2023-08-24
L’ex fascista che importò la sociologia in Italia: 127 anni fa nasceva Camillo Pellizzi
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Già consigliere di Benito Mussolini e presidente dell'Istituto Nazionale di Cultura Fascista, l’intellettuale, dopo un breve periodo di epurazione, diventerà nel dopoguerra il primo titolare di una cattedra di sociologia.Quasi nessuno lo sa, ma la sociologia, che negli anni della rivolta studentesca sarà quasi la disciplina principe, quella che forgerà la lingua del sinistrese, fu importata in Italia da un fascista. O, meglio, un ex fascista, certo ritiratosi dalla vita politica e per molti aspetti critico verso la sua militanza passata, ma non “pentito”. Parliamo di Camillo Pellizzi, il primo professore ordinario titolare di una cattedra di Sociologia in Italia, nonostante fosse stato fondatore del fascio di Londra, collaboratore del Popolo d’Italia, di Gerarchia e di Critica fascista, nonché, massimo riconoscimento, presidente dell'Istituto Nazionale di Cultura Fascista.Una circostanza che spesso imbarazza gli addetti ai lavori, come hanno riconosciuto Danilo Breschi e Gisella Longo nel loro Camillo Pellizzi. La ricerca delle élites tra politica e sociologia (1896-1979) (Rubbettino): “Nelle storie che ricostruiscono la fortuna della sociologia nell’ambiente culturale italiano egli è, nel migliore dei casi, menzionato in qualche nota a piè di pagina. Eppure Pellizzi è il fondatore di una rivista come la Rassegna italiana di sociologia, da lui diretta per vent’anni e ancora oggi autorevolmente presente nel mondo degli studi sociologici nazionali e internazionali”. L’importanza di Pellizzi era invece ben chiara a uno studioso del calibro di Francesco Alberoni, recentemente scomparso, che il 22 dicembre 1964 scriveva a Pellizzi: “Considero un onore essere avviato alla sociologia nel periodo in cui Lei la rappresentava in Italia come primo ed unico ordinario. La nostra disciplina è legata, per la storia futura, al Suo nome e al Suo ricordo, non solo scientifico, ma anche umano, al Suo coraggio morale, alla Sua sincerità, al Suo stile, che sono per me ammaestramento indelebile”.Ma torniamo alla fase precedente, al Pellizzi fascista. L’intellettuale nasce esattamente 127 anni fa, il 24 agosto 1896, a Collegno (Torino) secondo figlio di genitori emiliani: Giovanni Battista (dal 1893 psichiatra nel manicomio diretto da Cesare Lombroso) e Giannina Ferrari, sorella del neuropsichiatra Giulio Cesare. Volontario nella Grande guerra, è di idee nazionaliste, ma passa al fascismo dopo aver conosciuto Benito Mussolini, di cui in seguito diverrà anche consigliere. Nel 1920 parte per un soggiorno di studi in Inghilterra, dapprima a Cambridge e poi a Londra. Qui fonda anche il fascio della capitale britannica e, dal 1922, è delegato statale per i fasci in Gran Bretagna e Irlanda. Inizia a collaborare anche con le più diverse testate fasciste. Nel 1924 e ’25 pubblica Problemi e realtà del fascismo e Fascismo-Aristocrazia, due saggi in cui esprime la sua visione del fascismo profondamente segnata dall’attualismo gentiliano. Attingendo a categorie platoniche mediate da Gioberti, individua la specificità del fascismo nella metessica, cioè nel dinamismo rivoluzionario che si oppone alla mimetica, cioè a tutto quello che è stasi e conservazione. L’importanza di tali testi nel dibattito fascista è stata segnalata anche dallo storico Emilio Gentile.Nel 1925 attraversa una crisi che lo riavvicina al cattolicesimo e alla Chiesa. Raffredda per un po’ il suo attivismo politico, ma senza cessarlo del tutto. Attratto dalle teorie economiche corporative, collabora con la rivista di Ugo Spirito Nuovi studi di diritto, economia e politica, ed allaccia proficui contatti con Ezra Pound. Nel 1938 ottiene la cattedra di Storia e dottrina del fascismo all'Università di Messina, ma non entra in servizio. Nel 1939 vince la cattedra di Dottrina dello Stato all'Università degli Studi di Firenze (Facoltà di Scienze Politiche), per cui fa ritorno in Italia. Nel 1940 è nominato presidente dell'Istituto Nazionale di Cultura Fascista.Dopo l’8 settembre, non aderisce alla Rsi, né, del resto, alla Resistenza. Matura delusione nei confronti dell’esperienza fascista, senza tuttavia rinnegarla. In un articolo del dopoguerra racconterà le sue difficoltà nel coinvolgere l’alta cultura che “era ormai quasi perduta per il regime. Non che mancasse da parte di quegli uomini (con rare eccezioni) l'osservanza di tutto il rituale estrinseco del più stretto conformismo [...]Ma la nota peggiore del dramma era rappresentata da coloro che avrebbero voluto collaborare con un residuo di sincera adesione, ma non sapevano più, in modo certo ed univoco, a che cosa aderire! In quei diciotto o venti anni di vita il regime aveva battuto troppe note diverse, si era troppe volte contraddetto, aveva troppe volte messo in sordina o nel dimenticatoio, ciò che solo pochi anni, o pochi mesi prima, era stato presentato come un suo orientamento fondamentale”. Questo bilancio amaro verrà esplicitato nel saggio del 1948, dal titolo eloquente: Una rivoluzione mancata.Nel dopoguerra, nel breve periodo dell’epurazione, approfondisce le novità del pensiero sociologico e traduce autori come James Burnham, Ernst Cassirer, John Locke, Bertrand Russell. Nel 1951 ottiene la cattedra di Sociologia all’università di Firenze, che per un decennio sarà l’unica in Italia. Nel 1959 fonda la Rassegna italiana di sociologia, che cura fino alla morte, avvenuta a Roma il 9 dicembre 1979.
(Ansa)
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