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2021-01-29
Renzi, lodi al regime e comizio al Colle
Matteo Renzi (Ansa)
Da Italia viva a Italia Saudita, passando per una possibile violazione della quarantena celebrata con spavalderia, in diretta televisiva (dal Quirinale!). Sono state molto intense le ultime 48 ore di Matteo Renzi, che non avrebbe osservato le disposizioni sanitarie cui ogni italiano deve attenersi. Malgrado avesse innescato lui stesso una crisi, il leader di Iv aveva pensato di volare a Riad, per una conferenza organizzata da un istituto che è diretta emanazione della famiglia regnante saudita. Un particolare di cui nessuno sarebbe forse venuto a conoscenza se l'imminenza delle consultazioni non avesse costretto l'uomo di Rignano a tornare precipitosamente in Italia, e se un inchiestista di Domani - Emiliano Fittipaldi - non lo avesse rintracciato. Peccato che l'Arabia sia uno dei Paesi per cui esiste un obbligo di quarantena in isolamento volontario. Dopo aver consultato il regolamento sul sito del ministero, compongo il numero informativo «1500» del ministero della Salute. Rispondono diverse operatrici. Alla prima chiedo: «Se sono stato a Riad per un viaggio di lavoro sono vincolato all'isolamento volontario?». Risponde con tono inflessibile: «Per il bene suo, e della sua famiglia lei non deve avere contatti con nessuno per 14 giorni». Alla seconda chiedo: «Mi perdoni, sono tornato dall'Arabia Saudita ma ho un importante e indifferibile colloquio di lavoro a Roma». Anche questa è netta: «Guardi, non c'è solo il problema delle sanzioni a cui lei può andare incontro. C'è il rischio di trasmettere il virus qualora lei lo stesse incubando». Nel questionario a disposizione del sito: «Sono previste eccezioni alla sorveglianza sanitaria» per «funzionari e agenti dell'Unione europea, di organizzazioni internazionali, agenti diplomatici, personale amministrativo e tecnico delle missioni diplomatiche, funzionari e impiegati consolari, personale militare e della polizia di Stato, personale del Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e dei vigili del fuoco, nell'esercizio delle loro funzioni».
Non sono citati esplicitamente i parlamentari, e in ogni caso si specifica «nell'esercizio delle loro e funzioni». Ma, come è noto, Renzi non era lì in missione diplomatica ma per un suo impegno lavorativo alle dipendenze della Future investment initiative. Siede nel board di questo organismo, e percepisce dall'organizzazione saudita che promuove gli eventi una retribuzione di 80.000 dollari. Tuttavia l'uomo di Rignano non si deve essere preoccupato nemmeno del potenziale rischio a cui ha sottoposto Sergio Mattarella. Fra l'altro, malgrado solo questo quotidiano, il Fatto, Tpi e Domani abbiano scritto degli aspetti paradossali di questa vicenda e dei possibili conflitti di interessi che comporta, da Italia viva, in via informale ieri erano trapelate indiscrezioni preventive secondo cui il tema della quarantena sarebbe stato risolto per effetto di una presunta vaccinazione anti-Covid fatta da Renzi in Arabia Saudita. Poi che Renzi avrebbe fatto un tampone sia alla sua partenza per l'Arabia, sia al ritorno in Italia tre notti fa, e che questo avrebbe tutelato il presidente della Repubblica e i suoi collaboratori. In attesa di chiarimenti da parte del senatore, resta il fatto che nessun vaccino garantisce copertura dal virus in così poco tempo, né preserva da un eventuale rischio e (soprattutto) nessun vaccino esclude dal rischio di contagiare terzi, nel caso si stesse incubando. E in terzo luogo perché un tampone negativo non esclude purtroppo che il soggetto possa essere contagioso: ed è proprio questo che ha spinto Speranza e Brusaferro a stringere i protocolli (in particolare da alcuni paesi) abolendo addirittura la soglia di 48 ore che in alcuni casi era stata prevista come eccezione alla regola.
