2023-09-20
La missione speciale di Letta: eliminare i governi nazionali e blindare la sovranità dell’Ue
Enrico Letta (Imagoeconomica)
L’ex premier ha l’incarico di stilare un rapporto sul mercato unico: sentirò imprese e sindacati. Così si sostituisce a chi è stato eletto in patria e impone la transizione green.Letta «stai sereno» è tornato alla ribalta. O meglio è tornato ad affacciarsi in un Parlamento. Quello europeo e da consulente. «Ho preso questo impegno e voglio dare tutto quello che ho. Naturalmente ho la massima voglia di coordinarmi con il lavoro che farà, sull’altro versante, il presidente Draghi», ha detto l’ex segretario del Pd al suo arrivo in commissione per il Mercato interno e lavoro (Imco) dell’europarlamento, dove è chiamato in audizione a presentare lo stato dei lavori sull’incarico ricevuto dalla presidenza di turno spagnola con l’obiettivo di stilare un rapporto sul mercato unico Ue. «Questa è la prima chiacchierata con il Parlamento. Ho voluto dare solo un primo segnale all’eurocamera della sua centralità dentro questo dibattito», ha detto Letta. «Da qui alla fine dell’anno farò una fase di ascolto del Parlamento europeo, delle parti sociali, con sindacati e imprese, e poi un giro delle capitali europee, per capire quali sono le priorità e quali saranno i punti chiave per il rilancio del mercato unico, finalizzato a dare più forza alla sovranità europea», ha concluso il piddino.La dichiarazione è tanto trasparente quanto allarmante. E per capirne la delicatezza basta mettere l’accento sulle due parole «sovranità europea». Nella sua uscita pubblica ieri Letta ha anche tenuto a specificare che il suo lavoro è indipendente e che non rappresenta né i singoli Stati né i partiti. Sappiamo che ovviamente l’incarico arriva dal consiglio Ue e che arriva da un governo, quello spagnolo, che è emblema di socialismo. Il modello di studio che sarà partorito sarà sicuramente socialista. Dalle risultanze, che saranno rese note il prossimo aprile, deriveranno importanti scelte sugli aiuti di Stato, sul Patto di stabilità e sui dossier più cari ai socialisti. Parliamo dell’intero percorso della transizione green. Non sappiamo quanto confliggerà con l’incarico che Ursula von der Leyen ha affidato la scorsa settimana a Draghi. Oltre due mesi dopo la mossa della presidenza spagnola. Certamente dobbiamo aspettarci mesi di tensione. La commissione vuole il predominio rispetto al consiglio, per cui fa un po’ sorridere l’auspicio lettiano di collaborare con Draghi. In ogni caso, qualunque sia la sintesi, ad allarmare non sono i contenuti e il modello del nuovo mercato unico, ma il percorso in sé. Quando Letta dice che non rappresenta né partiti né Stati ci dice che rappresenta un’entità superiore che mira ad azzerare il ruolo precipuo dei singoli governi. E se vogliamo essere maliziosi soprattutto di quello italiano.Nei prossimi mesi l’ex segretario pd farà un tour delle città europee e incontrerà le parti sociali europee e le imprese europee. Questo è il salto di qualità a cui assisteremo nel corso della prossima commissione. E immaginiamo anche nel caso in cui sia partorito l’Ursula bis. Spetta ai governi sentire i sindacati e risolvere le diatribe con le imprese. Gestire la legge finanziaria per dare una impronta al modello sociale oltre che economico. Temiamo che ciò nel prossimo futuro e sicuramente dopo il 2030 non accadrà più. Letta non rappresenta i partiti. Peccato che rappresentanti dei partiti sono coloro che se votati finiscono a Palazzo Chigi. La gente li vota perché preferisce le loro promesse a quelle degli avversari e, di solito, quando le promesse vengono tradite succede una cosa semplice. Alle elezioni successive si cambia. Il problema semmai si pone se agli elettori è stato già offerto l’intero arco parlamentare. Ma qui siamo alla fase ulteriore. Le decisioni sono tutte prese dall’autocrazia Ue e chi resta a governare lo farà solo formalmente. Magari gestendo solo il 5 o il 10% del budget pubblico. Il resto sarà obbligato lungo binari costruiti a Bruxelles. Peccato che non sarà nemmeno il Parlamento Ue a decidere, ma chi non è mai stato eletto. Per questo le frasi di Letta sono tutto fuorché rassicuranti. Tranne per chi sostiene a spada tratta che l’unica sovranità possibile è quella europea. Ecco in ballo c’è questo e pure la nostra costituzione. Nell’ultimo editoriale per questo giornale, Carlo Pelanda ha svolto una interessante tesi. L’Italia dovrebbe lavorare per ampliare i poteri del G7 e fare in modo che quello (il consesso delle democrazie) sia il tavolo su cui si decide. Lasciando all’Europa un piano relazionale di secondo grado. Ci piace ricordare a Pelanda che il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha recentemente spiegato che l’unico interlocutore globale deve essere l’Ue. Un messaggio chiaro a chi cerca per l’Italia un ruolo autonomo su uno scacchiere bollente. Gli incarichi a Letta e Draghi , molto diversi per committenza, portano però in una sola direzione. Quella auspicata da Mattarella. Inutile ribadire che se aggiungiamo al Pnrr, la ratifica del Mes e la riforma del Patto di stabilità (che comunque prevede una vigilanza amplificata) quel margine di manovra del 10% del budget pubblico si raggiungerà non fra sette anni ma già nel 2024 o al massimo nel 2025. Forse per questo si preparano le tavole della legge del futuro mercato unico.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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