europa e dei suoi abitanti. Antonio non era un soldato della Ue e non era neppure un eroe. Era semplicemente un giovane in cerca di lavoro, anzi di quel lavoro da giornalista che gli piaceva e che voleva fare a Strasburgo o in qualsiasi altro posto intorno al mondo gli fosse concesso. Tutto il resto, le frasi sui cittadini del Vecchio Continente, l'appropriazione indebita della sua tragedia, la retorica europeista di una signora come Emma Bonino, che fa propaganda al suo partito, sono solo una cinica strumentalizzazione di un assassinio, per parlare di altro tranne che del killer e di chi lo ha armato.