Ma il punto più basso di questa vicenda resta il video di 17 lunghissimi minuti che in qualsiasi altro Paese del mondo avrebbe esposto un rappresentante eletto allo sdegno, al ridicolo, o a entrambi i sentimenti. In quei 17 minuti Renzi, come fosse una Daria Bignardi delle monarchie teocratiche, intervista, gratificandolo di entusiastici appellativi «my friend, your Royal Highness» Bin Salman. Fatto singolare: l'uomo che ha rinfacciato le relazioni con Putin alla Lega, quelle con Maduro al M5s, si dimentica di qualsiasi violazione dei diritti civili in Arabia Saudita. L'uomo che si veste come entusiasta interprete della causa dem ignora la privazione dei diritti delle donne del regime di Riad, parla come se non conoscesse i dettagli del supplizio a cui è stato sottoposto l'editorialista del Washington Post Jamal Kashoggi, entrato intero è uscito a pezzi (nell'ottobre 2018) dal consolato saudita di Istanbul. Renzi intervista il sovrano con un piglio apologetico che fa sembrare le interviste di Fabio Fazio feroci, e si concede persino (in un Paese in cui molti lavoratori stranieri operano in condizioni proibitive) una battutina su di loro: «Non mi parli del costo del lavoro a Riad, come italiano io sono geloso».
Ma il cuore di questa intervista è il ruolo: Renzi, che pure percepisce uno stipendio dallo Stato italiano per rappresentare i suoi cittadini, agisce, parla e decanta (in inglese) la necessità «di investire nel nuovo rinascimento saudita». Una chicca: questi slogan, il titolo del convegno internazionale di Riad, sono sue idee. Ieri, però, la sfortuna ha colpito ancora una volta lo statista di Rignano: nella stessa giornata in cui lui celebrava la sua apologia della teocrazia, l'America di Joe Biden sceglieva, tra le sue prime azioni di governo, di sospendere la vendita di armi al regime di Riad. Se Renzi sogna la poltrona della Nato, forse, l'enfasi da lobbista della teocrazia misogina non è stata la mossa più furba.
Il taxi volante del senatore semplice. Pagato dagli arabi 28.620 dollari
Una Rolls Royce dei cieli ha scarrozzato nella notte tra il 25 e il 26 gennaio il leader di Italia viva, Matteo Renzi, durante il ritorno dalla sua trasferta in Arabia Saudita, interrotta precipitosamente per rientrare a Roma a seguire da vicino gli sviluppi della crisi di governo.
La conferenza, intitolata «Future investment initiative», si è svolta il 27 e 28 gennaio e gli interventi dell'ex Rottamatore erano entrambi previsti il secondo giorno.
Il jet privato con cui l'ex premier è partito da Riad alla volta di Roma è un Gulfstream G450 immatricolato HZ-A23 della compagnia privata Alpha Star, che ha sede proprio nella città saudita dove Renzi si è recato per partecipare ad un evento organizzato dal Fii institute, organismo controllato dal fondo sovrano saudita.
Una compagnia nota anche in Italia, per aver ordinato aerei Atr 72, fabbricati dal consorzio partecipato da Leonardo.
Il volo però risulta essere stato gestito da un'altra compagnia saudita con sede a Jeddah, la Aviation Horizon, proprietaria anch'essa di un G450, che non risulta aver volato durante l'ultimo anno. Sembra che Renzi abbia usufruito del lussuoso transfert nella sua qualità di membro del board di Fii (ruolo ben specificato nel programma dell'evento), che gli permetterebbe di avere a disposizione l'aereo, un 14 posti della categoria Super large jet, capace di volare senza scali da Ginevra a New York.
A bordo i passeggeri vengono ospitati in tre aree salotto separate, dotate di poltrone e divani in pelle e possono usufruire di una cucina. Il volo su un aereo come quello che ha trasportato il leader di Italia viva è un benefit che ai suoi ospiti sauditi può essere costato circa 5.300 dollari l'ora (il prezzo dei voli business varia in base al numero di passeggeri trasportati). Partendo da questa cifra indicativa un volo come quello Riad-Roma, durato 5 ore e 40 minuti, ha un costo di 28.620 dollari. A questo va aggiunto l'eventuale ritorno a vuoto presso l'aeroporto di stazionamento, che normalmente è a carico del cliente e che, nel caso di HZ-A23 è durato 4 ore e 10 minuti.
