2020-06-12
Lettera di Viganò a Trump su Covid e antirazzismo Il presidente: leggetela tutti
Nuovo asse tra il presidente e l'ex nunzio apostolico negli Usa, che ipotizza come cospirazione politica il delirio sanitario del Covid e le proteste per la morte di George Floyd.Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ritwitta e ringrazia l'ex nunzio apostolico a Washington Carlo Maria Viganò per la lettera che gli aveva indirizzato lo scorso 7 giugno. All'incirca verso la mezzanotte italiana di mercoledì, sull'account @realDonaldTrump appare la faccia di monsignor Viganò con il link al portale Lifesitenews in cui leggere la lettera. Questo il commento di Trump: «Onorato dall'incredibile lettera dell'arcivescovo Viganò per me. Spero che tutti, religiosi o no, la leggano!».Non capita tutti i giorni che il presidente di una superpotenza mondiale indichi di leggere una lettera, soprattutto se è stata scritta da un ex nunzio della chiesa cattolica a Washington nel periodo 2011-2016. E non un ex nunzio a caso, ma quel Carlo Maria Viganò che proprio su La Verità pubblicò nell'agosto 2018 il suo primo memoriale, quello in cui denunziava una serie di coperture fino ai massimi livelli della Chiesa di fronte al fenomeno abusi.Nella lettera a Trump, Viganò richiama categorie bibliche: c'è una lotta in corso tra «i figli della luce e i figli delle tenebre», dice, trasferendosi immediatamente in un campo metafisico e spirituale. E, scrive l'ex nunzio, il presidente Trump «saggiamente si oppone» a questi figli delle tenebre che «ferocemente» gli muovono «guerra in questi giorni».A muovergli battaglia, in questo tempo di Covid-19 e con i moti per la morte di George Floyd ancora caldi, sono quelli della «stirpe del Serpente» che secondo Viganò sarebbero annidati nel deep State, lo Stato profondo che agisce di nascosto e nonostante i presidenti e le loro politiche. Organismi, istituzioni, poteri economici, militari e strategici, che praticherebbero l'antico adagio alchemico e caro alla massoneria, del Solve et coagula, secondo la citazione indicata dello stesso ex nunzio. Intenti al «dissolvi e ricomponi» questi figli delle tenebre con il Covid-19 avrebbero messo in atto una «colossale operazione di ingegneria sociale» con cui «vi sono persone che hanno deciso le sorti dell'umanità, arrogandosi il diritto di agire contro la volontà dei cittadini».Nel caso delle proteste seguite alla morte di Floyd, invece, avvenute anche in Europa «in perfetta sincronia», scrive Viganò, il ricorso alle proteste di piazza sarebbe «strumentale agli scopi di chi vorrebbe veder eletto, alle prossime presidenziali, una persona che incarni gli scopi del deep State e che di esso sia espressione fedele e convinta». Se esiste un deep State c'è anche una deep Church. Quella «che tradisce i propri doveri e rinnega i propri impegni dinanzi a Dio». Ci sono vescovi, scrive Viganò, che «sono asserviti al deep State, al mondialismo, al pensiero unico, al Nuovo ordine mondiale che sempre più spesso invocano in nome di una fratellanza universale che non ha nulla di cristiano». Andando sul concreto l'ex nunzio tira in ballo il vescovo di Washington, Wilton Gregory, che ha criticato la visita del presidente Trump al santuario dedicato a san Giovanni Paolo II lo scorso 2 giugno, prima di firmare un importante ordine esecutivo per dare concreta priorità alla libertà religiosa nello scacchiere internazionale. Secondo Viganò quello di Gregory sarebbe stato un intervento che fa «parte della narrazione mediatica orchestrata non per combattere il razzismo e per portare ordine sociale, ma per esasperare gli animi; (…) non per servire la verità, ma per favorire una fazione politica».Di fronte a tutto questo Viganò dice a Trump che prega per lui e di tenere duro. Con il tweet di ringraziamento del presidente è scattato il riflesso pavloviano della contro narrativa. Padre Antonio Spadaro, direttore della rivista dei gesuiti La Civiltà cattolica, ha twittato che «Lo schema teopolitico fondamentalista vuole instaurare il regno di una divinità qui e ora. E la divinità ovviamente è la proiezione ideale del potere politico». L'appassionato del genere finisce così per perdere un po' l'orizzonte, perché tra deep State e deep Church, schemi massonici e schemi teopolitici fondamentalisti, non è più chiaro chi trama per cosa. L'unica cosa certa è che ognuno ha il suo schema «teopolitico» con relativa agenda da realizzare, Spadaro compreso.Di certo quella di Viganò è una lettura della storia con categorie biblico-teologiche classiche ed è altrettanto facile mostrare che con la pandemia qualche idea pericolosa per il controllo delle menti e dei corpi sia circolata davvero. Per quanto riguarda le contraddizioni delle manifestazioni seguite alla morte di Floyd sono talmente evidenti che solo a doverle raccontare vien da piangere. A 4 mesi dalle elezioni negli Stati Uniti è chiaro che Trump con il ringraziamento alla lettera di Viganò, anche per quello che l'ex nunzio rappresenta, vuole mostrarsi come l'ombrello e il custode di una certa area culturale, quella che nel mondo ecclesiale era rappresentata dai cosiddetti culture warriors a difesa dei principi non negoziabili. Tutto questo mentre le nomine di papa Francesco fra i vescovi americani hanno perseguito l'obiettivo di compiere una sorta di regime change più orientato alla pastorale della misericordia. Quella che per molta parte del mondo cattolico però è una rischiosa curvatura verso il relativismo etico-dottrinale. Nello scacchiere internazionale il ringraziamento di Trump a Viganò potrebbe rappresentare, invece, un segnale nei confronti della Cina, visto che se il Vaticano strizza l'occhio a Pechino il presidente si mette dalla parte di quella Chiesa che su quell'accordo è in disaccordo totale.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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