Del resto, il Gulfstream G450 non è un aereo alla portata di molti: sul mercato dell'usato i prezzi spaziano tra 8,4 e 15,5 milioni di dollari.
Il 25 gennaio, mentre Renzi è a Riad la giornata politica è scandita dai rumor su imminenti dimissioni del premier Giuseppe Conte, alle 19.22 le agenzie di stampa iniziano a diffondere la nota di Palazzo Chigi che annuncia il Consiglio dei ministri delle 9 del giorno dopo, «nel corso del quale il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, comunicherà ai ministri la volontà di recarsi al Quirinale per rassegnare le sue dimissioni. A seguire, il presidente Conte si recherà dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella». La crisi è quindi ufficiale mentre Renzi sta forse limando i due interventi che avrebbe dovuto tenere ieri in due diversi panel. Alle 22.27 il Gulfstream G450 immatricolato in Arabia Saudita decolla da Riad con a bordo l'ex premier, e atterra a Fiumicino alle 2.06. In tempo per dettare la linea ai suoi parlamentari senza che nessuno si sia accorto della sua assenza. O quasi.
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Nel suo intervento a Riad, il leader di Iv ha coperto di elogi l'autocrate Mohammed bin Salman: «Da qui può partire un nuovo rinascimento». Poi è decollato verso Roma per le consultazioni. Ma per il centralino del ministero, chi torna dall'Arabia deve stare in isolamentoIl lussuoso jet privato che l'ha riportato in Italia era un benefit per i conferenzieriLo speciale contiene due articoliDa Italia viva a Italia Saudita, passando per una possibile violazione della quarantena celebrata con spavalderia, in diretta televisiva (dal Quirinale!). Sono state molto intense le ultime 48 ore di Matteo Renzi, che non avrebbe osservato le disposizioni sanitarie cui ogni italiano deve attenersi. Malgrado avesse innescato lui stesso una crisi, il leader di Iv aveva pensato di volare a Riad, per una conferenza organizzata da un istituto che è diretta emanazione della famiglia regnante saudita. Un particolare di cui nessuno sarebbe forse venuto a conoscenza se l'imminenza delle consultazioni non avesse costretto l'uomo di Rignano a tornare precipitosamente in Italia, e se un inchiestista di Domani - Emiliano Fittipaldi - non lo avesse rintracciato. Peccato che l'Arabia sia uno dei Paesi per cui esiste un obbligo di quarantena in isolamento volontario. Dopo aver consultato il regolamento sul sito del ministero, compongo il numero informativo «1500» del ministero della Salute. Rispondono diverse operatrici. Alla prima chiedo: «Se sono stato a Riad per un viaggio di lavoro sono vincolato all'isolamento volontario?». Risponde con tono inflessibile: «Per il bene suo, e della sua famiglia lei non deve avere contatti con nessuno per 14 giorni». Alla seconda chiedo: «Mi perdoni, sono tornato dall'Arabia Saudita ma ho un importante e indifferibile colloquio di lavoro a Roma». Anche questa è netta: «Guardi, non c'è solo il problema delle sanzioni a cui lei può andare incontro. C'è il rischio di trasmettere il virus qualora lei lo stesse incubando». Nel questionario a disposizione del sito: «Sono previste eccezioni alla sorveglianza sanitaria» per «funzionari e agenti dell'Unione europea, di organizzazioni internazionali, agenti diplomatici, personale amministrativo e tecnico delle missioni diplomatiche, funzionari e impiegati consolari, personale militare e della polizia di Stato, personale del Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e dei vigili del fuoco, nell'esercizio delle loro funzioni». Non sono citati esplicitamente i parlamentari, e in ogni caso si specifica «nell'esercizio delle loro e funzioni». Ma, come è noto, Renzi non era lì in missione diplomatica ma per un suo impegno lavorativo alle dipendenze della Future investment initiative. Siede nel board di questo organismo, e percepisce dall'organizzazione saudita che promuove gli eventi una retribuzione di 80.000 dollari. Tuttavia l'uomo di Rignano non si deve essere preoccupato nemmeno del potenziale rischio a cui ha sottoposto Sergio Mattarella. Fra l'altro, malgrado solo questo quotidiano, il Fatto, Tpi e Domani abbiano scritto degli aspetti paradossali di questa vicenda e dei possibili conflitti di interessi che comporta, da Italia viva, in via informale ieri erano trapelate indiscrezioni preventive secondo cui il tema della quarantena sarebbe stato risolto per effetto di una presunta vaccinazione anti-Covid fatta da Renzi in Arabia Saudita. Poi che Renzi avrebbe fatto un tampone sia alla sua partenza per l'Arabia, sia al ritorno in Italia tre notti fa, e che questo avrebbe tutelato il presidente della Repubblica e i suoi collaboratori. In attesa di chiarimenti da parte del senatore, resta il fatto che nessun vaccino garantisce copertura dal virus in così poco tempo, né preserva da un eventuale rischio e (soprattutto) nessun vaccino esclude dal rischio di contagiare terzi, nel caso si stesse incubando. E in terzo luogo perché un tampone negativo non esclude purtroppo che il soggetto possa essere contagioso: ed è proprio questo che ha spinto Speranza e Brusaferro a stringere i protocolli (in particolare da alcuni paesi) abolendo addirittura la soglia di 48 ore che in alcuni casi era stata prevista come eccezione alla regola. Ma il punto più basso di questa vicenda resta il video di 17 lunghissimi minuti che in qualsiasi altro Paese del mondo avrebbe esposto un rappresentante eletto allo sdegno, al ridicolo, o a entrambi i sentimenti. In quei 17 minuti Renzi, come fosse una Daria Bignardi delle monarchie teocratiche, intervista, gratificandolo di entusiastici appellativi «my friend, your Royal Highness» Bin Salman. Fatto singolare: l'uomo che ha rinfacciato le relazioni con Putin alla Lega, quelle con Maduro al M5s, si dimentica di qualsiasi violazione dei diritti civili in Arabia Saudita. L'uomo che si veste come entusiasta interprete della causa dem ignora la privazione dei diritti delle donne del regime di Riad, parla come se non conoscesse i dettagli del supplizio a cui è stato sottoposto l'editorialista del Washington Post Jamal Kashoggi, entrato intero è uscito a pezzi (nell'ottobre 2018) dal consolato saudita di Istanbul. Renzi intervista il sovrano con un piglio apologetico che fa sembrare le interviste di Fabio Fazio feroci, e si concede persino (in un Paese in cui molti lavoratori stranieri operano in condizioni proibitive) una battutina su di loro: «Non mi parli del costo del lavoro a Riad, come italiano io sono geloso». Ma il cuore di questa intervista è il ruolo: Renzi, che pure percepisce uno stipendio dallo Stato italiano per rappresentare i suoi cittadini, agisce, parla e decanta (in inglese) la necessità «di investire nel nuovo rinascimento saudita». Una chicca: questi slogan, il titolo del convegno internazionale di Riad, sono sue idee. Ieri, però, la sfortuna ha colpito ancora una volta lo statista di Rignano: nella stessa giornata in cui lui celebrava la sua apologia della teocrazia, l'America di Joe Biden sceglieva, tra le sue prime azioni di governo, di sospendere la vendita di armi al regime di Riad. Se Renzi sogna la poltrona della Nato, forse, l'enfasi da lobbista della teocrazia misogina non è stata la mossa più furba.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lex-premier-dai-sauditi-e-giallo-quarantena-2650172681.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-taxi-volante-del-senatore-semplice-pagato-dagli-arabi-28-620-dollari" data-post-id="2650172681" data-published-at="1611867969" data-use-pagination="False"> Il taxi volante del senatore semplice. Pagato dagli arabi 28.620 dollari Una Rolls Royce dei cieli ha scarrozzato nella notte tra il 25 e il 26 gennaio il leader di Italia viva, Matteo Renzi, durante il ritorno dalla sua trasferta in Arabia Saudita, interrotta precipitosamente per rientrare a Roma a seguire da vicino gli sviluppi della crisi di governo. La conferenza, intitolata «Future investment initiative», si è svolta il 27 e 28 gennaio e gli interventi dell'ex Rottamatore erano entrambi previsti il secondo giorno. Il jet privato con cui l'ex premier è partito da Riad alla volta di Roma è un Gulfstream G450 immatricolato HZ-A23 della compagnia privata Alpha Star, che ha sede proprio nella città saudita dove Renzi si è recato per partecipare ad un evento organizzato dal Fii institute, organismo controllato dal fondo sovrano saudita. Una compagnia nota anche in Italia, per aver ordinato aerei Atr 72, fabbricati dal consorzio partecipato da Leonardo. Il volo però risulta essere stato gestito da un'altra compagnia saudita con sede a Jeddah, la Aviation Horizon, proprietaria anch'essa di un G450, che non risulta aver volato durante l'ultimo anno. Sembra che Renzi abbia usufruito del lussuoso transfert nella sua qualità di membro del board di Fii (ruolo ben specificato nel programma dell'evento), che gli permetterebbe di avere a disposizione l'aereo, un 14 posti della categoria Super large jet, capace di volare senza scali da Ginevra a New York. A bordo i passeggeri vengono ospitati in tre aree salotto separate, dotate di poltrone e divani in pelle e possono usufruire di una cucina. Il volo su un aereo come quello che ha trasportato il leader di Italia viva è un benefit che ai suoi ospiti sauditi può essere costato circa 5.300 dollari l'ora (il prezzo dei voli business varia in base al numero di passeggeri trasportati). Partendo da questa cifra indicativa un volo come quello Riad-Roma, durato 5 ore e 40 minuti, ha un costo di 28.620 dollari. A questo va aggiunto l'eventuale ritorno a vuoto presso l'aeroporto di stazionamento, che normalmente è a carico del cliente e che, nel caso di HZ-A23 è durato 4 ore e 10 minuti. Del resto, il Gulfstream G450 non è un aereo alla portata di molti: sul mercato dell'usato i prezzi spaziano tra 8,4 e 15,5 milioni di dollari. Il 25 gennaio, mentre Renzi è a Riad la giornata politica è scandita dai rumor su imminenti dimissioni del premier Giuseppe Conte, alle 19.22 le agenzie di stampa iniziano a diffondere la nota di Palazzo Chigi che annuncia il Consiglio dei ministri delle 9 del giorno dopo, «nel corso del quale il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, comunicherà ai ministri la volontà di recarsi al Quirinale per rassegnare le sue dimissioni. A seguire, il presidente Conte si recherà dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella». La crisi è quindi ufficiale mentre Renzi sta forse limando i due interventi che avrebbe dovuto tenere ieri in due diversi panel. Alle 22.27 il Gulfstream G450 immatricolato in Arabia Saudita decolla da Riad con a bordo l'ex premier, e atterra a Fiumicino alle 2.06. In tempo per dettare la linea ai suoi parlamentari senza che nessuno si sia accorto della sua assenza. O quasi.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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Ecco #DimmiLaVerità del 10 dicembre 2025. Con il nostro Alessandro Rico analizziamo gli ostacoli che molti leader europei mettono sulla strada della pace in Ucraina.
L’intesa riguarda l’acquisto di un’area di 15.000 metri quadrati dal Consorzio ZAI e prevede un investimento complessivo di circa 20 milioni di euro. Si tratta di un progetto greenfield, cioè realizzato ex novo, che darà vita a un centro di manutenzione pensato fin dall’origine per rispondere alle esigenze della logistica ferroviaria europea e alla crescita del traffico merci su rotaia.
Il nuovo impianto sarà concepito secondo un modello open access, dunque accessibile a locomotive di diversi costruttori. L’hub ospiterà cinque binari dedicati alla manutenzione leggera e un binario riservato al tornio per la riprofilatura delle ruote, consentendo di effettuare test e interventi su locomotive multisistema e in corrente continua, compatibili con i principali sistemi di segnalamento europei. L’obiettivo è garantire elevati livelli di affidabilità e disponibilità operativa dei mezzi attraverso ispezioni programmate e interventi rapidi lungo l’intero ciclo di vita dei veicoli.
La scelta di Verona si lega alla centralità del corridoio Verona–Brennero, infrastruttura destinata a un deciso aumento della capacità ferroviaria con l’apertura della Galleria di Base del Brennero, prevista per il 2032. Il nuovo hub si inserirà inoltre in una rete già consolidata, integrandosi con il Rail Service Center di Siemens Mobility a Novara, operativo dal 2015 sul corridoio TEN-T Reno-Alpi e oggi punto di riferimento per la manutenzione di oltre 120 locomotive di operatori europei.
«Questo investimento rappresenta un ulteriore passo nel nostro impegno a favore di un trasporto merci sempre più sostenibile», ha dichiarato Pierfrancesco De Rossi, Ceo di Siemens Mobility in Italia. Secondo De Rossi, il nuovo hub di Verona è «una scelta strategica che conferma la fiducia di Siemens Mobility nel Paese e nel suo ruolo centrale nello sviluppo del settore», con l’obiettivo di rafforzare la posizione dell’Italia nella rete logistica europea e sostenere il passaggio verso modalità di trasporto meno impattanti.
Il progetto nasce dall’integrazione delle competenze delle due aziende. Siemens Mobility porterà a Verona l’esperienza maturata nella manutenzione delle locomotive dedicate al trasporto merci, mentre RAILPOOL contribuirà con il know-how sviluppato a livello europeo, facendo leva su sei officine di proprietà e su una rete di supporto che può contare su oltre 4.500 parti di ricambio disponibili a magazzino.
«Con il nuovo centro di manutenzione di Verona ampliamo il nostro potenziale manutentivo in una delle aree logistiche più strategiche d’Europa», ha spiegato Alberto Lacchini, General Manager di RAILPOOL Italia. Si tratta, ha aggiunto, di un investimento che riflette «un impegno di lungo periodo nel fornire soluzioni di leasing affidabili e complete», in grado di rispondere a esigenze operative in continua evoluzione.
La collaborazione tra Siemens Mobility e RAILPOOL si inserisce in un percorso avviato nel 2024, quando le due società hanno sottoscritto un accordo quadro per la fornitura a RAILPOOL di circa 250 locomotive, incluse le varianti multisistema Vectron oggi operative in 16 Paesi lungo i principali corridoi ferroviari europei.
Sul valore dell’investimento è intervenuta anche Barbara Cimmino, vice presidente di Confindustria per l’Export e l’Attrazione degli Investimenti e presidente dell’Advisory Board Investitori Esteri. «L’investimento di Siemens Mobility in Veneto è un segnale significativo per la competitività italiana», ha affermato, sottolineando come il progetto confermi la centralità del Paese nella logistica ferroviaria europea e nei processi di transizione sostenibile. Un’iniziativa che, secondo Cimmino, evidenzia il contributo degli investitori internazionali nel rafforzare le filiere strategiche e la capacità dell’Italia di offrire ecosistemi solidi e competenze tecniche avanzate.
Per Siemens Mobility, la manutenzione delle locomotive resta una delle attività centrali anche in Italia, all’interno di una rete globale che comprende oltre 100 sedi in più di 30 Paesi e circa 7.000 specialisti. L’apertura del nuovo hub di Verona consolida questo presidio e rafforza il ruolo del Paese come snodo industriale e logistico in una fase di forte crescita del trasporto merci su ferro.
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Attualmente gli Stati Uniti mantengono 84.000 militari in Europa, dislocati in circa cinquanta basi. I principali snodi si trovano in Germania, Italia e Regno Unito, mentre la Francia non ospita alcuna base americana permanente. Il quartier generale del comando statunitense in Europa è situato a Stoccarda, da dove viene coordinata una forza che, secondo un rapporto del Congresso, risulta «strettamente integrata nelle attività e negli obiettivi della Nato».
Sul piano strategico-nucleare, sei basi Nato, distribuite in cinque Paesi membri – Belgio, Germania, Italia, Paesi Bassi e Turchia – custodiscono circa 100 ordigni nucleari statunitensi. Si tratta delle bombe tattiche B61, concepite esclusivamente per l’impiego da parte di bombardieri o caccia americani o alleati certificati. Dalla sua istituzione nel 1949, con il Trattato di Washington, la Nato è stata il perno della sicurezza americana in Europa, come ricorda il Center for Strategic and International Studies. L’articolo 5 garantisce che un attacco contro uno solo dei membri venga considerato un’aggressione contro tutti, estendendo di fatto l’ombrello militare statunitense all’intero continente.
Questo impianto, rimasto sostanzialmente invariato dalla fine della Seconda guerra mondiale, oggi appare messo in discussione. Il discorso del vicepresidente J.D. Vance alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, i segnali di dialogo tra Donald Trump e Vladimir Putin sull’Ucraina e la diffusione di una dottrina strategica definita «aggressiva» da più capitali europee hanno alimentato il timore di un possibile ridimensionamento dell’impegno americano.
Sul fronte finanziario, Washington ha alzato ulteriormente l’asticella chiedendo agli alleati di destinare il 5% del Pil alla difesa. Un obiettivo giudicato irrealistico nel breve termine dalla maggior parte degli Stati membri. Nel 2014, solo tre Paesi – Stati Uniti, Regno Unito e Grecia – avevano raggiunto la soglia minima del 2%. Oggi 23 Paesi Nato superano quel livello, e 16 di essi lo hanno fatto soltanto dopo il 2022, sotto la spinta del conflitto ucraino. La guerra in Ucraina resta infatti il contesto determinante. La Russia controlla quasi il 20% del territorio ucraino. Già dopo l’annessione della Crimea nel 2014, la Nato aveva rafforzato il fianco orientale schierando quattro gruppi di battaglia nei Paesi baltici (Estonia, Lettonia, Lituania) e in Polonia. Dopo il 24 febbraio 2022, altri quattro battlegroup sono stati dispiegati in Bulgaria, Ungheria, Romania e Slovacchia.
Queste forze contano complessivamente circa 10.000 soldati, tra cui 770 militari francesi – 550 in Romania e 220 in Estonia – e si aggiungono al vasto sistema di basi navali, aeree e terrestri già presenti sul continente. Nonostante questi numeri, la capacità reale dell’Europa rimane limitata. Come osserva Camille Grand, ex vicesegretario generale della Nato, molti eserciti europei, protetti per decenni dall’ombrello americano e frenati da bilanci contenuti, si sono trasformati in «eserciti bonsai»: strutture ridotte, con capacità parziali ma prive di profondità operativa. I dati confermano il quadro: 12 Paesi europei non dispongono di carri armati, mentre 14 Stati non possiedono aerei da combattimento. In molti casi, i mezzi disponibili non sono sufficientemente moderni o pronti all’impiego.
La dipendenza diventa totale nelle capacità strategiche. Intelligence, sorveglianza e ricognizione, così come droni, satelliti, aerei da rifornimento e da trasporto, restano largamente insufficienti senza il supporto statunitense. L’operazione francese in Mali nel 2013 richiese l’intervento di aerei americani per il rifornimento in volo, mentre durante la guerra in Libia nel 2011 le scorte di bombe a guida laser si esaurirono rapidamente. Secondo le stime del Bruegel Institute, riprese da Le Figaro, per garantire una sicurezza credibile senza l’appoggio degli Stati Uniti l’Europa dovrebbe investire almeno 250 miliardi di euro all’anno. Una cifra che fotografa con precisione il divario accumulato e pone una domanda politica inevitabile: il Vecchio Continente è disposto a sostenere un simile sforzo, o continuerà ad affidare la propria difesa a un alleato sempre meno disposto a farsene carico?
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